«Può sposare chi vuole, ma proprio chi vuole»

undicesima volta di Johnny Sheetmetal (*) in bottega: ecco la narra/recensione per «L’ultimo elfo» di Silvana De Mari

«L’ULTIMO ELFO»

di SILVANA DE MARI

SALANI editore

Sì, ma mi ha regalato un fantasy. Un fantasy a me. La Lore ha sbiellato. Non fosse che l’ha già letto, penserei che il regalo se l’è fatto a se stessa. E invece gliel’aveva prestato Fiammetta. Gelosia vai a mille. Ma è stato anni fa. Ecco cosa mi manca: la passione per i fantasy. Per quelle storie tutte uguali coi draghi, i troll, gli anelli e tutto il resto. Che cavolo ne posso se a me piacciono gli horror? Datemi un King a colazione, un Barker a pranzo e uno Straub a cena, e la vostra Gemma è a posto. E di notte dormirà il sonno della giusta.

«Va là che ti piace» mi ha detto la Lore, dopo che l’ho scartato e l’ho mandata a quel paese. Non s’arrabbia mai, quella.

«Già la faccia di sto elfo, qui in copertina, mi sta sulle balle».

«Ti piacerebbe averle, eh?».

«No, e a te?».

«A me un po’ sì».

Ci siamo sbaciucchiate quei dieci minuti, mentre il libro stava calmo lì sul tavolo.

«Devi leggerlo».

«Mi viene una botta di sonno solo a pensarci».

«Lo amerai come l’ho amato io».

«Io amo solo te, faccia da sberle. C’è almeno qualche scena splatter, dentro?».

«C’è molto di più. C’è un senso, una frase».

«Una frase? M’hai regalato un libro per una frase?».

«Non solo per quello».

«Scusa, ma non facevi prima a ritagliare la pagina a sbafo in libreria, e a farmi il riassunto del resto?».

«Non ci ho pensato». Ha abbassato gli occhi, e una avrebbe giurato che mi dava ragione, che si sentiva in colpa. L’avrei ammazzata di baci. Ho deciso: è la mia Lore, e anche se faccio la cattiva con lei, leggerò sta fuffa. Solo per farle piacere. Promesso.

Ebbene sì: l’ho letto. Però pensavo peggio. Non che mi abbia divertito, ma nemmeno mi ha annoiato. Tranne forse l’ultima parte, quella del drago. La prima parte è meglio: ci mette più carne, questa De Mari, si vede che ci crede. Nella seconda svolge solo un compito: come scrivere un fantasy fiabesco senza sbavature. L’ho capito pure io, che di fantasy ne bazzico poco. Peccato però che sia crollata dalla noia, almeno alla fine. Simpatico il drago, anche quella Robi, perfino l’elfo cresciuto. Però io vengo dall’horror, signori. Dovete darmi carne. Dovete darmi scene, azione, gente che parla, che ride, che decide, che litiga, che s’incanta, che s’innamora. La vita, insomma. Non fatemi il riassunto degli eventi, per favore; non ripetetemi tre volte di fila la stessa frase, e che sono sorda? Che noia che barba che noia.

Ha tirato fuori l’argomento ieri sera, tornate da un film.

«L’hai poi finito il libro?» mi ha chiesto sorniona, dopo che abbiamo fatto l’amore.

In quegli istanti io amo il silenzio, guardare il pezzo di cielo che balena alla finestra, ascoltare gli uccellini che cantano, robe così. Lei è diversa: ha bisogno di chiacchierare. Forse perché, durante, sono io quella che fa più casino.

«Uffa. Sì» ho risposto.

«E come ti è sembrato?».

«Bella la prima parte, meno bella la seconda».

«A me è piaciuto tutto. Cos’ha la seconda parte che non va?».

«Troppo perfettina».

«Anche il colpo di scena del drago è troppo perfettino?».

«Prevedibile anche quello, e comunque telefonato».

Risolino suo. «Telefonato! Ma come parli?».

«È per dire tutto moscio e prevedibile, testina».

«Tieni conto che è destinato soprattutto ai ragazzi».

«S’annoieranno pure loro, alla fine».

«In Italia è considerato un classico del genere».

«In Italia? Chi c’è che scrive fantasy, in Italia? Licia Troisi?».

Le è salito un sorriso esasperato sulle labbra.

«Mi sa che ha poca concorrenza» ho continuato.

«Tu sei ignorante in materia, non dovresti parlare. Ci sono ottimi autori di fantasy anche in Italia».

«See, come di horror».

«Lasciamo perdere, va’. Almeno il messaggio l’hai colto?»

«E come no? Potrei perfino scriverci una recensione, a ‘sto libro.» E lì sul momento me ne invento una, impostando la voce come fossi Corrado Augias, facendola rotolare dal ridere.

