Ridare nomi e volti: mostra a Palermo

da «Corriere dell’immigrazione» (*)

Sabato 5 a Palermo – nella biblioteca comunale Casa Professa – si è aperta «Corpi migranti», una bella mostra per le scuole che merita di essere vista (fino al 18 ottobre) e di girare anche nel resto d’Italia.

Ridare i nomi alle persone. Sembra banale ma ognuno può riflettere su se stesso e cercare di capirlo. Io entro in relazione con gli altri perché sono Daniele e per questo piaccio o dispiaccio. Se andassi ad abitare (in esilio? in cerca di fortuna? per amore? a caccia di un lavoro?) in un altro Paese – come accadde a un mio cugino negli anni ’60 – dovrei ricominciare e per molte persone, almeno all’inizio, sarei «l’italiano»; dovrei fare i conti con gli stereotipi: buoni o cattivi ma sempre pre-giudizi cioè valutazioni date prima di conoscermi, sull’idea di come dovrebbe essere (anzi: è) un italiano-tipo. In qualche modo diverrei un rappresentante di Dante e della mafia, di Totti o di Giuseppe Verdi, di Berlusconi o del Colosseo, della Ferrari o degli spaghetti… A voi native/i, che state leggendo, piacerebbe portare un simile carico? A me fa venire i brividi solo pensarci.

In questo banale esempio sto comunque fantasticando di partire – e arrivare – in sicurezza: non riesco a spingere l’immaginazione allo scappare di notte, fare un lungo e pericoloso viaggio, arrivare in un luogo dove per il solo fatto di entrare si compie un reato. Per chi migra oggi verso l’Europa quasi sempre è così o molto peggio. Non dare un nome e un volto rende più facile disumanizzare e dunque non capire che quella morte oppure successo, dunque ogni storia, rimanda a una persona precisa e unica.

«Corpi migranti» ha 4 parole nel sottotitolo che corrispondono a 4 sezioni della mostra: «(bi)sogni – respinti – integrati- italiani».

Si legge nella presentazione: è «un percorso fotografico che racconta, i sogni, la storie la realtà di persone che nel viaggio che li conduce lontano dal proprio mondo di origine, perdono l’identità di esseri umani e diventano appunto “corpi”.Corpi che vengono imbarcati, corpi che si perdono in mare, corpi che vengono respinti, corpi che diventano illegali, corpi che vogliono tornare ad essere persone e lottano per l’integrazione».

Piaccia o no è «un fenomeno che sta cambiando gli assetti della società italiana ed europea», anzi che li ha già cambiati. Soprattutto «le giovani generazioni sono e saranno chiamate a confrontarsi»… oppure (ma che così non sia) a fare una nuova “guerra”, aperta o strisciante ma sempre inutile come è ogni guerra.

«La mostra, valorizzando la sinergia di diversi linguaggi comunicativi, propone le immagini di fotografi e registi che hanno fissato nell’obiettivo fotografico situazioni, volti di uomini, donne, bambini in cerca di un futuro lontano da guerre, persecuzioni e povertà, rischiando tutto quello che hanno: la loro vita».

Persone che in Italia daranno le loro fatiche e sofferenze ma molto spesso il loro valore e la loro umanità; così «nascono anche opportunità per chi accoglie e per chi viene accolto: una nuova visione di società interculturale dove la condivisione e la conoscenza reciproca rappresentano la vera risorsa su cui tutti possono contare». E dunque «l’obiettivo della mostra è dare un’opportunità di vedere l’immigrazione non come un problema, ma una realtà positiva, un’opportunità, una risorsa».

La mostra «Corpi migranti» parte con un video realizzato dalla Fondazione Nigrizia che introduce le 4 sezioni: «(bi)sogni» cioè le cause che inducono a lasciare la propria terra e ricominciare a vivere in un altro paese; «respinti» ovvero il rischio di essere respinti e/o diventare clandestini; «integrati», il successo di molti immigrati; «italiani» cioè essere davvero cittadini, un obiettivo che è più facile per le cosiddette seconde generazioni (cioè chi nasce qui fa genitori migranti) ma che in Italia è gravemente compromesso per l’assurdità della legge attuale, il cosiddetto «ius sanguinis» invece dello «ius soli» che vige nella stragrande maggioranza dei Paesi europei.

