Realizzàti o assistiti? Ancora sul reddito di sudditanza

18esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Ancora sul reddito di sudditanza. passando per la Francia e per altri «sotterranei».

Moi aussi, j’attends de revenir… J’erre dans l’Hadès du chômage, tapi dans ce que Kundera appelle la « pénombre de dépersonnalisation ». Car il est exilé, banni, excommunié, celui qui pointe à l’ANPE. En entrant dans l’antimonde des demandeurs d’emploi, son identité se défait, se morcelle. Il devient une âme morte parmi les vivants.

Jean-Louis Cianni, La Philosophie comme remède au chômage, pag 55

Anche io aspetto di tornare… Erro nell’ade della « disoccupazione assistita », relegato in quello che Kundera chiama « penombra della spersonalizzazione ». Perché è esiliato, bandito, scomunicato, chi punta all’ANPE. Entrando nell’antimondo dei richiedenti un impiego, la sua identità si disfa, si disgrega, si frantuma. Diventa un’anima morta fra i viventi.

Queste parole di Jean Louis Cianni le ho trovate come citazione, o meglio come epigrafe del testo Le travail fantome des chercheurs de travail di Jean Robert. «Le travail fantome» vuol dire «lavoro ombra», che rimanda al famoso libro di Ivan Illich, di cui Robert è stato amico e collaboratore. Bisogna chiarire qualche punto o meglio avere qualche termine di riferimento: il termine «chomage» in francese vuol dire «disoccupazione», però nella parlata corrente vuol dire anche «disoccupazione assistita», cioè sussidio. Negli ultimi venti anni in Francia ha cambiato diversi nomi : RMI negli anni ’90 e dagli anni 2000 RSA (Reddito sociale di assistenza o Reddito di solidarietò e assistenza). L’ANPE è l’Agenzia Nazionale Pour l’Emploi, in italiano sarebbe traducibile così : Agenzia nazionale per trovare lavoro.

L’altra epigrafe (citazione all’inizio di un capitolo) – che non riporto perché troppo lunga – è un gioco di parole di Pierre Bourbaki, anzi un gioco di acronimi come ERD, DAGEMO , SCRE, ANPE e altri che parlano di quella spersonalizzazione e di quella alienazione che riguarda chi si riduce o si affida a uffici e impiegati per trovare un lavoro o avere (le cose sono collegate) un sussidio di disoccupazione. E’ ovvio che questi argomenti non sono molto discussi in Francia come altrove: prova ne è il fatto che il testo di Jean Robert – che secondo me bisogna tradurre in italiano- doveva essere pubblicato come capitolo finale del libro di Majhid Ranhema, La puissance des pauvres (Actes sud, 2008) ma all’ultimo momento l’editore non ha voluto. Evidentemente tocca nervi scoperti di un sistema di assistenza sociale che non è tutto rose e fiori, anzi le spine ci sono ma non si vogliono far vedere : spine «sottopelle», se mi è concesso il termine.

In Francia, e credo anche in Belgio, esistono contributi per una critica a questo tipo di assistenza che Ivan Illich non esiterebbe a definire perversa. Oggi in Italia cominciamo a confrontarci con questa dimensione, noi che fino a ora siamo rimasti scevri e al riparo dal tipo di welfare nordeuropeo che produce diversi tipi di effetti collaterali. Da quando è «partito» (almeno sulla carta ma a breve sarà applicato) il decreto che stabilisce l’istituzione del Reddito di cittadinanza – di cui ho già scritto a ottobre 2018 qui in Bottega – è partita anche la febbre dell’alienazione e della prostrazione.

Alcuni – non tanti fortunatamente – mi hanno proposto di fare domanda. Io rispondo che un lavoro ce l’ho: cioè io produco, anzi autoproduco, e vivo di questo. Ma la cosa più interessante è un’altra: qualcuno mi ha detto chiaramente che farebbe carte false per avere il reddito di cittadinanza, o comunque io dovrei farle, come tanti in Francia e in Belgio (come raccontavo nel precedente – Reddito di cittadinanza, cioé: deprimiti e non ribellarti – con la riflessione sulle burocrazie che inducono a fare carte false, altro che il mito dei Paesi europei dove tutto è legale, efficiente, trasparente.

Da diversi anni in Italia serpeggia e circola una proposta non ufficiale di reddito di cittadinanza o meglio distribuire soldi «senza far niente» dicendo chiaramente: «devi partecipare una volta al mese a una riunione, pro forma», e ti danno 1300 euro al mese. Ho preso parte a una riunione, in Liguria, di questi « circoli » (10 persone per ogni località) che fino a tre anni fa, a detta dei promotori, coinvolgevano in Italia quasi 70 mila persone.

