Ricordando il pensiero critico di Herbert Marcuse

di Fabrizio Melodia


«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civilità industriale avanzata, segno di progresso teorico»: così inizia «L’uomo a una dimensione» (1964) l’opera cardine del filosofo Herbert Marcuse, di cui il 19 luglio ricorre l’anniversario della nascita.
Una storia personale assai travagliata. Nato a Berlino 19 luglio 1898 da famiglia ebrea, chiamato alle armi nella prima guerra mondiale subito dopo il diploma, laurea a Friburgo in germanistica, assiste alla rivolta spartachista e alla barbara morte di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Lavora inizialmente sotto l’egida del filosofo Martin Heidegger, di chiare simpatie naziste, per poi approdare nel 1932 all’Istituto di Ricerche Sociali a Francoforte, similmente ai suoi colleghi filosofi Max Horkheimer e Theodor Adorno.
Prima che Adolf Hitler ottenesse il potere assoluto, Marcuse – percependo la pessima aria di dittatura – si rifugiò in Svizzera per poi emigrare definitivamente negli Stati Uniti, intraprendendo una carriera da ricercatore e da docente.
Lo ricordiamo per la teoria critica, praticata con la Scuola di Francoforte: una filosofia che mette insieme in maniera assai originale marxismo, psicanalisi freudiana e indagine sociale, un modo di andare nel profondo per dissotterrare il marciume sottostante alla società e analizzarlo alla luce del sole. Era una filosofia pericolosa, contrariamente a quella professata da Martin Heidegger nell’opera «Essere e tempo» (1927) in cui si mette in luce il distacco mistico del filosofo rispetto alla realtà, una acriticità che affonda le sue radici nella deriva del linguaggio e nell’impossibilità di descrivere e comprendere il mondo.
Marcuse portò avanti la filosofia di Adorno e Horkheimer, arrivando a risultati molto originali nella sua opera più nota, «L’uomo a una dimensione», la quale ottenne un grande successo grazie alla contestazione studentesca poi etichettata come “il Sessantotto”.
La non-libertà della civiltà industriale analizzata da Marcuse presenta quel marcio inconscio o taciuto che cresce in continuazione con il potere dell’industria e del mercato, fino a inglobare tutto, persino i pensieri.
L’indagine e l’accusa di Marcuse è radicale, una autentica bomba nel tessuto della società industrializzata: non importa che siano capitaliste o “comuniste”, le società che fanno dell’industria la base della propria civiltà sono colpevoli di mettere al mondo una figura artificiale, intesa come semplice mezzo di produzione. L’uomo, la natura, ogni cosa diventa misurabile, quantificabile, controllabile: tutto viene livellato a una dimensione unica. Esempio massimo risulta essere la filosofia positivista, vero baluardo del modo di fondare una società malata in modo grave.
Tale malattia è talmente perfetta da essere inconscia e confortevole perchè non si vede. Ma si sente… Così la società riesce a far accettare all’essere umano la sua condizione di schiavitù monodimensionale rendendola – in alcuni contesti – persino confortevole, bene accetta. Vi ricorda qualche romanzo di fantascienza, magari di Philip Dick? Naaaaaaah, siete gente impressionabile.
Ogni aspetto del Negativo hegeliano, il momento in cui le forze si contrastano per poi sfociare nel cambiamento (come racconterebbe Marx che di Hegel fu lettore attento e intelligente) viene a cadere. Tutto è livellato, monodimensionale: un solo colore, una nota unica, lo stesso orizzonte piatto.
La cultura è una merce come tutte le altre, perdendo ogni forza sovversiva. Il carcere perfetto, dove tutti abbiamo solo un compito: produrre, consumare e morire.
La libertà della società industriale – come possiamo vedere ogni giorno con i nostri occhi – consiste nell’avere l’ultimo modello di cellulare, una “bella macchina”, una vacanza in posti “esotici”. Senza comprendere cosa davvero manca: la libertà della scelta, il pensiero critico vero, il poter decidere. Siamo alieni a noi stessi.
Cosa sopravvive oggi di questa pratica filosofica? Chi sono gli odierni marcusani, ben dopo la beat generation e la contestazione studentesca? Forse gli scrittori di fantascienza. Oppure i nuovi iconoclasti. Gli eterni scontenti?

Buon compleanno, Herbert Marcuse: che la Teoria Critica possa diventare una buona pratica quotidiana.
PER APPROFONDIRE – MA DOPO AVER LETTO (O RILETTO) I SUOI LIBRI – CONSIGLIO:
Raffaele Laudani “
Politica come movimento: il pensiero di Herbert Marcuse”, Bologna, Il Mulino, 2005.


SULLA SCUOLA DI FRANCOFORTE:

Alfred Schimidt e Gian Enrico Rusconi “La scuola di Francoforte: origini e significato attuale”, Bari, De Donato, 1972.
Therborn Göran “
Critica e rivoluzione: saggio sulla Scuola di Francoforte”, Bari, Laterza, 1972.
Pierre V. Zima, “
Guida alla Scuola di Francoforte: la dialettica del particolare”, Milano, BUR, 1976.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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