In particolare «nella sezione INTEGRATI, le immagini di Giuliano Matteucci, sono un’occasione per conoscere storie di migranti che nella normalità della loro vita sono riusciti a imporsi, avendo successo e integrandosi. Gli “studi fotografici aperti” di Alan inducono a riflettere sul rapporto che si viene a creare fra l’ambito della modernità e quello delle tradizioni, sulla percezione e coscienza delle identità. Infine, uno sguardo è rivolto alla realtà dei giovani delle seconde generazioni, quelli che non sono stranieri, immigrati, ma italiani. La testimonianza visiva del loro mondo, delle identità, delle storie, e le prospettive per il futuro. La sezione ospita contributi video, e fotografici della Rete G2-Seconde Generazioni e della fotografa Medhin Paolos».

Per le classi che visiteranno «Corpi migranti» si immagina da un’ora a due. Che iniziano con il video che pone domande di questo tipo: cosa sapete dei migranti? Conoscete le situazioni da cui vengono, le ragioni che spingono a partire? I costi, i bisogni, le speranze che coltivano? E poi i «luoghi comuni» cioè frasi ripetute senza chiedersi se sono vere: «ci rubano il lavoro; sono un peso per la nostra società; aumentano la delinquenza»… La mostra propone i dati veri dell’immigrazione ma logicamente risponde solo in parte a domande così difficili, richiedendo successivi approfondimenti.

Si capisce con la testa e con il cuore ma molto si impara usando bene i nostri sensi. E’ possibile, visitando «Corpi migranti», almeno in parte «vedere» attraverso le foto «situazioni di guerra, di povertà, di precarietà, di condizioni di vita estreme, che causano la necessità di cercare posti più vivibili». E almeno in parte «udire»: con i filmati di Enrico Dagnino che documentano «il primo respingimento al largo di Lampedusa a opera di una motovedetta italiana frutto dell’accordo italo libico» e con gli spezzoni del docu-film «Mare chiuso» (del 2012, di Stefano Liberti e Andrea Segre; se cercate il dvd lo trovate nell’edizione Minimum Fax e Zalab con un altro video e un libro di 82 pagine). E ora la mostra invoglia a «toccare»: il lavoro dei migranti, i loro abiti moderni e tradizionali (che si possono indossare) ma anche «prodotti, tessuti, odori e profumi che vengono da lontano».

La quarta fase del percorso didattico prevede – prima della discussione fra studenti – di incontrare (anche con un video realizzato dalla rete G2) le cosiddette seconde generazioni. Sarebbe più giusto chiamarli «nuovi cittadini» ma finché non muta la legge questo resta solo un auspicio.

La mostra è promossa dalla famiglia dei missionari comboniani di Palermo con molte collaborazioni. Aperta fino al 18 ottobre dal lunedì al venerdì in orario 8.30-13; di mercoledì anche il pomeriggio. Ingresso gratuito ma è bene che le scuole si prenotino. Per informazioni giuliadimartino@hotmail.com oppure don Mario Fugazza (091 303042, 338 5378312). Con la mostra collabora il Centro Astalli (www.centroastalli.it/‎) che è disponibile a portare nelle scuole le testimonianze di alcuni migranti.Ed è ovviamente possibile, dopo la mostra, continuare con un «percorso di approfondimento con testimonianze, video, statistiche».

Se, come è da augurarsi, la mostra girerà l’Italia probabilmente muterà forma e si arricchirà. Su questa bella idea di base (ridare nomi e volti alle persone oggi) c’è un libro – che ha generato anche uno spettacolo – che potrebbe essere utilmente recuperato. Si chiama «Undici» ed è stato scritto, 4 anni fa, da Savina Dolores Massa. L’autrice parte da una notizia, che più tremenda e scarna non si può, del 4 giugno 2006: un pescatore vede una barca affondata con dentro 11 cadaveri. Savina Dolores Massa con la fantasia ricostruisce le loro storie, anzi le fa raccontare a loro (attraverso un griot, un cantore, che è sull’imbarcazione) prima che la morte giunga. Se ai morti e ai vivi diamo un nome, se conosciamo le loro storie non saranno più estranei, semplici numeri.

Redazione
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  • (Ciao) Se un giorno riusciremo a essere consapevoli del fatto che siamo tutte e tutti terrestri e che quindi siamo sostanzialmente nate e nati nello stesso punto … ma basterebbe ricordare le stelle nel cielo di notte, se solo fossimo in grado di vederle, non guardarle, ma vederle e pensarle … (buona notte, ciao)

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