Rischio “corona”: un appello e alcuni consigli

di Vito Totire

Anzitutto prevenzione, cura e sostegno ma serve anche una indagine penale! Appello ai lavoratori e ai cittadini per fermare la strage in atto e prevenire le prossime possibili.

Bozza con appunti e spunti per costruire un manuale di autodifesa per le persone e per i lavoratori esposti a rischio.

Un dato macroscopico in tutta Italia è, nel quadro epidemiologico nazionale, la quota di soggetti positivi e malati “occupazionali” (persone cioè contagiatisi o ammalatisi «in occasione di lavoro») ; questa alta percentuale pone interrogativi utili non solo per la storia dell’epidemia ma anche e soprattutto per il futuro; questo anche alla luce della previsione fatta dall’epidemiologo Paolo Vineis secondo cui questo corona virus – segno anche di uno squilibrio ambientale – potrebbe essere seguito da altri…

Il decesso di 73 medici (alcune fonti riferiscono di un numero che si va avvicinando ai cento; e quanti invece gli infermieri e gli altri operatori sanitari?) depone per il fallimento clamoroso delle misure di prevenzione della salute nei luoghi di lavoro. Su questo torneremo.

I dati disponibili oggi, pur parziali e contraddittori, sono molto evidenti:

  • Il più chiaro è forse quello della Ausl di Bologna che dal 28 marzo all’8 aprile (nei report dei giorni precedenti il dato non c’è) riferisce di una quota di positivi del 19% provenienti dal comparto sanitario più un 4% proveniente dal comparto sociosanitario; dal 28 marzo all’8 aprile le percentuali del dato occupazionale sono sempre le stesse mentre variano i dati che riguardano il rapporto (generale) fra sintomatici e asintomatici, fra positivi maschi e femmine e il rapporto di mortalità maschi e femmine pur rimanendo nettamente, quest’ultimo, a svantaggio dei maschi
  • Alcuni sindacati dei lavoratori hanno riferito percentuali del 10% (media regionale?) sulla totalità dei soggetti positivi provenienti dal comparto sanità ; si tratta di una media regionale della Emilia-Romagna, quindi molto più bassa di quella di Bologna? O sono cifre non verificate? Abbiamo sondato in altre province dell’E-R: il dato sui casi occupazionali non è disponibile. Certo la media tra Ferrara è Piacenza, per fare un esempio, pare tutta da verificare
  • L’Ordine dei medici di Bologna riferisce invece la percentuale del 15 % come entità dei positivi provenienti dal comparto sanità
  • Comunque sia anche a Bologna mancano le stime sui positivi di origine occupazionale appartenenti a comparti diversi da quello socio-sanitario (servizi, operatori funerari, trasporti ecc.); dati giornalistici preoccupanti invece riguardano il personale sanitario delle carceri (Il Resto del Carlino 4.4.2020, cfr nota 1) : vorremmo che i dati fossero elaborati formalmente dalla Ausl di Bologna a cui abbiamo chiesto di redigere una relazione epidemiologica;
  • mancano totalmente dati sui casi cosiddetti “paralavorativi” insorti a partire da soggetti diventati positivi in ambito occupazionale che possano aver diffuso il virus non solo a domicilio ma sul loro stesso luogo di lavoro ad altri colleghi o agli utenti
  • mancano notizie circa comunicazioni alle Procure di refertazioni ai sensi degli articoli 590 e 589 del Codice Penale (omicidio colposo e lesione colposa) ; se le refertazioni fossero uguali zero come essere certi di trovarci di fronte alla inottemperanza all’obbligo di referto (articolo 365 CP) , un obbligo richiamato, di recente, da Raffaele Guariniello?
  • mancano totalmente notizie dal versante Inail sugli infortuni o decessi o assenze per malattie riconosciuti come professionali (la nostra richiesta via pec all’Inail di Bologna è rimasta inevasa)

COMUNQUE SIA UNA FALLA MACROSCOPICA – CHE HA FAVORITO LA DIFFUSIONE DELLA EPIDEMIA – E’ DA INDIVIDUARSI NELLA DEFAILLANCE DELLE MISURE di PREVENZIONE NEL COMPARTO SOCIO-SANITARIO E DEI LUOGHI di LAVORO IN GENERE (leggiamo in queste ore la dichiarazione di una infermiera dell’Opera Pia Trivulzio di Milano commentata dai media col titolo “carne da macello”);

Drammatica era la lettera aperta della dottoressa neurologa dell’ospedale Bellaria diffusa dall’Ordine dei medici di Bologna il 28.3.2020.

