Roma-rom: il ping-pong degli sgomberi crudeli

Un articolo di Giansandro Merli e altri materiali

Monachina, dove si sopravvive a colpi di ultimatum

di Giansandro Merli (*)

È scaduto ieri l’ultimatum inviato dal Comune a cinque famiglie rom del campo della Monachina, a Roma ovest. Avrebbero dovuto abbandonare le loro case entro le 7 di mattina. A quell’ora, però, non c’era quasi nessuno. Non c’erano gli agenti di polizia che avrebbero dovuto sgomberare, né le persone che lo sgombero avrebbero dovuto subirlo. Una signora, sulla settantina, aveva dormito su una panchina in un parco con la figlia. Un uomo aveva preso i suoi sette bambini, terrorizzati, e si era accampato nelle vicinanze, in attesa di capire cosa sarebbe accaduto. Era rimasta solo un’anziana non autosufficiente: nonostante tutto, non poteva muoversi.
Gli ordini di abbandonare le baracche, negli insediamenti istituzionali o tollerati (come questo), piovono da settimane su coloro che non hanno sottoscritto il «Patto di responsabilità solidale», lo strumento attraverso cui la giunta Raggi avrebbe voluto superare i campi rom. «Non sappiamo se l’azione di forza sia stata fermata per la sua assurdità o per le pressioni delle associazioni – afferma Cristina Mattiello, attivista di Cittadinanza e minoranze e insegnante di lettere – Gli sgomberi senza alternative sono illegali, soprattutto con la legge che li blocca fino al 31 dicembre a livello nazionale: perché verso queste situazioni di estrema fragilità il blocco non dovrebbe valere?».
La situazione di emergenza sanitaria solleva anche un’altra questione, di non poca importanza. «Finora nei campi della capitale non ci sono stati casi confermati di Covid-19 – continua Mattiello – La possibilità di accedere all’acqua è stata fondamentale per scongiurare il contagio. Buttare le persone per strada durante una pandemia è folle e crea un rischio per loro e per tutta la cittadinanza».
A La Monachina, chilometro 13 della via Aurelia, vivono in circa 90. Alcuni sono scappati dall’ex Jugoslavia durante l’ultima guerra, ma invece di essere riconosciuti come rifugiati sono stati considerati nomadi e messi nei campi. Altri sono arrivati in Italia ancora prima. Poi ci sono quelli che a Roma ci sono nati: almeno due delle tre generazioni presenti nell’insediamento. In tanti sono senza documenti perché non hanno potuto chiedere la cittadinanza. Non avevano tutti i requisiti, come il soggiorno in regola dei genitori, e possono solo ambire all’apolidia. «Anche questa è una follia, non sono mai usciti dalla capitale», dice ancora Mattiello.
Nino Ametovich, invece, è cittadino italiano: ha 41 anni, lavora come badante e arrotonda lo stipendio nel settore delle pulizie. «Il patto proposto dal comune non funziona – spiega – Per noi non è facile trovare una casa. Poi bisogna lasciare la caparra e i primi mesi di affitto anticipato. Il contributo del comune arriva solo dopo. Ma non abbiamo 3 mila euro da anticipare per prendere un appartamento». La madre di Ametovich è arrivata in Italia negli anni ’60, dal Montenegro. A La Monachina è finita tutta la famiglia dopo lo sgombero di un altro insediamento.
«Il Comune ci ha fatto venire in questo campo con l’inganno e ci ha abbandonati – continua – Hanno allacciato l’acqua dopo dieci anni, solo perché andavamo a lavarci alle fontanelle di Casal Lombroso e la gente dei palazzi vicini si lamentava. L’elettricità non c’è. Sette mesi fa hanno distrutto due baracche e hanno lasciato tutto qui. A parte il ferro. Quello lo hanno portato via». Le piacerebbe uscire dal campo e andare a vivere in una casa vera? «È stato il mio sogno per tanti anni, andare in un palazzo con gli italiani. Ma vedo che ancora oggi, nel 2020, c’è tutta questa discriminazione contro i “rom”, anzi contro gli “zingari”, e penso sia meglio rimanere qui. Sarei il capro espiatorio di tutto ciò che non va».
(*) dal quotidiano «il manifesto» del 21 agosto

Come la “bottega” aveva già raccontato (**) continua a Roma il ping-pong crudele e inutile contro i campi Rom (talvolta poche persone) dovunque siano. In queste ultime ore alcune famiglie Rom hanno scritto alla sindaca Virginia Raggi per scongiurare lo sgombero di Castel Romano previsto il prossimo 10 settembre proponendo alternative concrete. Un’altra lettera è stata spedita all’UNAR,l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.

