Quando il lupo perde il pelo – di Mark Adin

Ormai sarà intorno alla ottantina, Ervino Lanzotti, ma la sua barbaccia è nera come l’inchiostro, ispida e folta come quella di un mujaidin. Il largo petto fatica a star dentro la solita camicia a righe, e mostra  riccioli di pelo, per nulla incanutiti, che salgono congiungendosi al viso. Resta per lunghi minuti fermo in mezzo alla strada, le braccia ossute, aperte in un gesto di mistica invocazione, la smisurata croce di legno gli pende larga dal collo. Mormora parole, biascica litanie, gli occhi chiusi, in rapimento estatico. Da ultimo gli affiora inquietante il sorriso. Alza lo sguardo al cielo, ringrazia svelto, come si fa al ristorante col cameriere, e riprende trafelato per la sua strada.

La strada sua madre la batteva, aveva fatto per lungo tempo “la vita”. Abbandonato il mestiere, vecchia e stracciona, occupava il minuscolo alloggio del terzo piano. Quando si incamminava in ciabatte per raggiungere il carcere, che si trovava dall’altra parte della città, nei pressi del cimitero, passava per la Trattoria delle Ore, e ritirava a credito una torta-gelato, confezionata nella sua bella scatola di polistirolo. L’avrebbe portata al figliolo recluso, che ne era ghiotto. Il ristoratore, pur sapendo che non avrebbe mai incassato un’ostia, dopo i primi rifiuti finiva per dargliela, forse in memoria  di un suo breve soggiorno in casanza, risalente alla piccante giovinezza. In realtà mammina, svoltato l’angolo, un boccone alla volta, se la sbafava durante il tragitto. Una torta da otto porzioni. Nonostante questo, Carlàscia era donna di mille premure. Sapeva bene delle propensioni del figlio, e cercava invano di arginarle. A Ervino piacevano un certo tipo di cose, e quando entravano gli aliti caldi dell’estate, dalle finestre della stanza da letto, lui si agitava. Quando lo prendeva la smania, la Carlàscia presagiva, si preoccupava e, per evitare guai, scuri e sicuri come la morte, cercava di spegnerne i bollori portandoselo a letto.  Lei, vecchia troia, conosceva soltanto quel modo, lo faceva sfogare. Ne parlava candidamente alle altre donne della ringhiera, lo confessava durante una chiacchiera, così come le altre potevano riferire di come, amorevolmente, correggevano l’irrequietezza dei loro piccoli diavoletti con uno scapaccione. Fatto sta che al figlio la cosa non sembrava ridurre l’appetito, perchè al Lanzotti piacevano i bambini.

Lui se li sapeva procacciare ai giardinetti,  con una abilità che non era di questo mondo. Lui sapeva avvicinarli senza dare nell’occhio, gettando l’esca, con modi gentili, rendendosi interessante. Poi li portava in una fornace dismessa. Una volta esaurita la furia, pensava a risarcirli, costringendo le piccole vittime ad accettare un biglietto da mille lire. Prima che la sua foto apparisse sulla pagina di cronaca nera, compì diverse razzie, come un lupo in un pollaio. Stuprò alcuni bambini.

I soggiorni al manicomio criminale e al reclusorio non ne modificarono i comportamenti, e nemmeno attenuarono i raptus ferini. Mammina intervenne ancora, più motivata di prima, che per una mamma i bambini son tutto, i propri e quelli degli altri, ma fu inutile. Lui voleva i bambini. Era ossessionato dai bambini.

Forse sarebbe stato meglio sopprimerlo, come si fa con un cane idrofobo, piantargli un paletto nel cuore, ma la legge l’avrebbe  chiamato assassinio, per uno di quegli inevitabili difetti che allignano tra le pieghe di un grande esempio di imperfezione chiamato codice penale.

Ervino Lanzotti, pur in perfetta salute, oggi è indubbiamente più vicino alla morte naturale. Ma scommetterei sulla sua longevità, perché le bestie grame…. In ogni caso, lui credo che se ne accorga, del suo declino.

In questo riparto della valle del Po è in uso un proverbio: “Quand che ’l cü al vegna früst, al Pater Nost vegna giüst”, che tradotto in Italiano suonerebbe : “Quando le terga si ammosciano, torna utile il Padre Nostro”. Si potrebbe infatti pensare che il suo attuale delirio sia il prodotto di una sorta, se non di ravvedimento, di sublimazione  religiosa, ma forse non è così.

Chi lo conosce, chi scambia con lui qualche frettolosa parola, riferisce che l’Ervino non si rivolge a qualche variante mariana, a qualche santo dalla ricca agiografia, a martiri sanguinolenti, no.

Lui è devoto a Gesù bambino.

 

Mark Adin

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