«Racconti» di Arthur Clarke»: libreria…

… o edicola? Comunque non perdeteveli

di Mr. Onion

«Gli Oscar Draghi Urania si propongono di presentare l’opera dei maggiori autori della fantascienza mondiale…». Si è aperta così, a inizio febbraio, la nuova sfida Mondadori: portare in libreria e (per ora) congiuntamente in edicola i capolavori dell’immaginario, introducendo il mondo Urania nella collana Oscar Draghi (*).

Già da tempo stanno arrivando sugli scaffali opere che ripercorrono carriere straordinarie: si pensi a Ray Bradbury e a Neil Gaiman, che hanno elevato la narrativa di genere a livelli di eccellenza. Ora con gli Urania e.book)Draghi si rinforza questa tendenza. La nuova collana inizia con Arthur C. Clarke – 1008 pagine per 28 euri (o per 14,99 nell’edizione e-book) – uno dei così detti “Big Three”, insieme ad Isaac Asimov e Robert Heinlein. Questo progetto Mondadori è stato anticipato in edicola dai quattro volumetti «Terra e Spazio» [Urania Collezione numeri 197, 198, 199, 200] di cui la Bottega (**) si è occupata lo scorso anno.

Molti si interrogano sull’opportunità di una nuova uscita in libreria della stessa traduzione di «The Collected Stories of Arthur C. Clarke» (2001): un doppione per alcuni, un esperimento importante per altri, considerando i gusti e la varietà di pubblico a cui si rivolgono.

Una cosa è certa: avere un volume unico con più di 100 racconti di Clarke – quasi la raccolta completa, ne mancano pochissimi – è un tesoro prezioso da toccare, sfogliare, custodire. Rileggere la firma di Fruttero e Lucentini e iniziare una serie di pubblicazioni con Clarke è una stella polare che si è acceso nella notte di tante librerie (da dove spesso scompare il settore Fantascienza, sostituito con uno più generico Fantasy e Avventura). E ovviamente si spera che – “contenuto” il corona virus – le librerie riaprano presto.

Lo straripante talento che si manifestò con quei Voltaire della SF dell’età dell’oro non meritava di essere relegato alle cantine e salvato solo dagli eroici mercatini. Oggi una persona giovane entrando in libreria vedrà un “monolite di carta” che spunta dallo scaffale. Se prenderà il libro… poi notando il padre o il nonno con gli occhi persi nel vuoto, alla domanda «Cos’hai, che ti succede?» scoprirà di avere incontrato la migliore delle fantascienze.

Un progetto come questo non toglie nulla alle tante opere di suggestione di oggi, ma le fortifica, le misura con la grandezza dei classici. La migliore SF infatti è la mitologia della nostra epoca, a partire dalle storie epiche che hanno immaginato e poi iniziato a raccontare agli albori dell’esplorazione spaziale

Sfogliando le pagine di «Racconti» – divise in due colonne nel formato classico dei primi Urania – arriva subito un senso di poesia e di ispirazione. Alcuni sono straordinari certo, altri risentono appena del passare del tempo. Seppur siano visibili lievi incompiutezze, evidenziate dallo stesso autore, il lettore ha l’opportunità di una prospettiva completa.

Ad esempio il leggendario «I canti della terra lontana» (1958): passato dalla prima pubblicazione in stile space opera alla rielaborazione, nel contesto di maggiore plausibilità scientifica tanto cara a Clarke, e poi ampliato fino a diventare il romanzo «Voci di terra lontana» (1986, Rizzoli). Nel giro di trent’anni dunque piccoli miglioramenti, aggiunte, note e dettagli, ma Clarke è rimasto sempre lui, sempre magnifico. La trama è sentimentale, affronta il tema delle distanze interstellari, della necessità di viaggi lunghissimi e del ritorno di una nave spaziale proveniente dalla Terra su una colonia ai margini della galassia. Ecco la descrizione dell’avvistamento nel racconto:

«…Il mondo libero e spensierato che avevano conosciuto dall’inizio delle loro giovani vite improvvisamente finì. Il segno del suo trapasso era scritto nel cielo, come se una mano gigantesca lo avesse tracciato con un pezzo di gesso lassù, sulla volta azzurra. Con gli occhi rivolti verso l’alto, Clyde e Lola videro la lunga scia lucente di vapore che iniziava a smagliarsi sui bordi, e a sgretolarsi in sbuffi di nubi. Si sentirono precipitare addosso da miglia e miglia di altezza un suono sconosciuto per il loro mondo da generazioni. D’istinto, si diedero la mano alla vista di quella ruga candida come la neve che solcava il cielo, con il suono acuto che giungeva dai confini dello spazio».

