River Plate-Boca Juniors: il Superclásico degli affari

Note a margine della finale di ritorno della Copa Libertadores, disputata il 9 dicembre scorso a Madrid a causa dell’assalto dei tifosi del River all’autobus dei calciatori del Boca. Quando la politica, i traffici loschi dei presidenti e i guadagni delle multinazionali vengono prima dei risultati.

di David Lifodi

Sul campo, la finale di ritorno della Copa Libertadores tra River Plate e Boca Juniors si è conclusa con il successo dei millonarios per 3-1 nella partita disputata a Madrid  il 9 dicembre, a seguito dei violenti scontri che si erano verificati a Buenos Aires, culminati nell’assalto della tifoseria del River all’autobus della squadra avversaria durante il percorso di avvicinamento allo stadio.

Tuttavia, a margine del risultato finale a livello sportivo, che ha visto le due squadre di Buenos Aires misurarsi nell’ennesimo Superclásico, è interessante analizzare ciò che ha ruotato intorno al Boca Juniors, al River Plate, alla Copa Libertadores, al mondo della politica argentina e alla gestione della sicurezza, le cui molteplici falle hanno costretto la screditata Conmebol (Confederación Sudamericana de Fútbol) a spostare la finale di ritorno a Madrid in maniera assolutamente non casuale. Il trasferimento in Europa ha valso alla Copa Libertadores (il corrispondente della Champions League nel vecchio continente) l’ironica denominazione di Copa Conquistadores de América.

La finale di andata, l’11 novembre, si era conclusa sul punteggio di 2-2 ed una città intera attendeva con trepidazione il match di ritorno, che avrebbe dovuto disputarsi tra misure di sicurezza così straordinarie… da non riuscire ad impedire l’assalto della tifoseria del River al bus degli xeneizes! Inizialmente il match era stato posticipato di 24 ore, ma il prosieguo dei disordini ha convinto i dirigenti della Conmebol ad optare immediatamente per Madrid, la città dei colonizzatori contro la quale avevano combattuto gli eroi dell’indipendenza latinoamericana.

Dalla vicenda dei Panama Papers era emerso che Mauricio Macri, presidente argentino e, per 13 anni, alla guida del Boca (dalla cui carica ha iniziato la scalata alla Casa Rosada) possedeva società offshore in Europa, così come gli attuali presidenti delle due finaliste della Copa Libertadores, i quali hanno gran parte degli interessi economici proprio in Spagna. Il contatto con il presidente del Real Madrid, Florentino Pérez, è stato facilitato da Alejandro Domínguez Dibb, il cui padre è stato uno storico dirigente del calcio paraguayano. Alejandro Domínguez Dibb, grande amico di Macri, ha messo in contatto il presidente argentino con quello del Real Madrid, che avrebbe dovuto autorizzare la disputa della partita al Santiago Bernabéu. Domínguez Dibb ha sempre utilizzato il calcio per attività legate al riciclaggio di denaro sporco, tuttavia, dal 2015, è riuscito a rimanere alla guida della Conmebol, a seguito dell’arresto dell’allora presidente Napout, indagato per aver ricevuto mazzette nell’ambito dello scandalo denominato Fifa-gate.

Lo spostamento della partita a Madrid ha reso felici numerosi imprenditori privati, a partire dal presidente delle merengues Florentino Pérez, anch’esso grande amico di Macri. Pèrez controlla infatti l’impresa Albertis, assai vicina a Macri, specializzata nella costruzione di autostrade e legata anche a Benetton. Attualmente Albertis beneficia di appalti pubblici milionari in Argentina proprio grazie ai buoni uffici di Macri. Guarda caso, solo due giorni prima che fosse ufficializzata la sede di Madrid per l’atto finale della Copa Libertadores, il governo macrista ha imposto un aumento dei pedaggi autostradali nelle tratte controllate dalle imprese Autopistas del Sol e Grupo Oeste, di proprietà di Albertis. In Argentina la concessione ad Albertis ha fatto molto discutere, soprattutto in un momento in cui maestri e impiegati pubblici hanno visto ridurre del 50% il loro salario a seguito dell’inflazione dovuta alla scellerata gestione macrista dell’economia. Macri ha deciso di trasformare l’Argentina in un paese offshore: ciò che si produce a Buenos Aires viene esportato all’estero per compiacere latifondisti ed imprenditori. Alla fine, se il confronto tra River Plate e Boca Juniors sul campo si è concluso con un vincitore (River) ed  uno sconfitto (Boca), a rimetterci, a livello economico, è stato tutto il paese.

Sulla decisione di spostare la partita in fretta e furia a Madrid pare abbia inciso anche il desiderio di Macri di non essere pesantemente insultato, come avviene da un po’ di tempo a questa parte, in tutti gli stadi argentini. Alla finale madrilena hanno assistito i tifosi argentini più ricchi, quelli che potevano permettersi di spendere migliaia di euro per trascorrere un fine settimana a Madrid, e gli esponenti di quelle barras bravas finanziati dagli stessi dirigenti di River e Boca, che si sono fatti pagare la trasferta e la permanenza in hotel di lusso.

Il match in terra europea è servito inoltre a millonarios e xeneizes per rafforzare i legami con i rispettivi sponsor. La tedesca Adidas sponsorizza il River Plate (nonché lo stesso Real Madrid) da ben 36 anni. L’ultimo contratto tra la società e Adidas è stato rinnovato fino al 2021 per circa 10 milioni di dollari all’anno. Quanto al Boca Juniors, dal 1996 (anno in cui Mauricio Macri divenne presidente del club) è sponsorizzato dalla Nike per una cifra che si avvicina ai 7 milioni di dollari all’anno. Non solo. A partire dalla stagione 2022-2023 i calciatori xeneizes avranno sulla maglia il logo della compagnia aerea Qatar Airways, per un contratto di oltre 6 milioni di dollari all’anno, insieme a quello della compagnia petrolifera Axion Energy sulle maniche della maglia. Sul retro della casacca, il River può contare inoltre sul logo del videogioco calcistico Pro Evolution Soccer dell’impresa giapponese Konami, mentre i rivali del Boca portano sulla schiena le insegne della compagnia assicurativa Rio Uruguay Seguros.

Cosa avrebbero pensato i libertadores, se avessero assistito alla finale River-Boca in una delle capitali europee che colonizzarono il continente latinoamericano?

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • marinella correggia

    Forse sarò drastica, ma tanti fatti me ne danno la riprova. Pensiamo anche alla partita che il 16 sarà giocata in Arabia saudita perché pecunia non olet. Vogliamo dire, finalmente, che il calcio è l’oppio dei popoli (l’ho messo anche su un cartello nella nostra piccola manifestazione con i militanti sardi davanti alla Rai, il 9 gennaio)? Un’arma di distrazione di massa?

  • Ciao Marinella,
    hai ragione, purtroppo il calcio, da sport popolare, è diventato uno sport per le elites ed un trampolino di lancio in affari e in politica per personaggi della peggior specie.
    Per fortuna esiste anche un calcio diverso, antirazzista, antifascista e tollerante, nelle tante piccole realtà che hanno messo su delle squadre costruite si per fare sport, ma anche dedite all’integrazione, a partire da quelle costituite interamente dai migranti o dai partecipanti ai Mondiali di calcio antirazzisti.

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