Quella lettera evidenzia:

  • manifestazione di casi di positività ai primi di marzo nel reparto di neurologia
  • avvenuto contagio nonostante la dottoressa non abbia prestato assistenza propriamente “diretta” a pazienti positivi
  • indisponibilità di dispositivi di protezione individuali per le vie respiratorie
  • indicazioni assolutamente incongrue fornite dalla “medicina del lavoro” sulla condotta da tenere in caso di pur sospetta positività; occorrerà approfondire se si sia trattato della “medicina del lavoro” nel senso del medico competente aziendale o del servizio di vigilanza; si vedrà nel prossimo futuro.

Questo per quanto attiene alla salute e sicurezza degli operatori sanitari. La lettera-denuncia appena citata però evidenzia ulteriori gravi lacune e incongruenze nel successivo percorso diagnostico-terapeutico (nella fase in cui cioè l’operatrice sanitaria diventa paziente). Incongruenze che, in parte, si ripercuotono sulla speranza di salute della persona che ha bisogno di cure ma anche – mutati i ruoli – di chi assume, nei suoi confronti, ruolo di terapeuta. La lettera/denuncia è stata inviata ai massimi dirigenti e responsabili della sanità pubblica bolognese, regionale e al ministro della Salute.

Occorrerà scomporre gli scarsi dati oggi disponibili e approfondire – caso per caso – la anamnesi personale e lavorativa dei singoli soggetti diventati positivi al fine di fare una fotografia esaustiva della dinamica della epidemia.

Il caso del Bellaria rende infondata e persino inquietante la ipotesi che i filtranti facciali debbano essere “raccomandati” – addirittura sulla base del “principio di precauzione” – solo per le circostanze in cui si svolgono interventi invasivi che sarebbero quelli suscettibili di provocare la diffusione del virus via areosol (è questa la posizione, come vedremo, assunta dall’ISS, Istituto Superiore di Sanità).

Invece il documento di Guariniello – che citiamo in bibliografia – chiarisce, con la solita precisione del magistrato emerito, la incongruità del parlare di “raccomandazione “ a proposito di ddppii (dispositivi protezione individiali) il cui uso è non solo obbligatorio ma anche oggetto di vigilanza; questo nella normativa in vigore in Italia, normativa che il documento dell’ISS “trascura” (per usare un termine eufemistico).

Anche su questo torneremo; è un tema che ha fatto emergere critiche da diversi operatori, ad esempio dall’Anaao del Piemonte, sindacato a cui dichiariamo la nostra solidarietà , estesa ovviamente a tutti i lavoratori.

COSA SAREBBE SUCCESSO SE FOSSERO STATE MESSE IN CAMPO TEMPESTIVAMENTE LE ELEMENTARI e OBBIGATORIE MISURE di PREVENZIONE PREVISTE PER I LUOGHI di LAVORO ?

Tutti sanno che fornire i dispositivi di protezione individuale (che sono un “pezzo” , diciamo quello “finale”, delle misure di prevenzione, dopo le misure logistiche e organizzative collettive) è un obbligo formale per il datore di lavoro fin dal 1955-1956 (decreti 547 e 303) quando appunto sono subentrate specifiche norme tecniche a supportare l’imput, già molto chiaro, del codice civile (articolo 2087, responsabilità morale e materiale del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza del lavoratore).

Come hanno agito – prima dello scoppio della epidemia, e dall’inizio della fase di incubazione – i datori di lavoro (in particolare i direttori generali delle Ausl, i datori di lavoro delle case per anziani, ecc.)? Come hanno agito i servizi di prevenzione e protezione eventualmente coadiuvati dai medici competenti aziendali, dai comitati per la prevenzione della infezioni ospedaliere (questi ultimi non rientrano precisamente nel sistema del TULS (cioè il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) 81-2008 ma che comprensibilmente,dispongono di professionalità utile per “dare una mano”?