Che nella prima pagina del romanzo poi sarà mutata lievemente in:

«…il mondo semplice e spensierato che avevano conosciuto per tutta la loro giovane vita improvvisamente finì. Il segno dell’arrivo della Storia era scritto nel cielo, quasi che una mano gigantesca avesse tracciato una linea col gesso da un capo all’altro della volta celeste. Sotto i loro occhi la scia scintillante prese a sfrangiarsi ai bordi rompendosi in masse più piccole di vapori, finché un ponte di neve parve collegare un orizzonte all’altro. E ora un distante rombo di tuono giungeva da lontano. Era un suono che Thalassa non udiva da settecento anni, ma che anche un bambino avrebbe immediatamente riconosciuto. La sera era calda, ma Mirissa rabbrividì e cercò la mano di Brant. Lui la strinse, ma era assente; continuava a fissare quel cielo lacerato. Anche Kumar era rimasto impressionato, ma fu il primo a rompere il silenzio: – Una delle colonie ci ha trovato».

Sfogliando le pagine si incontra il racconto più breve di Clarke. Scrisse per gioco «Postcard» (titolo originale “Quarantine“) utilizzando solo 38 parole: lo fece per raccogliere la sfida divertente lanciata da George Hay sul comporre «una storia che potesse essere inviata tramite una cartolina». La stessa sfida venne rivolta ad Asimov e quest’ultimo la raccontò proprio nel primo numero della sua famosa rivista «Asimov’s Science Fiction» (1978) pubblicando il racconto di Clarke.

Arriviamo al più famoso, «La sentinella» (The Sentinel) scritto originariamente nel 1948 per un concorso della BBC (che non vinse) e pubblicato nel 1951 per la prima volta, divenne la base di «2001 Odissea nello spazio», film e poi libro.

È il più citato, ma vale sempre la pena sussurrare l’inizio memorabile: «La prima volta che vedrete la luna piena, alta, a sud, osservatene attentamente il contorno sulla destra e lasciate correre l’occhio lungo la curva del disco. A due terzi d’altezza noterete un piccolo ovale scuro: chiunque, dotato di vista normale, è in grado di trovarlo facilmente. È la grande pianura circondata da monti, una delle più belle della Luna, conosciuta con il nome di Mare Crisium, il mare della Crisi. Con un diametro di cinquecento chilometri e circondato da un anello di montagne imponenti…».

Nel 1971 uscì «Incontro con Medusa», tra i preferiti di molti appassionati. L’avvio del racconto coincide con il decollo della Queen Elizabeth, lunga 500 metri, la prima nave spaziale che vola oltre il nostro futuro: «[…] Falcon aveva il cielo tutto per sé. Era azzurro e vuoto, fino all’orizzonte. Ai tempi di suo nonno, lo sapeva, sarebbe stato segnato da scie di vapore e macchiato di fumo. Entrambe le cose non esistevano più: l’inquinamento atmosferico era scomparso insieme alle tecnologie primitive che lo avevano provocato, e i trasporti sulle lunghe distanze, nella sua epoca, si svolgevano ben al di sopra della stratosfera e non si lasciavano né vedere né sentire sulla Terra. Di nuovo, l’atmosfera apparteneva agli uccelli e alle nubi… e adesso anche alla Queen Elizabeth».