La proposta ovviamente nascondeva una gabbola, di tipo morale, e tanta fuffa: che io sappia delle persone che avevano aderito, in quella riunione alla quale partecipai, nessuno aveva ricevuto i soldi promessi dopo un anno dall’avvio della «collaborazione» (nella gabola c’è anche la quota minima di 1 euro al mese che ognuno degli aderenti deve versare fin dall’inizio, prima ancora di ricevere i soldi promessi: soldi che si fregano i capoccia dell’operazione?). La cooperativa che gestisce i soldi si chiama CUEM, in pratica propone di fare da prestanomi per una cordata di banche cinesi e di altri Paesi europei: bastava mettere una firma e ti ritrovavi, nel giro di pochi mesi, uno «stipendio» di 1300 euro al mese. A parte i dettagli tragicomici della riunione alla quale partecipai, voglio ricordare la reazione di Roberto, l’unico che reagì dignitosamente: fece notare che ci stavano proponendo, parlando di amore, equità e alti valori, di fare da complici di operazioni illegali di alcune banche magari provocando instabilità e alimentando conflitti in Paesi del Sud del mondo e cose del genere: Roberto se ne uscì sbattendo la porta. Io pure andai via dopo aver sostenuto con più pacatezza quello che aveva detto Roberto. Sarebbe interessante indagare nei dettagli questa operazione CUEM e tutti i suoi addentellati. La cosa che mi colpì positivamente fu quella reazione di «altri tempi» di Roberto, che è di Milano e abita nella campagna della Liguria, il quale pur non avendo grandi introiti e per certi versi essendo in difficoltà economiche, mise al primo posto il senso morale, o etico che dir si voglia. Per quanto mi riguarda cominciai a realizzare la forza interiore e la rivendicazione del mio vivere di quello che produco o comunque del mio non accettare moralmente proposte e offerte di «denaro facile», anche praticamente e non solo a livello ideale e teorico. Ciò che successe in quei giorni mi fece prendere coscienza della mia forza interiore (forse più ancora fu quella di Roberto che a differenza di me, lavora per altri saltuariamente quando lo chiamano in campagna). La padronanza materiale e spirituale di sè stessi è la base di una società sana: quando ci sono migliaia o milioni di persone che si affidano o si «spersonalizzano», perché non sono realizzati o consapevoli delle proprie potenzialità o attività individuali, questo vuol dire che un sistema sociale è malato, alienato, disgregato. Se avere «una serenità economica» magari indotta da un’ Agenzia Statale o privata (vale anche per il lavoro salariato in quanto tale, in linea di massima) che ti garantisce una sussistenza, deve comportare uno squilibrio psicoemotivo, o un abbattimento o un rinvio della piena realizzazione personale, questa è perversione. Illich usa un’espressione latina : corruptio optimi pessima est ovvero la corruzione dei buoni è pessima. Se pensiamo sia bene avere una elemosina che ci tiene buoni e ci garantisce la sussistenza, ma ci costringe a «errare nell’Ade della disoccupazione assistita», allora meglio – sempre per citare Illich – la Disoccupazione Creativa come alternativa desiderabile all’attuale declino delle forme tradizionali d’impiego. Lo chomage è qualcosa di marcio, vecchio, putrido: quello che invece ci attende è la liberazione e la realizzazione delle nostre possibilità, altro che aspettare l’elemosina schiavizzante a livello emotivo e psicologico! Dobbiamo guardare avanti, anche in senso utopico: a un mondo senza automobili (prendendo spunto dal libro di Colin Ward, Dopo l’automobile) e in cui farci carico della nostra responsabilità imparando a gestire il nostro tempo e i ritmi puntando all’autorealizzazione. Discorsi che possono sembrare difficilmente attualizzabili, ma sicuramente sempre più attuali, nella misura in cui il nostro immaginario è minacciato di restringersi, essere mortificato e, soprattutto, desertificato. Poi in un’altra sede – per non dilungarmi troppo qui – affronterò il discorso della storia del sistema sociale o welfare, e inevitabilmente la storia dei bisogni, e anche per questo c’è da attingere ai testi di Illich.

PS: Altro discorso fondamentale che forse è sotto traccia : il sistema sociale di assistenza, oltre una certa soglia, brucia e distrugge la solidarietà diffusa e spontanea, anche di questo parla bene Illich. Io ho sperimentato personalmente, come artista di strada, questa dimensione: in Francia è impossibile vivere così se non forse in certi festival. Il principio è questo: se ti dà i soldi lo Stato – pensa un cittadino francese medio – io non ti dò neanche un centesimo per lo spettacolo o per il ritratto che mi proponi per strada. Ma le condizioni a cui devi sottostare per avere un aiuto dallo Stato, come artista, sono altrettanto frustranti e alienanti di quelle del sussidio di disoccupazione o RSA che dir si voglia. Insomma lo Stato, nella sua perversa pervasività, fa sì che gli abitanti di Francia o Belgio si sentano esonerati dal sostenere minimamente in modo spontaneo e diffuso un artista. Non è un caso che molti artisti di strada francesi, spagnoli e di altri Paesi anche del sud America (ne ho conosciuti tanti) vengano in Italia perché qui resiste ancora una solidarietà innata e spontanea nei confronti di chi vive con le proprie autoproduzioni artistiche. Ma anche qui sta cambiando tanto, in materia di repressione amministrativa ecc. Forse un po’ ho semplificato per quanto riguarda «altri Paesi europei»: io parlo per la Francia dove sono stato per un periodo significativo. Ma è vero che se io non sono più stimolato a cercarmi e a inventarmi un mio modo di stare al mondo, e provare a scambiare quello che produco e di dare un valore a tutto questo, perderò autonomia e creatività, precipitando in quella «nuova forma di povertà che si ingenera quando la dipendenza dall’Istituzione supera una certa soglia» (Illich, Disoccupazione creativa) e poi giù giù fino all’Ade di cui parla Jean Louis Cianni, che varrebbe la pena, a questo punto, conoscere meglio a partire dal titolo citato all’inizio.

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

Redazione
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