Un elemento che rende ancora più cogenti queste domande sta nel fatto che sono state date indicazioni operative specifiche per i luoghi di lavoro anche dal governo, benché tardive e meno pregnanti delle norme già in vigore, come abbiamo detto, dagli anni ’50 del secolo scorso. Il governo e i sindacati nazionali comunque hanno redatto (col protocollo del 14 marzo) semplicemente un pro-memoria ricordando opportunamente anche il ruolo degli rrllss e- i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza – dando qualche indicazione organizzativa quale quella di costituire comitati aziendali ad hoc e provvedere alla sanificazione quotidiana. Niente di nuovo: appunto un utile ma “ovvio” pro-memoria.

Tuttavia c’è un soggetto non citato dal protocollo governo-sindacati: si tratta dei servizi territoriali di vigilanza (che ogni Regione , determinando confusione tra i non addetti ai lavori, si ostina a chiamare a modo suo: uospal, spisal ecc. cioè la “medicina del lavoro” delle AUSL) con i suoi ufficiali di polizia giudiziaria (uuppgg).

Inevitabile, anche per questo, la domanda: come, dove, quando e con che riscontri sono intervenuti a Bologna, in E-R e in tutta Italia, i servizi di vigilanza sui luoghi di lavoro?

Non possiamo tacere , purtroppo, la problematica discussione sulla “vigilanza domestica” ma è una “complicanza” che non è il caso di approfondire in questa sede.

Questo “apparato” che abbiamo menzionato – di addetti, preposti, consulenti ecc – pur essendo autonomo afferisce , per quanto riguarda la sanità pubblica, alle Regioni, alla loro direzione e coordinamento.

Se questo sistema di vigilanza / prevenzione non ha funzionato le Regioni ne sono pienamente responsabili, sul piano politico e morale.

SI DEVE PRENDERE ATTO QUINDI DEL FATTO CHE LA GESTIONE DELLA EMERGENZA OGGI E’ NELLE MANI di CHI AVEVA GLI STRUMENTI E IL DOVERE GIURIDICO e PERSINO “CONTRATTUALE” di EVITARLA (o realisticamente di “contenerla” inmodo significativo) .

Conosciamo e prevediamo le osservazioni possibili su queste affermazioni :

l’emergenza, il fattore sorpresa, le scarse conoscenze sulle caratteristiche del virus…

Tutto vero, in parte, ma le “attenuanti” non modificano la sostanza dei fatti che evidenziano comunque gravi ritardi e gravi omissioni.

Peraltro: che le misure da adottare non fossero totalmente “nuove” è reso evidente da una riflessione emersa, tanto per fare un esempio, in un seminario ECM (educazione continua in medicina) tenutosi a Bologna poco tempo prima dell’inizio della epidemia in Cina. La consapevolezza con cui “prima” del coronavirus si gestiva la persona portatrice del virus del morbillo (non farla passare dal pronto soccorso!). Questa riflessione anche per sottolineare che gli ECM potrebbero essere davvero un momento utile, non solo per l’ aggiornamento dei medici ma anche per accrescere la consapevolezza collettiva di tutta a comunità degli operatori circa le misure di prevenzione da adottare.

IL DECRETO 81-2008 DEDICA UN INTERO TITOLO – IL TITOLO X (DALL’ARTICOLO 266 AL 286) – ALLA PREVENZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO. Ciò a “rinforzare” la memoria di un dettato normativo già consolidato a partire dal 1955-56; un dettato normativo in cui il dispositivo prevenzione individuale non è raccomandato (per citare un termine, del tutto inappropriato – utilizzato dall’ISS nelle indicazioni ad interim del gruppo di lavoro che si è occupato dei ddppii).

CI SIAMO CHIESTI E ANCORA CI CHIEDAMO: SE E DOVE IL DOCUMENTO di VALUTAZIONE DEL RISCHIO SIA STATO AGGIORNATO, IN TUTTE LE AZIENDE, SANITARIE E NON, IN CUI CIO’ ERA ED E’ NECESSARIO.

Su questo la discussione è aperta e già riscontriamo tesi “difensive” dei potenziali imputati sulla differenza tra rischio generico, rischio aggravato e rischio specifico.