Altra storia grandiosa è «La Stella» (“The star”) del 1956. Durante l’assegnazione del premio Hugo il pubblico si alzò e rimase per molti minuti ad applaudirlo. Questo racconto è capace di scavare nella infinita profondità dell’animo umano. Il finale è tra i più riusciti. ATTENZIONE: se non volete lo “spoiler” saltate le prossime 20 righe. Ricollega la stella cometa della tradizione del Natale alla trasformazione di un sole in supernova, con conseguente estinzione di una razza molto simile a quella umana.

Recentemente il giornalista Fabio Pagan, riferendosi a padre George Coyne, l’astronomo del papa, che per ventott’anni (fino al 2006) aveva diretto la Specola vaticana a Castel Gandolfo, in occasione di un articolo commemorativo – è venuto a mancare l’11 febbraio – ha citato un frammento di sua precedente intervista (****): «Durante quella Conferenza all’ICTP del 2003 chiesi a padre Coyne se si riconoscesse in qualche modo nel protagonista d’un celebre racconto di Clarke (The Star): l’astrofisico gesuita che, a bordo di un’astronave in esplorazione attorno a una stella lontana, scopre con angoscia come la luce che guidò i Magi alla Grotta di Betlemme fosse stata in realtà l’esplosione di quella stella che aveva incenerito gli abitanti d’un pianeta alieno. Parola più, parola meno, così mi rispose: “Conosco bene Clarke e conosco quel racconto. Ma io non ho mai sentito antitesi tra l’occuparmi di scienza e l’occuparmi di teologia. Sono due campi diversi del sapere. Troppe volte la Chiesa ha voluto occuparsi di cose di scienza. Provocando spesso grossi guai».

Leggere questo volume è salire sulle montagne russe, lascia una vertigine di entusiasmo. C’è spazio per assaporare la tecnica narrativa, vederla mutare, diversificarsi. E proprio sullo “scrivere fantascienza” vale la pena ricordare le famose tre leggi di Clarke (1962):

1 Quando un anziano scienziato afferma che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione. Quando afferma che qualcosa è impossibile, ha quasi certamente torto.

2 Il solo modo per stabilire i limiti del possibile è quello di superarli e addentrarsi nell’impossibile.

3  Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.

I racconti rappresentano la migliore sperimentazione in cui spiccano questi tre capisaldi, proponendo un ottimo punto di equilibrio tra scienza e fantasia.

Nel libro presente anche qualche riflessione di ampio respiro, per esempio in “Reverie” – tradotto come «Fantariflessioni» – compare la risposta all’annosa domanda: «La fantascienza ha esaurito le idee?». Clarke risponde offrendoci passaggi davvero splendidi, scritti incredibilmente nel 1939 ma ancora attualissimi: «Non c’è nulla di veramente nuovo al mondo, però tutto è in qualche modo diverso da quello che l’ha preceduto. Almeno una volta nella vita, anche l’individuo più monotono si è ritrovato con stupore e una certa paura a rimuginare pensieri così originali e stupefacenti da sembrare il frutto di una mente estranea, infinitamente più acuta. Questi pensieri attraversano così in fretta la coscienza da sparire prima di poter essere intravisti poco più che di sfuggita, ma a volte finiscono intrappolati come comete da un sole gigantesco, non possono più scappare, dalla loro ostinata consistenza la mente forgia i capolavori della letteratura, della filosofia e della musica. […] Il problema della fantascienza contemporanea, e di altri ambiti, è che per cercare a ogni costo l’originalità si perdono di vista le cose più ovvie. Quello che ci vorrebbe non è più o meno immaginazione, ma solo – un po’ – di immaginazione».

(*) Draghi Mondadori, https://www.oscarmondadori.it/collana/draghi/

(**) cfr Marte-mix: ultimi Urania ma anche…– sulla serie “Terra e Spazio” – ma anche una breve presentazione del racconto «Riunione»: http://www.labottegadelbarbieri.org/grazie-mr-clarke/

(***) nota per chi frequenta poco la fantascienza: mon confondere questo racconto con il quasi omonimo – e pure famosissimo – «Sentinella» di Fredric Brown

(****) https://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2020/02/18/news/george-coyne-astronomo-gesuita-faceva-dialogare-scienza-e-fede-1.38486419

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *