RRS 6 – «Dottore chi?»

    La sesta puntata (*) – proposta da Federico Scognome – di una Round Robin Story (**) che sarà in “bottega” per qualche sabato

RRS-polipo6

Horty si sveglia di soprassalto. Bagnato di sudore freddo, il canto del demone degli abissi insegue per qualche secondo il suo battito cardiaco e poi scompare.

Finalmente si è svegliato.

La voce di David-E lo riscuote del tutto. Ursula è di fianco a lui intenta a lavorare su quello che sembra un giubbotto antiproiettile.

«Ben ritrovato ragazzo. Abbiamo temuto che ti fossi perso nei meandri dei ricordi. Certo hai scavato molto a fondo, l’inconscio scorre potente in te».

David-E lo guarda stranito: «A un certo punto ti sei messo a parlare nel sonno in rima.. si può sapere dove sei finito? Io ho visto pterodattili ed enormi mostri degli abissi».

Horty è ancora più confuso, si tratta di nuovo di un sogno?

Cosa è successo?

«La conchiglia che ti ho dato era una specie di teleporta per vedere le tue capacità di viaggiatore all’interno del mondo delle rappresentazioni simboliche culturali umane. Direi che hai fatto molta strada.. quello che hai visto sono le tue paure miste a quelle degli esseri umani del tuo contesto storico-sociale. Sentimenti come questi sono comuni a molti e sorgono in molti modi. La paura non è mai solo tua».

… Ma quindi?

Ursula dà l’ultima stretta a un bullone sulla copertura esterna della tuta, si alza, la scrolla dalla polvere e la mostra ai ragazzi.

«Eccolo qua il gioiellino! E comunque non sarei mai riuscita a cavarla fuori dai pochi pezzi a mia disposizione senza l’aiuto di qualcuno… vero doc?».

Ursula volge il suo sguardo attorno nella stanza senza trovarlo.

«Doc!?».

«Ecco, sì, se mi dai un secondo ancora.. eureka! Trovato! Attenzione di sottooo!».

Le parole provenienti dall’esterno della stanza sono coperte dal trambusto dello sferragliare metallico di oggetti indefinibili. Con un tonfo assordante dalla botola sul soffitto rovina al suolo un grosso cubo di metallo e plastica. Viene seguito da una figura che scende veloce dalle scale cercando di spolverarsi con scarso successo.

«Ecco qua, salve piacere, io sono il dottore e vi sarò certamente utile, beh lo sono già stato, siete già arrivati a questo punto della storia? Non lo so..». L’uomo alto e magro è un torrente di parole mentre si china sul cubo e lo esamina da vicino.

Ursula sorride divertita vedendo lo stupore creato dallo strano figuro allampanato sui volti dei ragazzi.

«Beh tra poco lo sapranno doc, hai trovato qualcosa di utile?».

L’uomo alza lo sguardo complice e sorridente verso Ursula.

«Questa dovrebbe andare per far funzionare le tute. È la batteria di una macchina vecchia, non molto sofisticata a dire la verità. Ma basta ai nostri scopi, se non altro in quanto contenitore. La svuoto, la miniaturizzo e la riempio di Tardissenza. Beh spero che non vi dia fastidio, e comunque nell’antica Grecia col sudore dei grandi atleti si facevano ricercati unguenti».

David-E salta in piedi sul posto:

«Ma tu sei il dottore! Dottor Who!».

«Dottore chi?». Horty non riesce ad afferrare il motivo dello stupore dell’amico.

«Il dottore! Tu non lo hai mai visto? Il musical! È stato al botteghino del London Palladium almeno 40 anni!».

«Oh, sollievo! Ho avuto paura che venissi dal mondo dove su di me hanno fatto una serie tv intera. E dire che le provai tutte per fermarli. Cercai di far saltare tutto sul nascere facendo in modo che la prima puntata andasse in onda il giorno dopo l’assassinio di Kennedy. La stavano per chiudere per l’infimo successo di pubblico ma poi funzionò. In seguito riuscii a bloccarla dopo qualche anno regalando un bombolone all’attore protagonista, il quale mangiandolo si sporcò la camicia, che aveva appena comprato per andare dalla nonna a pranzo e lei gliela volle lavare seduta stante facendogli perdere quei 20 minuti che furono sufficienti a… ma questa è un’altra storia. Alla fine ce l’hanno fatta comunque. Hah, adoro gli uomini!».

