Sabella, il compagno allenatore per l’Argentina…

ultima americana al mondiale 2014

di Gennaro Carotenuto (*)

 

Messi

È improbabile che il tracollo del Brasile contro la splendida Germania multietnica abbia anche «ragioni politiche», ma di sicuro non una lacrima merita Felipe Scolari, dichiaratosi in passato seguace del macellaio cileno Augusto Pinochet. È altrettanto improbabile che l’Argentina batta oggi i diavoli arancioni di Van Gaal facendo leva sulla militanza democratica del proprio allenatore, Alejandro Sabella. La sua è una storia che a qualcuno non piacerà, che i giornali europei hanno ignorato ma che merita di essere raccontata.

Fa oramai specie sentire un calciatore parlare di temi sociali. Così ha stupito che l’argentino Ángel Di María si riferisse ai suoi avversari bosniaci: «non possiamo dimenticare che sono ex-bambini della guerra; le loro culle sono state le macerie di un Paese che esplodeva». Ha addirittura creato polemica che il leader dell’albiceleste, il jefecito Javier Mascherano, abbia espresso rispetto per i ragazzi iraniani, «vittime delle conseguenze psicologiche di un contesto sociale durissimo». Derubricata a pubbliche relazioni invece la conversione di Lionel Messi (nella foto con Lavezzi ed Estela Carlotto) fino a ieri un apolide del dollaro, cresciuto in Catalogna e che l’Argentina la conosce poco, divenuto testimonial delle Nonne di Plaza de Mayo nella loro ricerca degli almeno 500 bambini inghiottiti dal genocidio degli anni ‘70. Ma cosa ne sa Di María dell’ex Jugoslavia, Mascherano del ’79 iraniano e Messi dei 30.000 desaparecidos?

Sono lontani i tempi di calciatori militanti come il brasiliano Socrates o il remoto (e meno famoso) Sollier. Anche il semplicemente laburista Ferguson o l’innanzitutto livornese Cristiano Lucarelli appaiono come bizzarre mosche bianche in un mondo spesso frivolo e ignaro della realtà o che più facilmente s’accosta all’estrema destra, come in Italia sappiamo bene. La militanza latinoamericanista di Diego Armando Maradona – uomo solidale venuto da una “villa miseria” e incarnato in un’estetica popolare, peronista, vicino a Hugo Chávez e a Fidel Castro, e che nel 2005 partecipò in prima fila a Mar del Plata alla battaglia contro l’Alca e contro George Bush – viene semplicemente derisa dai media europei. In questi mondiali 2014 il «Diego della gente» si esprime nella partecipazione quotidiana al programma evento «De zurda» (il nome gioca tra il «di piede mancino» e il «di sinistra» come militanza) che va in onda sulla televisione integrazionista latinoamericana Telesur insieme alla leggenda dei telecronisti latinoamericani, quel Víctor Hugo Morales (foto) che ne descrisse l’epica sul campo, e anch’egli politicamente sensibile.

Da che dipende quest’improvvisa conversione sociale del calcio argentino?

Molto dipenderebbe dal selezionatore albiceleste, Alejandro Sabella, che non ha alcun dubbio (lui nato nel 1954, la faccia della foto come quella di tanti ragazzi della sua età oggi desaparecidos) nel dichiararsi «un ragazzo degli anni ’70, assolutamente identificato con il peronismo progressista», che da adolescente scriveva sui muri «Perón torna», che dichiara in Néstor Kirchner il suo politico ideale e che appoggia apertamente il governo nazionale e popolare di Cristina Fernández. Militante di base nelle Villa Miseria del Gran Buenos Aires, «ero all’Università e facevo lavoro sociale con la Gioventù Peronista e con i movimenti sociali», si dichiara cresciuto nella mistica del ritorno di Perón, della solidarietà e della ricerca di una società giusta, e nella centralità del ruolo dello Stato: «rivendico che fossimo una gioventù idealista che lottava per un Paese migliore e che questo governo è quello che più ha fatto per realizzare quegli ideali». Parole che ricalcano quelle di Néstor nel celebre discorso all’Onu.

Ma a Sabella non basta e porta una militanza che concepisce innanzitutto come educazione in panchina: «non è possibile che i giocatori non sappiano chi fu Sandino, Perón o Mao». La leggenda narra che da ragazzo si fosse imposto di diventare mancino di piede ma oggi ha a cuore anche altro: «le discussioni tecniche non possono durare più di 15 minuti perché poi l’attenzione si disperde; ma è lì che cerco sempre di infilare concetti storici e politici». Come quello di Patria Grande, l’unità latinoamericana. Nelle lunghe ore del ritiro va bene la play station, ma il «Pachorra» cerca sempre momenti per parlare di ideali e per far guardare ai ragazzi film impegnati come «L’ora dei forni» di Pino Solanas o «la battaglia di Algeri» di Gillo Pontecorvo: «sono ragazzi sani, ma questo li rende cittadini migliori».

 (*) ripreso dal bellissimo http://www.gennarocarotenuto.it

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