Qualcuno tende a definire il rischio coronavirus esogeno e non endogeno rispetto alla organizzazione sanitaria. Noi la pensiamo, anche in questa circostanza, allo stessa maniera di Raffaele Guariniello (che ha peraltro dedicato al tema un corposo, nitido, prezioso contributo) : il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi a cui i lavoratori sono esposti. Per i coronavirus (come per tutti i rischi biologici) non deve valutarlo solo in caso di uso deliberato di manipolazione del virus o batterio che sia – ad esempio in occasione di studi ed esperimenti, produzione di vaccini ecc – ma in tutti casi; da questo punto di vista il virus rientra pienamente in quelli tabellati nell’allegato XLVI del decreto 81-2008 appartenendo alla famiglia dei coronavidae.

Ancora oggi, nelle condotte delle istituzioni e dei datori di lavoro, non c’è chiarezza sulle misure di prevenzione. Ancora persino alcuni “esperti” parlano di “grande confusione”. Come ha detto, in una recente intervista televisiva al giornalista Riccardo Iacona, un medico in rappresentanza degli anestesisti italiani, si è avuta l’impressione che il messaggio di alcune istituzioni sanitarie pubbliche fosse: “i ddppii validi sono quelli disponibili, gli altri…scarseggiano”. Come dire: la nave affonda, i salvagente scarseggiano, precedenza a donne e bambini… Nella regia cinematografica il discorso fila, nella gestione del rischio biologico nei luoghi di lavoro (o di vita) assolutamente no.

Se andiamo a consultare l’ultimo documento diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità sullo specifico argomento rimaniamo molto contrariati. Su questo torneremo ma dopo aver fatto una prima osservazione: il gruppo di lavoro ISS non include nessun operatore dei servizi di vigilanza nei luoghi di lavoro. Ci pare una lacuna grave. E’ incongruo anche non aver incluso nel gruppo di lavoro operatori dell’ex-Ispesl, ancorché questo ente – fagocitato dall’Inail grazie alle decisioni (di fatto unanimi) del ceto politico – dovrebbe tornare all’autonomia precedente. Oggi si discute sorprendentemente di ddppii “egoisti” (sarebbero quelli che proteggono l’operatore) e di ddppii “altruisti” (proteggerebbero anche il paziente). Il documento dell’ISS non fa riferimento – opportunamente – a queste due “categorie”. Infatti è evidente che tutti vogliamo (come impongono le norme!) ddppii che garantiscano sia l’operatore che il paziente. Questa “diatriba” non ha senso.

Quanto ogni singolo dpi protegga l’operatore e/o protegga il “contatto” è da affrontare caso per caso (per ogni tipologia di dpi) ma evidentemente su questo tema sono state diffuse informazioni non attendibili, per esempio sulle differenze tra mascherine chirurgiche e filtranti facciali con o senza valvola.

I problemi sui quali bisognava esser chiari fin dall’inizio della epidemia (anzi fin da prima della prevedibile incubazione) sono diversi :