Resteranno senza risposta? Così è accaduto quasi sempre a Roma: l’amministrazione non dialoga direttamente con i Rom o con il popolo delle nuove borgate e delle nuove occupazioni. Vedere per credere le due letture qui sotto del 2017 e 2016. Un triste promemoria.

(**) Roma, campi Rom: ennesimo sgombero, insensato e crudele

Questa è una lettera (del 2017) degli abitanti di via Raffaele Costi, Roma

Siamo le famiglie italiane e rumene, gli anziani e i rifugiati che abitano in via Raffaele Costi, in un palazzo occupato nell’estrema periferia di Roma.

Da più di quattro anni sopravviviamo immersi in una discarica abusiva a cielo aperto che circonda il nostro stabile, una montagna di immondizia che abbiamo visto crescere di mese in mese nell’indifferenza più totale delle istituzioni, nonostante le nostre numerose richieste per la rimozione di quei rifiuti.

Il 30 agosto quella discarica ha preso fuoco, interessando anche l’immobile dove viviamo che è stato parzialmente distrutto dall’incendio.

La polizia ha messo sotto sequestro lo stabile e noi siamo stati costretti a stare per due notti nel parcheggio di un distributore di benzina.

La protezione civile, in quei giorni, ci ha fornito solo due bottiglie di acqua a testa.

La Sala Operativa Sociale di Roma ha offerto un posto in «case famiglia» a donne e bambini, soluzione non ritenuta dai noi accettabile: vogliamo che le nostre famiglie vengano tutelate e rimangano unite, non ci sembra di chiedere troppo.

Al nostro rifiuto, la Sala Operativa Sociale è sparita e non si è fatta più vedere.

Il primo settembre, dunque, siamo stati costretti a ritornare nel palazzo di via Raffaele Costi.

Tra di noi, vi sono molti anziani malati e bambini (il più piccolo ha solo 9 giorni) e dormire in strada non era più sostenibile.

Siamo di nuovo qui, in una situazione ancora peggiore rispetto a prima: nello stabile non vi è né acqua né luce, alcuni appartamenti sono stati parzialmente distrutti dall’incendio e i rifiuti che hanno preso fuoco non sono stati neanche rimossi.

Ci chiediamo dove siano le istituzioni in tutto questo.

Ci chiediamo come sia possibile essere indifferenti dinanzi a minori e malati che vivono in queste condizioni disumane.

Noi siamo persone in attesa di una casa popolare da anni, famiglie rom, rifugiati usciti dai circuiti di accoglienza: nel nostro palazzo convivono storie diversissime ma ciò che ci accomuna è la povertà e l’essere stati abbandonati dalle istituzioni di questa città.

Siamo stanchi delle promesse non mantenute e dell’inerzia di Municipio e Comune, pretendiamo una soluzione dignitosa per tutti.

Per questo le proponiamo, Sindaca, di venire a Via Raffaele Costi per vedere con i suoi occhi quello che accade nella metropoli che amministra e di avviare subito un tavolo di confronto con noi.

Ci incontri e ci guardi in faccia. Ci incontri e abbia il coraggio di dire ai nostri figli che l’unica soluzione che sa trovare è quella di separarli dai loro padri.

Si assuma le sue responsabilità e non scappi dal confronto.

Gli abitanti di via Raffaele Costi, Roma

“Sindaca Raggi chieda scusa a tutti i rom della Capitale”
Gentile sindaca,

come presidente di un’organizzazione che si occupa della tutela e della promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia Le formulo i migliori auguri di buon lavoro. Un lavoro che non sarà facile, ma sicuramente affascinante per le sfide che Lei sarà chiamata ad affrontare e per le tante domande che oggi, nella città di Roma, attendono risposte.