«Trattasi di un fantasy fiabesco nel più classico degli stili, con elfi, draghi e umani che si contendono i ruoli di protagonisti. Isso è diviso in due parti: “L’ultimo elfo” e “L’ultimo drago”, la seconda costituendo la continuazione della prima. Quest’ultima, decisamente la migliore, è un apologo sulla capacità della semplicità e della debolezza di vincere sul potere e sulla forza bruta. È, come ho detto, la più interessante, per via della sincerità maggiore che traspare dalle righe, e del messaggio limpido. I personaggi appaiono più spontanei, le descrizioni sono vive, lo stile è forbito ma, aggiungerei per amor di perfezione, gli avvenimenti appaiono un po’ sfilacciati, e l’ambientazione sfocata. Dovendo proprio parlare della seconda parte, issa ha un impianto più classico. Narra dell’ultimo elfo che, anni dopo e cresciutello, ritorna al paese in groppa all’ultimo drago per salvare la futura sposa e una banda di bambini dall’oppressione di un tiranno. Naturalmente sarà il bene a vincere, dopo svariate vicissitudini. Però troppo telefonato, se mi passate il verbo. Pochi imprevisti sulla via della salvezza. E soprattutto nel finale, troppe spiegazioni, poca vera azione, il ché alla fine annoia. Spesso l’autrice riassume gli avvenimenti senza davvero metterli in scena, con ottimo stile, ne convengo, ma che alla fine suona a vuoto. Inzomma, molto meglio la prima parte. Voto finale: otto all’ultimo elfo, cinque e mezzo all’ultimo drago. E chi s’è visto s’è visto».

Mi sono tanto infervorata che mi sono ritrovata in piedi sul letto, nuda su di lei, che mi guardava felice e alla fine pure plaudente.

Ci siamo ancora un po’ strusciate. Ma lei aveva sempre in testa ‘sto libro. E alla fine mi ha chiesto: «Non hai notato niente, nelle ultime pagine?».

«Ancora con ‘sta solfa!».

«Poi ti lascio stare. Una frase, uno spunto».

«Una frase? E che frase avrei dovuto notare?».

Ha allungato la mano e ha preso il libro dal comodino, perché io, stupida, l’avevo lasciato lì in bella vista. L’ha sfogliato e trovata la pagina mi ha guardato e mi ha detto: «Sai quando dopo la vittoria scrivono quella specie di tavole della legge tutte sbrindellate, per darsi delle regole, no?».

Ho annuito.

Ha abbassato gli occhi e ha iniziato a leggere: “Robi e Cala confabularono a lungo, in mezzo a strane risatine, poi Cala, rossa fino alle orecchie, mentre Robi si nascondeva dietro di lei, espresse l’ultima legge: «Uno può sposare chi vuole, ma proprio chi vuole, anche se è un po’ diverso, e nessuno gli può dire niente»” (*).

E Lore ha di nuovo alzato gli occhi su di me, e ci siamo fissate per lunghi secondi.

«Dobbiamo andare in Spagna, Gemma. Se solo tu fossi meno testarda».

«Lo faremo qui, Lore. Lo faremo qui in Italia».

«Ci verranno a dissotterrare dalla fossa e sposeranno due zombie, se mai succederà».

«Mi piaci quando scivoli nell’horror. Ma succederà prima, fidati».

«Non credo proprio».

«E poi qui abbiamo il lavoro, e ci sono i tuoi figli, te lo devo ricordare?».

«C’è anche quel coglione del mio ex marito, e questo sarebbe un altro buon motivo per andarsene».

Ho fatto il vocione del suo ex, per cercare di tirarla un po’ su: «Lorenza, non credo di avere bene afferrato. Vuoi dire che ti piace più una fimmina di me???».

Ha sorriso ma guardando nel vuoto, poi ha continuato: «Dovrebbero essere tutti come questa De Mari, che scrive frasi così belle e così giuste. Dovrebbero pensarla tutti come lei. Soprattutto chi sta al governo».

«Il mondo è bello perché è vario».

«Però dovrebbero lasciare a tutti la libertà di esprimerla, la propria varietà. Che male facciamo?».

L’ho abbracciata. «Non facciamo nessun male. Anzi, facciamo solo del bene. A noi e a tutti gli altri, anche se non lo sanno».

(*) Come qualcuna/o saprà dai precedenti post, «Johnny Sheetmetal» è lo pseudonimo scelto da un collaboratore della “bottega” Marte-diana. Nel 2016 costui – o forse costei, costì, cost* – ogni mese o quasi ha ruminato un racconto/recensione, sempre con idee, protagonisti e ambientazioni diverse ma in stretta relazione al libro “censito” muovendosi nei vasti territori del fantastico “italico”. Anche quest’anno – in Occidente i più lo contano come 2017 – Johnny continuerà. A proposito di conteggi: per l’ultima narrarecensione io avevo scritto “nona volta” ma Sheetmetal ha puntualizzato che era «la decima volta in Bottega». Questa dunque è l’undicesima, ne seguirà – salvo colpi di scena – dodicesima. [db]

(**) Per afferrare appieno il senso di questa narra/recensione può essere utile conoscere le recenti dichiarazioni dell’autrice; le trovate qui:
http://www.lastampa.it/2017/01/19/cronaca/non-fermeranno-le-mie-idee-per-me-i-gay-sono-i-nuovi-ariani-lI9fChZfG2Rxi3uvFKrgjO/pagina.html

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