  1. Dimensioni del virus; è anche o soprattutto in relazione a questo parametro che si definisce la efficacia di un dpi per le vie respiratorie; se i virus viaggiano tutti “in comitiva” saldamente uniti in goccioline di saliva (le “droplets” , termine pressoché sconosciuto agli italiani fino al febbraio 2020) che abbiano sempre dimensioni superiori a 5 micron, allora potremo definire con adeguati margini di certezza la efficacia di un dpi o un altro; ma se così non fosse…
  2. Dobbiamo fare tesoro delle conoscenze acquisite dai tempi in cui si fece più puntuale e approfondita la discussione sulla protezione del rischio amianto (inizi anni novanta del secolo scorso); una discussione e un confronto che però non furono mai affrontati in maniera esaustiva; la stessa maschera FFP3 non ferma per esempio le fibre con diametro inferiore a 0.2 micron (le “famose” fibre ultrafini, argomento tanto reale quanto oggetto di lunghe discussioni , gestite spesso con secondi fini, nei tribunali italiani); abbiamo una nostra opinione in merito che ci porta comunque a dire che la maschera FFP3 è assolutamente da indossare – nonostante la questione delle fibre ultrafini – in quanto una FFP3 va evidentemente oltre la sua efficienza teorica e negli esposti ad amianto riduce comunque in maniera molto elevata il rischio di inalazione pur senza azzerarlo al 100% ; ma il virus è cosa diversa, per varie ragioni (qui ci interessano soprattutto le ragioni fisiche) dall’amianto; torneremo, in atre circostanze, su queste importanti differenze;
  3. se un virus “viaggia da solo” le sue dimensioni (per carità, non lo abbiamo mai misurato di persona – lo diciamo per “sentito dire”) paiono essere dell’ordine di 80-160 nanometri; in questo caso il singolo virus oltrepassa persino e anche il filtro della maschera FFP3; questa questione si collega a quella relativa alla possibilità che il virus non si diffonda solo attraverso le droplets ma anche come areosol;
  4. Gli schiavi dei romani – dice Lucrezio nel “De rerum natura” – si coprivano le narici con vesciche di animale quando erano esposti a polveri; ottenevano qualche risultato? La sciarpa ventilata come utile – forse obbligatoria – dalla Regione Toscana preserva dal virus ? Questi quesiti vengono posti per evitare il “nichilismo protezionistico” ; in questo senso: tutto quello che comporta una riduzione della carica infettiva è utile; se l’abbattimento è al 99% o al 95% meglio che al 60% ma persino la sciarpa, al di là dell’aspetto “folkloristico” della questione, può avere un suo ruolo; da questo punto di vista pure la visiera lunga fino al mento garantisce una valida barriera anche se è necessario integrarla con un filtrante facciale; certo ne abbiamo visti di tutti i tipi: impiegati di banca con visiere al mento senza filtranti facciali, farmacisti con visiera al mento con sotto mascherine antipolvere… Abbiamo assistito ad annunci del tipo arrivano le mascherine Montrasio, arrivano le mascherine di tessuto non tessuto, arrivano le mascherine prodotte dai detenuti di Milano, Opera e Bollate (ma saranno validate dal Politecnico) o quelle “validate” (si dice) dall’Università di Bologna” … Questa “confusione “ emergenziale non deve scoraggiare, però deve essere motivo di riflessione e approfondimento al fine di assumere le decisioni più congrue in materia di sicurezza, ergonomia e anche di prevenzione della produzione eccessiva di rifiuti che poi dovremo smaltire. Le droplets cadono entro un metro? Su questo sono state date indicazioni ondivaghe e non sempre verificate; l’ISS ha sostenuto di fronte a milioni di telespettatori che è così. Poi sono state avanzate altre ipotesi; il professor Caletti (bollettino Ordine dei Medici di Bologna marzo 2020) riferisce: “la distanza di volo di queste goccioline può essere anche di 2-3 metri”. Ma, aggiungiamo noi, al di là della distanza, rimane il problema delle dimensioni del “veicolo” e della efficacia del filtro; discussione resa ancora più complessa dalla ragionevoli considerazioni fatte dalla Società di Medicina Ambientale circa la possibilità delle nano particelle presenti nell’inquinamento dell’aria ambientale di veicolare il virus. Se, secondo il citato documento dell’ISS, la maschera FFP3 andrebbe riservata ai contesti in cui non c’è dispersione solo di droplets ma anche di areosol, in verità persino questa maschera può non essere totalmente efficace per particelle di dimensioni molto inferiori alle droplets, particelle che a loro