Ragazze rom intervistano Vandana Shiva

a cura di Adriana Goni Mazzitelli (*)

Video Lab nasce due anni fa all’interno del Progetto SàrSan e rappresenta un prezioso strumento per dare voce alle giovani rom. Uno spazio di auto-narrazione, un laboratorio per ribaltare la comunicazione stereotipata che rimbalza nelle notizie di cronaca a proposito di rom. Le ragazze che fanno parte del progetto, vengono dai campi rom di via Salviati e di via Salone e sono fiere di essere nate e cresciute a Roma, cosi come di aver vinto con il mini-documentario «Sono solo una ragazza» il premio del pubblico al festival «I Colori del mondo», promosso dal Museo di Arte Contemporanea di Roma.

Nonostante questi buoni risultati, nulla sembra cambiato nelle loro vite quotidiane. Le grandi aspettative che avevano nel cambio dell’amministrazione di Roma non hanno al momento prodotto nulla: sembra che il loro destino continui a esser segnato dai e nei campi rom. La precarietà che si vive in queste strutture è ancora dominata dalla logica degli sgomberi forzati, unica politica sulla quale sembra siano tutti d’accordo. Organizzare un’intervista a Vandana Shiva in questo contesto è stata una bella sfida e un’occasione di confronto fra donne che lottano per il cambiamento ogni giorno.

Gli studi più attendibili dicono che i rom sono originari dell’India: alcuni secoli dopo, donne indiane e donne rom hanno trovato un momento di confronto per scambiare idee, storie e rafforzarsi nella comune lotta per uscire da oppressione e impoverimento. Le ragazze di SàrSan – Brenda, Smeralda, Sheila – erano emozionate, ma si sono a lungo preparate: hanno pensato a diverse domande e costruito questa intervista.

Le donne nel suo Paese si sono organizzate per difendere la terra: come hanno fatto?

«Oggi il primo passo per uscire della povertà è usare le mani e la testa. Uno dei principali argomenti per tenere fuori dal sistema le comunità povere e le donne è dire che non producono, che sono passive, che non hanno competenze, che non hanno conoscenze e saperi. Il primo passaggio per uscire della povertà è allora non percepirsi come poveri, essere consapevoli della ricchezza che si ha dentro. Sapere di avere ognuno la capacità di creare, di produrre e di costruire relazioni e comunità. Il secondo passaggio è resistere alle politiche che creano la povertà, che sottraggono le risorse alle persone, che impediscono alle persone di produrre quello che sono in grado di produrre. Creare e resistere».

Cosa pensa della povertà e del trattamento inumano che l’Europa riserva a migranti e rom?

«Qualunque società che non sia capace di creare spazio, di fare spazio, per tutti e tute, anche per i migranti che non sono nati nel Paese, è una società ingiusta. Credo che tutti i cittadini e le cittadine del mondo che stanno stanno vivendo in altri Paesi devono essere trattati come se fossero a casa. Una società che oggi non crea gli spazi per i rom, domani non sarà capace di creare spazi per l’altro».

Cosa dobbiamo fare per coinvolgere altri rom e lottare per i nostri diritti?

«Vi sono due modi per fare i conti con l’esclusione: uno è cercare di essere inclusi nelle strutture che ti escludono ma queste strutture ti metteranno fuori perché sono costruite per farlo. Per esempio il patriarcato esclude le donne, l’esclusione razziale esclude i migranti che non considera parte del cerchio dominante e il dominio del denaro (cioè il dominio che sta alla base della crisi con cui l’Italia sta facendo i conti) esclude i poveri: sono tutte strutture escludenti. L’altro modo per combattere l’esclusione è dire “noi possiamo creare un mondo migliore e includiamo noi stessi e altri al suo interno”. E’ spostare l’asse, al centro ci sono tutti; le donne diventano il centro, è per questo che dopo il crollo della Wto lo slogan dei movimenti è diventato “un altro mondo è possibile”».

Dopo le prime domande è Smeralda, 19 anni, a vincere la timidezza e a prendere parola: dice a Vandana che è vero, in tutto il mondo le donne sono lasciate ai margini, «si pensa che non sanno produrre, che non sono utili, ma noi sappiamo che le donne sanno fare tante cose, noi donne rom ad esempio facciamo di tutto. Bisogna partire dei nostri saperi e non aspettare che qualcuno venga a salvarci. In India come nella periferia di Roma dobbiamo organizzarci per cambiare quello che non ci sta bene».

Anche Shila, ventidue anni, partecipa alla conversazione. In Europa i politici pensano che controllando il flusso di persone diverse o controllando il brevetto dei semi riusciranno a costruire «società omogenee che non mettano a rischio le strutture di potere esistenti – dice Shila – ma dobbiamo essere orgogliosi delle diversità di ogni tipo, a cominciare dalla nostra diversità rom, siamo unici ma abbiamo diritti universali. Bisogna imparare a valorizzare la diversità, ci aspetta una lunga strada».

A salutare e ringraziare Vandana Shiva ci pensa Brenda, vent’anni appena compiuti: «Sei una donna forte, anche noi dobbiamo esserlo. Ci hai trasmesso forza e solo con la forza riusciremo ad arrivare lontano».

(*) Vandana Shiva è stata a Roma invitata da Terra onlus e da gruppi che si occupano di recupero delle terre e di orti urbani. In questa occasione ha avuto modo di fare un incontro particolare con alcune giovani ragazze e donne rom protagoniste di un laboratorio di videonarrazione, portato avanti nella periferia est di Roma dal Centro culturale Michele Testa (con l’aiuto dell’artista Maria Rosa Jijon e del Laboratorio di Arti civiche dell’università di Roma Tre). Comune Info era presente all’incontro: riprendo da http://comune-info.net una parte della conversazione.

 

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