«Radical» di Maajid Nawaz

di Monica Macchi

Benvenuto in Egitto, Maajid.

Noi qui facciamo quello che ci pare

Zaabit dell’Aman al-Dawla (agente delle Forze di Sicurezza)

Mondo, devi guardare l’Egitto”.

tweet di Maajid il 25 gennaio 2011

Tra queste due frasi, e queste due versioni dell’Egitto, è racchiuso il senso del sottotitolo: «Il mio viaggio dal fondamentalismo islamico alla democrazia».

Con la prefazione di Kate Allen, direttrice di Amnesty International UK, questo libro racconta la vita di Maajid Nawaz, da quando il padre decide di trasferirsi dal Pakistan a Southend, nell’Essex per dare ai suoi figli tutte le possibilità offerte dal sistema scolastico inglese. Iniziamo a conoscere Maajiid adolescente, un rapper con bandana e coltello stretto fra gli skinhead e il “razzismo istituzionale” della polizia «incompetente ed ignorante: odiavamo gli agenti e al tempo stesso ne avevamo paura» (curiosamente o forse no lo stesso giudizio che riserverà alle Forze Speciali egiziane). Southend si trasforma con l’arrivo di musulmani dal Nord Africa e dalla Somalia, che scoprono di avere come fattore di identità e di difesa l’Islam inteso come دين (religione) ma molti di loro utilizzano la preghiera come strumento di propaganda e mezzo di intimidazione. Dall’Islam Maajid scivola ben presto nell’islamismo che oggi ha rifiutato: è un’ideologia politica con conseguenze religiose, non il contrario. Entra così a far parte di Hizb al-Tahrir e ne diventa poi un reclutatore internazionale prima in Pakistan e poi in Egitto dove viene rinchiuso nella prigione di Mazrah Tora nonostante abbia provato a più riprese a giocare la carta del passaporto britannico «per far capire che non potevo essere trattato come un egiziano». Ma il carcere è un mondo senza regole rappresentato dalla ghimamah, lo straccio che copre gli occhi e che svela il sistema giudiziario parallelo. Un mondo che mischia e fa incontrare gli assassini di Sadat, con liberali, jihadisti, salafiti, omosessuali e Fratelli Musulmani e si rivela per Maajid una vera e propria scuola politica: sceglie addirittura come avvocato difensore Ahmed Saif, un comunista (che qualche anno dopo avrebbe fondato il movimento Kifayah) e si prepara a lottare contro un sistema che l’aveva già condannato. La stampa segue con crescente attenzione il processo e dopo l’inevitabile condanna, Amnesty International adotta Maajid come “prigioniero di coscienza” sebbene non tutti, all’interno dell’organizzazione, fossero d’accordo né pronti a difendere islamisti assolutamente e convintamente illiberali; ma la posizione finale di Ai è stata che «qualsiasi prigioniero detenuto solo per aver espresso in maniera non violenta le proprie convinzioni, ha un diritto automatico e incondizionato al sostegno in quanto essere umano». Ed è proprio questo a scavare una breccia in Maajid: come tante altre ideologie, l’islamismo ha tratto parte del suo potere dalla disumanizzazione dell’Altro; venire “ri-umanizzato” attraverso un aiuto incondizionato in quanto essere umano, studiare le fonti dell’Islam inteso di nuovo come religione e confrontarsi con la complessità morale attraverso la letteratura (da quella orale persiana al misticismo sufi, da Orwell a Tolkien, le cui pagine lo sorprendono perchè…è il malvagio e non l’eroe a far trionfare il bene) e la musica (in particolare la musica qawwali di Nusrat Fateh Ali Khan) lo ha cambiato al punto tale da battersi affinché LA religione qualunque essa sia entri nella sfera pubblica ma in uno spazio neutrale in modo tale da non correre il rischio di venir strumentalizzata. Fonda così le ong Quilliam (in onore di William Quilliam, inglese che ha aperto la prima moschea nel Regno Unito) e Khudi (un termine urdu molto utilizzato dal poeta Allama Iqbal traducibile come “autodeterminazione”) dove, ricorrendo alle stesse tecniche degli islamisti ma applicandole alla cultura democratica, crea le condizioni per cui aderire all’islamismo diventi uno stigma sociale in modo analogo a quanto successo con il British National Party. Del resto secondo Maajid l’islamismo è un fenomeno politico moderno altrettanto pericoloso delle organizzazioni di estrema destra con le quali, infatti, condivide alcuni tratti come l’antisemitismo e l’omofobia e quindi la risposta politica deve essere la stessa.

Per seguire tutte le iniziative di questo think thank seguite http://maajidnawaz.com e buona lettura di un libro assolutamente imperdibile!

«RADICAL. IL MIO VIAGGIO DAL FONDAMENTALISMO ISLAMICO ALLA DEMOCRAZIA»

di MAAJID NAWAZ

Carbonio editore

Redazione
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Un commento

  • antonella selva

    molto interessante, però il personaggio sarebbe più credibile se non si fosse spinto addirittura a sostenere publicamente Israele, scrivere sulla stampa britannica pro-israele ecc in nome dell’empatia verso le “vittime del terrorismo palestinese”.
    Non è una semplice “slabbratura”, unasvista su un aspetto marginale, soprattutto per uno che dovrebbe essere informato: appare piuttosto come un segnale che in fondo non ha realmente cambiato la sua visione ma ha solo cambiato campo. Dal campo islamista è passato al campo “occidentale”, ma non ha abbandonato una visione manichea in cui da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi e, se stai dalla parte occidentale, Israele è dei “nostri” e le sue vittime contano di più.
    Mi sbaglierò, magari dopo l’ultimo massacro a Gaza forse comincierà ad articolare un po’ di più la sua visione, però qui c’è un articolo da The times of israel del 19 febbraio scorso, quindi non tanto vecchio, che pone dubbi legittimi: https://www.timesofisrael.com/the-british-activist-who-went-from-radical-islam-to-staunch-israel-ally/

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