volta rischiano di essere presenti anche in circostanze diverse da quelle in cui si fanno manovre particolarmente invasive. Però serve una ulteriore precisazione su quello cha abbiamo definito “RISCHIO di NICHILISMO PROTEZIONISTICO”. La questione ha dimensioni diverse tra amianto e virus; per l’amianto non esiste una “bassa dose sicura” e l’obiettivo ragionevole è l’esposizione zero; anche per il virus dobbiamo tendere a zero ma non è escluso che un abbattimento non proprio totale, ma fortissimo, della carica infettante possa produrre immunizzazione invece che malattia, anticorpi (alternativa che invece per l’amianto non esiste: le basse o bassissime dosi non ci “regalano”). In altri termini, la “resa” dell’abbattimento del rischio è maggiore nel rischio biologico rispetto al rischio cancerogeno;
  5. Significativo il contributo dato alla discussione da parte dell’Ordine dei medici di Bologna (ma sicuramente anche di tanti altri); l’OdM bolognese fin dall’inizio si è occupato del problema. Prima socializzando le indicazioni “sommarie” dell’Inail (“va bene-tout-court” la mascherina FFP2) poi facendosi parte attiva nella fornitura materiale di mascherine agli iscritti (grazie ad alcuni donatori) e contestualmente approfondendo alcuni termini della sicurezza. Nella ultima donazione l’OdM sottolinea che le maschere fornite sono le H310 plus KN95 con capacità filtrante del 95% quindi “meglio” (termine un po’ sommario) delle FFP2, in sostanza equiparabili alle FFP3: significativamente le mascherine N95 vengono citate fin da “Spillover” di Quammen (uscito nel 2012) come “più efficaci delle mascherine chirurgiche”. Adesso l’Ordine dei medici interviene in modo meritorio e vicariante, rispetto ad altre istituzioni, su un terreno sul quale gli organi di vigilanza avrebbero dovuto già aver “chiarito “ da lungo tempo, e sottolinea due questioni: a) il fatto che esiste qualcosa di più efficace della FFP2 ; b) la necessità di utilizzare ddppii adeguati anche da parte dei medici di base , pediatri e medici della continuità assistenziale per i quali – secondo il documento dell’ISS – non sarebbe neanche invocabile il “principio di precauzione” atto a raccomandare un ddppii della portata della mascherina FFP2. Le figure professionali a cui l’Ordine ha distribuito le mascherine non dovrebbero infatti essere esposte, secondo i parametri proposti dall’ISS, a rischio areosol non essendo mai impegnati in quelle particolari manovre invasive che richiamiamo in altri punti di questo documento;
  6. Purtroppo uno dei modi per approfondire (senza aspettare le conclusioni ma adottando immediatamente le misure più cautelative) sta e sarà anche nel fare una anamnesi accurata e meticolosa di tutti gli eventi di malattia e di positivizzazione per verificare, caso per caso, quali misure e quali ddppii siano stati adottati nei casi specifici e individuali. Se qualche operatore si è positivizzato, anche non eseguendo manovre invasive, indossando questo o quell’altro dpi, dovremmo essere in grado di trarre conclusioni credibili o, più precisamente, conferme di quanto già sappiamo. Ma eventi come quello citato dell’ospedale Bellaria appunto anticipano queste risposte. Abbiamo poi tutti in mente l’accorato ricordo dei colleghi di un operatore di ambulanze della Lombardia descritto come persona attenta e scrupolosa nella adozione delle misure di prevenzione individuali; questo “sfortunato “ lavoratore ha svolto una attività per la quale il citato documento ISS non prevederebbe affatto la maschera FFP3 e i filtranti facciali in generale. Essi avrebbero invece giovato a quel lavoratore? E che protezioni avevano o non avevano i medici di base che si sono ammalati e che sarebbero esclusi dal livello di rischio più alto (areosol) in quanto certamente non hanno fatto né tracheotomie, né intubazioni né ventilazioni forzate e neppure tamponi faringei (questi ultimi sono esami che sarebbero in teoria alla portata della manualità corrente del medico di base ma , non essendo disponibili i tamponi…). Non sappiamo nulla di certo e non possiamo minimamente contare su fonti giornalistiche. Ecco perché serve una accurata e capillare indagine epidemiologica e anamnestica; né comprendiamo – salvo che ci siano sfuggite notizie o intenzioni non dichiarate – COME MAI LE PROCURE DELLA REPUBBLICA NON ABBIANO GIA’ APERTO INDAGINI SULLA IPOTESI di OMISSIONE COLPOSA di MISURE di SICUREZZA; abbiamo solo qualche notizia, forse controcorrente, per esempio da Brindisi.

