Presidenziali in Honduras…

… arriverà la primavera?

di David Lifodi

Ad un mese esatto dalle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 24 novembre, in Honduras la violenza di stampo politico va a braccetto con la criminalizzazione della protesta sociale, come purtroppo testimonia la persecuzione giudiziaria nei confronti di Bertha Cáceres e di altri due attivisti del Copinh, il Consiglio delle Organizzazioni Popolari e Indigene.

Nonostante il paese sia governato da un’elite che agisce con metodi apertamente fascisti, Xiomara Castro proverà in tutti i modi a riportare la sinistra alla vittoria. Moglie di Manuel Zelaya, il presidente del paese deposto con il golpe di fine giugno 2009, sostenuta dal Partido Libertad y Rifundación (Libre), nato dal Frente Nacional de Resistencia (Fnrp), l’organizzazione sorta per resistere alla dittatura della coppia Roberto Micheletti e Porfirio Lobo, Xiomara Castro se la dovrà vedere con Juan Orlando Hernández, astro nascente della destra. Hernández è il delfino di Lobo, presidente del Congreso Nacional e imprenditore, quindi è il degno rappresentante dell’oligarchia che ha appoggiato il colpo di stato e cacciato Manuel Zelaya. Preoccupa anche la vicinanza di Hernández a J.J Rendón, l’uomo che ha curato la campagna elettorale di Henrique Capriles, il candidato presidenziale della destra venezuelana che non ha mai riconosciuto i successi di Chávez e di Nicolas Maduro. Il compito di Xiomara Castro non è dei più facili: gli ultimi sondaggi parlano di un pareggio tecnico tra la candidata della sinistra e l’esponente del Partido Nacional. In Honduras le presidenziali si svolgono in un’unica tornata elettorale: vince chi ha la maggioranza relativa e, anche nel caso di un successo di stretta misura di Xiomara Castro, un Parlamento frammentato in cui una buona parte dei seggi resti nelle mani del Partido Nacional, rischierebbe di trasformare l’Honduras in un nuovo Paraguay: Fernando Lugo divenne presidente, ma non fu in grado di portare a termine il suo mandato poiché il Congresso era nelle mani della destra, fin quando il vicepresidente Federico Franco lo rovesciò con un colpo di stato. In Honduras regna il terrore: lo stato maggiore di Zelaya, quello che lo aveva accompagnato all’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa nel periodo immediatamente successivo al golpe, è stato decimato: ben otto persone sono state uccise in meno di due anni, denunciano gli attivisti di Libre. Manuel Zelaya proveniva dal Partido Liberal, quello che adesso presenta un suo candidato, Mauricio Villeda, ed ha preso le distanze dall’ex presidente mantenendo nei suoi confronti un comportamento abbastanza ambiguo. Zelaya aveva cercato di scongiurare la privatizzazione dell’acqua e arginare la destra latifondista che, a seguito della sua destituzione, ha attaccato con violenza le organizzazioni popolari, indigene e contadine che esigevano i loro diritti. La repressione indiscriminata nel Bajo Aguán insegna, mentre Hernández ha promosso i militari a svolgere compiti di polizia. L’obiettivo di Xiomara Castro e del suo vice, Juan Barahona, è quello di convocare un’Assemblea Costituente in grado di varare una nuova Costituzione politica, obiettivo anche dello stesso Zelaya, poiché quella attuale fu imposta dalla multinazionale United Fruit e dai militari. Redatta nel 1982 dal dittatore Policarpo Paz, sotto la dettatura della Cia e della stessa United Fruit, che impose il militare come presidente del paese nel 1972, la Costituzione entrò in vigore il giorno prima che giungesse al potere un mandatario in maniera regolare, Roberto Suazo Córdoba, il quale ebbe le mani legate. Zelaya fu destituito con l’accusa di voler proporre un’Assemblea Costituente in grado di modificare gli aspetti più liberticidi di una Costituzione molto simile a quella cilena imposta da Pinochet: per questo motivo è stato accusato di volersi ricandidare e perpetuarsi al potere.  Inoltre, Libre mira a ripristinare i diritti e le conquiste dei lavoratori, resi carta straccia dalla pressante azione di lobby dei latifondisti: in Honduras  negli ultimi quattro anni la libertà sindacale è stata abolita. Dal colpo di stato, denuncia Barahona, è in corso un’eliminazione sistematica dei militanti dell’Fnrp e di Libre: il giorno prima che avesse luogo l’Assemblea Nazionale del Partido Libertad y Rifundación fu assassinato il giovane militante Marvin José Rivera, mentre risulta tuttora desaparecido il giornalista Aníbal Barrow, vicino alla Resistenza. Nonostante in Honduras povertà e disoccupazione siano in costante aumento, il narcotraffico la faccia da padrone e il tasso di omicidi (di carattere politico, ma non solo) abbia raggiunto dei livelli spaventosi, il programma di Hernández continua a riscuotere un certo successo, a partire dalla sua proposta di concedere sempre maggior potere alle Forze Armate. Su questo aspetto la proposta di Xiomara Castro è in antitesi  a quella di Hernández : per la candidata di Libre l’esercito andrebbe riportato nelle caserme e riformato anche il sistema giudiziario, in modo tale da porre fine all’impunità dilagante. Quest’ultimo tema è al centro della campagna elettorale del quarto incomodo candidato alla presidenza: Salvador Nasralla, del Partido Anticorrupción, è indicato come possibile outsider. Imprenditore nel settore televisivo e conosciuto come commentatore sportivo, Nasralla porta avanti un discorso qualunquista che potrebbe intercettare il voto di molti elettori: sostiene che i partiti sono tutti uguali, ma soprattutto ritiene che in Honduras si sia mantenuta una certa libertà di espressione, in realtà del tutto sospesa da Roberto Micheletti, il presidente golpista di origini italiane al potere fino all’avvento di Lobo. In questo contesto non si può non ricordare l’atteggiamento di buona parte della stampa del nostro paese, che si occupò di Micheletti senza dire una parola sul colpo di stato, sullo stadio di Tegucigalpa trasformato in un grande centro di detenzione degli oppositori politici e sul rovesciamento di Zelaya, ma solo per evidenziarne le lontane origini bergamasche del presidente de facto. Le elezioni del 2009, che si svolsero alcuni mesi dopo il golpe di giugno, furono caratterizzate da un altissimo tasso di astensione: si recò a votare poco meno della metà del paese e si trattò di una votazione farsa da cui emerse come vincitore Porfirio Lobo. Buona parte dei paesi latinoamericani non riconobbero le legittimità delle elezioni honduregne, così come Unasur e Mercosur, ma alla fine Pepe Lobo riuscì a far passare l’idea che nel suo paese era stato ristabilito l’ordine democratico. Nel caso in cui Xiomara Castro vinca le elezioni, la destra golpista è già pronta a scatenare il caos nel paese: del resto in Honduras proliferano i contractors, le guardie private al servizio dei latifondisti pronte a trasformarsi in milizie in grado di scendere per le strade a fianco dei militari e creare le condizioni per la sospensione del processo elettorale. Al tempo stesso l’esercito è sottoposto ad un addestramento particolare per eventuali strategie controinsurrezionali volte a bloccare qualsiasi tentativo di mobilitazione delle organizzazioni sociali. L’ultradestra e l’oligarchia hanno già dimostrato di avere il coltello dalla parte del manico: lo testimonia l’imposizione con la forza dei megaprogetti idroelettrici  minerari, lo sfruttamento della terra a proprio esclusivo vantaggio, la costruzione di centri turistici d’elites e, più in generale, la svendita delle risorse naturali alle multinazionali, principalmente statunitensi, canadesi, ma anche latinoamericane.

Le elezioni del 24 novembre rappresentano uno snodo cruciale non solo per l’Honduras, ma per l’intero Centroamerica: un successo della destra consoliderebbe al potere il grande latifondo e rafforzerebbe in tutta la regione l’opzione militare e autoritaria, ma una vittoria di Xiomara Castro potrebbe rappresentare l’inizio della primavera per Tegucigalpa e infondere una speranza anche ai paesi di quell’area, dove le insegne rosa o rosse non sono ancora mai arrivate, al pari di dignità e diritti.

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