Era il maggio 2014 quando, presso la Sala del Campidoglio, fotografammo, con il rapporto “Campi Nomadi s.p.a.”, il “sistema campi” che nella città di Roma, da almeno due decenni, da una parte condanna le comunità rom in emergenza abitativa a vivere concentrate in ghetti etnici dove i diritti sono violati, dall’altra prevede l’erogazione di un flusso incontrollato di denaro pubblico che non raggiunge alcun risultato in termini di inclusione sociale. Fummo i primi a denunciare, nel solo 2013, la spesa di 22 milioni e mezzo di euro per mantenere il “sistema campi” attraverso affidamenti diretti a beneficio di vari enti, organizzazioni o uffici dipartimentali.

Oggi, a distanza di due anni, lo scenario è totalmente cambiato, in seguito al terremoto giudiziario che sta travolgendo più di cinquanta tra dirigenti e funzionari pubblici, cooperative ed associazioni, sedicenti “rappresentanti rom” e vigili urbani. Dalle inchieste degli inquirenti il quadro che attualmente emerge è desolante: i rappresentanti di 16 dei 31 enti che nel 2013 ruotavano attorno al “sistema campi” oggi sono agli arresti o sotto indagine e il 70% delle risorse destinate agli insediamenti per soli rom è stato per anni gestito da loro. La verità di Buzzi: «Gli zingari rendono più della droga!» sembrerebbe la stessa delle decine di persone che, utilizzando denaro pubblico hanno sino ad oggi lucrato sulla pelle dei più deboli permettendo che migliaia di persone continuassero a vivere nel degrado, nella povertà, nell’emarginazione, indistintamente additati come asociali o criminali.

L’inganno è stato svelato e ora che è stata fatta tabula rasa è il momento propizio per iniziare un nuovo corso che ci auguriamo Lei sappia incoraggiare, sostenere, portare a compimento. Una strada verso il superamento delle baraccopoli romane attraverso processi inclusivi, così come indicato dalle linee guida contenute nell’agenda “Oltre le baraccopoli” che Le abbiamo presentato nel corso della campagna elettorale.

Ma ancor prima di avviare un intervento in tal senso, riteniamo sia di fondamentale importanza da parte Sua pronunciare una parola che aiuterebbe veramente a voltare pagina, una parola che sinora nessun amministratore ha avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente: la parola “Scusa”. È fondamentale che la nuova Amministrazione da Lei presieduta, possa e sappia riaprire il nuovo corso iniziando a chiedere “Scusa” per quanto compiuto dagli amministratori che l’hanno preceduta e per il “sistema campi” che con le loro scelte hanno fatto nascere e consolidato: scusarsi con quelle famiglie rom, discriminate e indigenti, che per anni sono state le “galline dalle uova d’oro” utili per generare profitti illeciti; con quei cittadini e i Comitati di Quartiere che hanno subìto la presenza di insediamenti abbandonati a se stessi, ormai vere e proprie baraccopoli; con quei dipendenti del Comune di Roma e quei lavoratori del sociale che hanno sempre lavorato onestamente, con passione e professionalità sulla “questione rom” e che rischiano di vedere il loro lavoro gravemente compromesso dall’attività di colleghi senza scrupoli.

Chiedere “Scusa” significa per un amministratore esprimere con fermezza la volontà che gli errori commessi nel passato non si ripetano, attraverso un nuovo rapporto di fiducia, fondato sull’onestà, la trasparenza e il rispetto dei diritti di tutti, che si potrà creare tra abitanti delle baraccopoli, cittadini delle periferie e istituzioni.

Scusarsi è l’atteggiamento proprio degli umili e dei forti. E noi riteniamo che solo chi saprà essere umile e forte nell’amministrare questa bellissima città, potrà dare una risposta soddisfacente anche alle baraccopoli presenti nella città di Roma e a quanti le abitano, che potranno forse tornare a sognare in una città che li tratti diversamente, senza discriminazione.

Auguri di buon lavoro, da parte mia e di tutta Associazione 21 luglio!

Carlo Stasolla

 

Redazione
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