CHE FARE?

Questo documento è rivolto a tutti e in particolare ai lavoratori dei comparti a rischio (che con gradi diversi sono poi tutti, salvo i telelavoratori).

Un documento che intendiamo usare come base per un imminente esposto alle Procure della Repubblica ma è un dossier che vuole anche INVITARE I LAVORATORI A FORMALIZZARE E INVIARE TESTIMONIANZE PER IL VALORE CHE AVREBBERO MA EVENTUALMENTE UTILI ANCHE AL FINE DI AMPLIARE I CONTENUTI DEGLI ESPOSTI ALLE PROCURE.

Le prospettive ci paiono queste: nessuna delega alla magistratura. Il rispetto che dobbiamo alla istituzione non ci esime dal ricordare come e quanto siano stati travagliati e inconcludenti – a fini di giustizia – i procedimenti penali a cominciare da quelli sull’amianto. Peraltro spesso la inconcludenza non è stata “merito” della magistratura ma effetto della “difesa” ostruzionistica (per così dire) degli imputati.

Dunque non di delega alla magistratura si tratta ma di dialogo con la magistratura, onde anche evitare che la inaccettabile inconcludenza di molti pregressi processi penali induca a “rimuovere” la evidenza delle responsabilità penali connesse alla epidemia di coronavirus in atto.

Tanto più la delega sarebbe incongrua alla luce del fatto che non si hanno notizie di “apertura generalizzata di fascicoli” di inchiesta. Per la esattezza nelle ultime ore giungono notizie di indagini (a Brindisi ma anche per il Pio Albergo Trivulzio e per la Fondazione Don Gnocchi mentre non si hanno notizie per quel che riguarda i luttuosi eventi del carcere di Modena e di Bologna e di altre carceri italiane.

I lavoratori colpiti o a rischio di epidemia coronavirus possono e devono essere il nucleo centrale della iniziativa civile ma anche giudiziaria a tutela della intera comunità.

Non proviamo nessuna “preferenza” per la azione penale rispetto al altre strategie ma viviamo in un sistema in cui troppo spesso (amianto, Cvm, stragi sul lavoro) la prevenzione – quella che più ci preme in assoluto – è stata messa in movimento solo “dopo” che si è capito che la impunità non è proprio garantita e che la Costituzione repubblicana, nonostante i numerosi attacchi, è ancora in vigore.

Se si sono verificati eventi che possiamo considerare lesioni colpose o omicidi colposi o omicidi colposi plurimi questo deve essere acclarato in tutte le sedi: per il recente passato e il presente ma soprattutto il futuro … e per la prossima epidemia che nessuno vorrebbe ma che non possiamo escludere si verifichi.

(*) Vito Totire è medico del lavoro e psichiatra: portavoce del coordinamento per l’ecologia sociale (circolo Chico Mendes, Associazione Esposti Amianto e Centro Francesco Lorusso).

SONO DISPONIBILI – a richiesta – QUESTI ALLEGATI

  1. Documento ISS sui ddppii – Indicazioni ad interim per l’uso razionale delle protezioni per l’infezione da Sars-COV 2 nelle attività sanitarie e sociosanitarie- aggiornamento al 28 marzo 2020 (Pdf indicato come allegato 2
  2. Lettera aperta di una lavoratrice dell’ospedale Bellaria di Bologna
  3. Lettera del sindacato Anaao sezione regionale del Piemonte.

NOTE

  1. Il Resto del Carlino riferisce di 9 medici positivi su 19 e 16 professionisti sanitari su 30; ma siamo in attesa di una relazione epidemiologica della Ausl.
  2. Discutibile dunque il documento dell’ISS, quando , ad un certo punto dice testualmente: in questo contesto i mezzi filtranti facciali devono prioritariamente essere raccomandati per gli operatori sanitari impegnati in aree assistenziali dove vengono effettuate procedure a rischio di produzione di areosol”. Questo passaggio è estremamente critico per le ripercussioni pratiche sulla prevenzione in quanto le manovre che producono areosols sarebbero quelle in cui la sicurezza a un metro di distanza non esiste più e il virus non è più veicolato solo dalle famose droplets con dimensioni superiori a 5 micron.

BIBLIOGRAFIA

Giancarlo Caletti, pp.4-5, Undicesimo comportamento, quando le goccioline si depositano sul cibo, Bollettino OdM di Bologna n.3 mazo 2020

Raffaele Guariniello, La sicurezza sul lavoro ai tempi del coronavirus , Wolters Kluver Italia

David Quamman, Spillover, Adelphi, edizione italiana 2017 (ma la prima edizione non italiana era del 2012)

Decreto legislativo 81/2008 TULS

 

Redazione
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