«Doc non abbiamo molto tempo, e non è una battuta». Ursula si è goduta l’estro del dottore ma si riscuote.

«Well, ok ragazzi, aprite le orecchie». Il doc fa un cenno a Ursula che gli lancia una delle tute. L’indumento è composto da due pettorine connesse da fibra elastica e strap. Sulla superficie anteriore è presente una maniglia.

«Questa è una vera macchina del tempo, non più per viaggiare nel mondo delle storie collettive ma nella materia vera e dura. E tu non mi guardare così! – rivolge uno sguardo di sfida all’occhiata accusatoria di Ursula – non sembra ma lei è una sentimentale. Vorrebbe discutere e discutere e controargomentare ancora. Ma qui non siamo a un corso di epistemologia ontologica: abbiamo a che fare con la vita e con la morte. Roba dura e cruda. Niente di immaginario».

Ursula alza il mento con aria solenne, sembra che custodisca una dignità personale molto più vasta dei limiti del suo solo confine spaziale. Il dottore la guarda e si fa mesto d’un tratto. Horty e David-E pensano la stessa cosa: quei due hanno avuto a che fare già molte volte, la loro storia li deve avere portati lontani.

Il dottore ricomincia. «Il vostro compito è quello di trovare la singolarità, la coincidenza di eventi che ha portato il vostro mondo a perdere tutto ciò che di buono aveva costruito. Deve esserci un punto nel tempo, o almeno noi vogliamo credere che ci sia, in cui le condizioni si sbilanciano per questo destino in cui vi siete trovati: gli uomini non danno più valore alla storia e le uniche cose importanti sono l’adattabilità sociale e la stabilità. Dante? Inutile! Gli storici greci? Superflui! Quello che si voleva testare con voi era la vostra connessione al grande substrato che vi fa appartenere veramente alla vostra specie: i legami che non sapete di avere con la vostra cultura».

«Tu vuoi dire – comincia Horty – che io so cose che non so di sapere?».

«Ma è naturale! Tantissime anzi. Non potresti fare un elenco, non puoi venderle ma puoi essere acquistato. Non potresti aiutare coscientemente qualcuno che avesse bisogno di una di queste conoscenze. Ma tu vivi grazie ad esse. Tu ti comporti in un certo modo e non in un altro. Ti sembra ovvio, ma non lo è. Lo fai perché nella tua definizione di vita e di esistenza quella è una cosa normale, una abitudine che non ha nemmeno senso valutare giusta o sbagliata».

«A me è successo – esclama David-E – un giorno sono andato a casa di un mio compagno di classe e ho visto i suoi genitori abbracciarsi e baciarsi ridendo. Non avevo mai visto i miei fare una cosa simile. Per me era normale: due che stanno insieme non si toccano mai nemmeno per sbaglio. Non avevo nemmeno pensato che ci potesse essere un’alternativa. Io li ho sempre visti così freddi e stanchi e vuoti… e loro non mi hanno mai accarezzato e…». La voce di David-E si fa più roca fino a rompersi del tutto. Ursula gli va vicino e gli mette una mano sulla testa. Lui piange. Il dottore lo guarda con occhi distanti anni luce eppure presenti a quel momento. Lentamente David-E si calma e si asciuga. Si scrolla via la mano di Ursula senza troppe dissimulazioni. Alza gli occhi sul dottore con sguardo deciso.

«Allora ragazzi. Da adesso i vostri percorsi seguiranno le regole dei viaggi nel tempo. Non potrete mai tornare sui vostri stessi passi pena l’annullamento retroattivo della vostra stessa presenza. Intesi»?

«Sì». I due ragazzi si guardano l’un l’altro. La paura e la tensione evidenti.

A quel punto il dottore si ferma, guarda i due, poi volge lo sguardo su Ursula: sa che non c’è altro modo ma comunque non vorrebbe fare del male ai ragazzi. Perché proprio loro? La sua mente vaga nella ricerca di una risposta, verso la sorgente della cascata delle cause e degli effetti: sale e sale e sale ma il flusso non cambia. Si fa più stretto e più contenuto ma è un’illusione: aguzzando la logica lui scorge le infinità che compongono i pochi elementi a cui di volta in volta giunge. Ursula fa un cenno al dottore. Non c’è tempo da perdere. Lui rivolge nuovamente il suo sguardo sulle due libertà di fronte a lui.

«Sappiate che se il vostro mondo si è ridotto in questo modo, il motivo va cercato nella paura. La paura è l’origine di ogni sofferenza e insicurezza. Il vostro compito è trovare il punto del passato in cui questa paura ha preso piede. Lo spartiacque, l’imbuto simbolico che ha portato a questo. Voi dovete trovare quel momento. Una volta che lo avrete di fronte… – scorge Ursula guardarlo con un accenno di sorriso – sarà il vostro cuore a decidere. Non saprei spiegarvelo meglio di così. In quel momento voi avrete la possibilità di cambiare le cose. Il vostro coraggio potrà permettervi di andare oltre alla paura e all’incertezza per fare una scelta giusta. Altrimenti sarà la logica a prendere il sopravvento. Cercherete in ogni modo di giustificare e razionalizzare, di far quadrare le scelte e di far valere le approssimazioni probabili. Allora la paura avrà vinto, ammalando i vostri processi, sottile e sottintesa vi riporterà alla realtà e avrete scelto comunque».

David-E e Horty non capiscono esattamente tutto quello che il dottore dice loro. Ma sanno che qualcosa resta comunque, anche oltre la loro stessa consapevolezza.

«Quello che dovrete fare, una volta caricate e indossate le tute è immedesimarvi nelle vostre più grandi paure. Quando sarete abbastanza vicini alla disperazione potrete far saltare la sicura e partire». Il dottore indica la maniglia. Parla con una voce dura e bassa. Si rende conto di cosa sta per chiedere loro. «Ora dovete prendere questo – trae dalla tasca dell’impermeabile due flaconi di liquido ambrato. – viene da un posto lontano nello spazio e nel tempo. Si usa negli apparecchi di transmedesimazione per aumentare il fattore immedesimante. In pratica è un potente allucinogeno di sintesi creato per esaltare le emozioni scelte dall’utilizzatore. Vi aiuterà ad arrivare al picco giusto».

Horty prende i flaconi e ne passa uno al compagno. Il liquido è di un colore dolce come il miele ma questo non lo rincuora affatto.

«Ursula, il mio compito qui è finito. Vorrei ancora dirti che…».

«No. Lascia. Noi ci rivedremo. Io lo voglio e quindi accadrà. Per il momento arrivederci doc».

I due si abbracciano a lungo. Il doc getta un’ultima occhiata sui ragazzi. Il suo sguardo impenetrabile li scruta a fondo poi si apre in un sorriso. Parte di scatto sui gradini della scala per il piano di sopra. Lo si sente armeggiare a una serratura, poco prima del sussulto di una porta sbattuta e poi: -«Such a beautiful race!».

Horty e David-E si guardano. Scrutano interrogativi Ursula che risponde con un cenno di assenso. Li aiuta a vestire la tuta. Ora sono pronti, sdraiati con una mano sul centro del petto dove si trova il meccanismo di innesco.

«Prendetela, adesso. Andrà tutto bene».

Ursula li guarda bere la fiala e chiudere gli occhi.

 

 

[LA RRS CONTINUA fra 7 giorni]

 

(*) Le puntate precedenti sono in bottega. Basta digitare RRS in “cerca”

(**) Cos’è una «Round Robin Story»? E’ un gioco di scrittura. Una storia dove autori/autrici si susseguono, a turno, per scrivere “al buio” (cioè senza accordi preventivi) pezzi di una storia; di solito chi inizia è “condannato” anche a concludere, cioè a tirare fuori il finale. Divertente ma difficile. Qui in “bottega” alcune persone hanno accettato di giocare. Ogni sabato… finché ci saranno giocatori/giocatrici: abbiamo messo nel conto una decina di puntate, forse due di meno (diserzioni?) o due di più (altre pazze e altri pazzi si vogliono aggiungere?). Il “buio” fa paura e affascina. Il logo della nostra RRS, appunto Round Robin Story, è stato disegnato da Energu che lo varierà – sempre? – un poco a seconda dell’estro, del sole o no, della variabile Zyx, del vino.Ci ritroviamo qui fra 7 giorni. (db)

 

 

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