Sanguinoso finale per Trump, boia di Stato

Articoli ripresi dal nuovo «Foglio di collegamento» del comitato Paul Rougeau. A seguire la presentazione del numero 277 e il sommario.

NEL CARCERE DI TERRE HAUTE UCCISO HALL, COME PROGRAMMATO

Il 19 novembre è stato messo a morte Orlando Hall, condannato nella giurisdizione federale degli Stati Uniti. Si è trattato dell’ottava esecuzione compiuta sotto l’amministrazione Trump.

Il Governo degli Stati Uniti il 19 novembre ha ucciso con un’iniezione letale lo stupratore e omicida Orlando Cordia Hall, come programmato (vedi numero 276). Si è trattato dell’ottava esecuzione sotto l’amministrazione Trump da quando la pena capitale è stata riattivata a livello federale nel mese di luglio.

Il 49-enne Hall è stato dichiarato morto alle 23:47’ dopo la somministrazione di una dose letale del farmaco pentobarbital nella camera di esecuzione del carcere di Terre Haute nell’Indiana.

Hall è stato il secondo afroamericano ad essere giustiziato nel braccio della morte federale negli ultimi mesi. Era stato condannato alla pena capitale, da una giuria composta solo da bianchi, per il suo ruolo nel rapimento, nello stupro, nella tortura prolungata e nell’omicidio di Lisa Rene la sorella sedicenne di due spacciatori texani che Hall sospettava l’avessero imbrogliato nel 1994.

In una dichiarazione scritta – resa nota dopo l’esecuzione – la sorella della vittima di Orlando Hall, Pearl Rene, esprime il sollievo della famiglia per aver raggiunto “la fine di un capitolo molto lungo e doloroso della nostra vita”.

L’esecuzione di Orlando Hall non pone fine alle nostre sofferenze” ha scritto: “pregate per la nostra famiglia e per la sua”.

Hall è stato messo a morte con qualche ora di ritardo poco dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva negato una sospensione, respingendo l’ordinanza di una corte inferiore che obiettava che la somministrazione di pentobarbital senza prescrizione medica violava la legge.

Gli avvocati di Hall hanno anche cercato di far sospendere l’esecuzione con una seconda e una terza argomentazione, anch’esse respinte dalla Corte Suprema.

Nella seconda hanno fatto presente di aver bisogno di più tempo per preparare un’adeguata richiesta di clemenza, essendo stati ostacolati dalla pandemia di Covid-19.

Nella terza hanno affermato che la discriminazione razziale ha avuto un ruolo importante nella formazione di una giuria tutta bianca per decidere del destino di Hall.

Da una statistica citata dalla difesa risulta che tra il 1988 e il 2010 la pena di morte federale è stata “sproporzionatamente comminata in base alla razza”.

Il NAACP (Associazione Nazionale per l’Avanzamento della Popolazione di Colore) ha presentato una memoria legale a favore di Hall, nella quale ha sostenuto che nel suo caso vi erano prove che l’accusa aveva deliberatamente fatto escludere individui neri dalla giuria.

L’esecuzione di Hall è avvenuta mentre gli Stati Uniti continuano ad affrontare le proteste “razziali” scatenate dalla morte di George Floyd, un nero disarmato, preso in custodia e ammanettato, morto mentre giaceva ansimante per mancanza di respiro con il collo bloccato a terra sotto il ginocchio di un poliziotto bianco di Minneapolis.

Delle 56 persone rinchiuse nel braccio della morte federale 26 (cioè il 46%) sono ner, e 22 (ovvero il 39%) sono bianchi. I neri rappresentano solo il 13% della popolazione statunitense.

TRUMP PUNTA AL RECORD DI 13 ESECUZIONI FEDERALI PRIMA DI ANDARSENE

Donald Trump dimostra sempre più chiaramente la sua pervicace volontà di portare a termine il maggior numero possibile di esecuzioni capitali in ambito federale prima del 20 gennaio, giorno in cui sarà sostituito nella presidenza degli Stati Uniti d’America da Joe Biden.

Il caso di Lisa Montgomery – la cui esecuzione è stata programmata per l’8 dicembre e poi rinviata al 12 gennaio per consentire ai suoi avvocati affetti da Covid di ristabilirsi e di presentare una domanda di grazia – dimostra chiaramente la volontà del presidente Donald Trump di portare a termine il maggior numero possibile di esecuzioni in ambito federale prima della fine del suo mandato.

La 52-enne Lisa Montgomery, con evidenti segni di demenza, sarà la prima donna in quasi 70 anni a subire la pena di morte federale: l’ultima esecuzione federale di una donna è stata portata a termine nel 1953. L’esecuzione della sua condanna per aver ucciso una conoscente incinta di 8 mesi per prenderle il nascituro, era stata decisa in un tempo insolitamente veloce nel corso della pandemia. (Vedi n. 276).

Il caso di Lisa Montgomery è un sintomo dell’aggressiva volontà del presidente Trump di applicare la pena capitale, anche se il sostegno degli Americani alla pena di morte continua a diminuire. Secondo un sondaggio Gallup del 2019, il 60% degli americani considera l’ergastolo una punizione preferibile alla pena di morte.

Sotto la guida di Trump, il governo ha eseguito il più alto numero di esecuzioni federali in un solo anno”, ha notato Robert Dunham, direttore esecutivo del Death Penalty Information Center.

Dunham ha dichiarato: “Questa di Trump è stata un’amministrazione storicamente fuori fase. Non solo fuori fase rispetto alle opinioni dell’America del 2020, ma anche rispetto alle pratiche federali delle amministrazioni, democratiche o repubblicane, durante questo secolo”.

Ufficialmente, il Dipartimento di Giustizia determina quando è prevista l’esecuzione dei prigionieri federali ma in pratica, ha detto Dunham, la discrezionalità è elevata. “Se il Presidente in carica non vuole eseguire le condanne a morte, esse non verranno eseguite durante il suo mandato”.

L’amministrazione Trump si è adoperata con successo per riprendere le esecuzioni federali dopo una pausa di 17 anni e finora ha giustiziato 8 prigionieri nel 2020; altri 5 prigionieri, tra cui la Montgomery, è previsto che siano messi a morte entro la fine del suo mandato.

La preferenza di Trump per le pene estreme è anteriore alla sua entrata in politica. Nel 1989, egli ha fatto pubblicare a sue spese annunci a tutta pagina per chiedere il ritorno della pena di morte dopo l’arresto di 5 minorenni di New York accusati (ingiustamente) di stupro e tentato omicidio; quando, decenni dopo, gli imputati sono stati scagionati si è rifiutato di scusarsi. Come Presidente, ha elogiato dittatori come il filippino Rodrigo Duterte per l’esecuzione degli spacciatori di droga e ha proposto la pena di morte per chi vende oppioidi.

Biden, nel frattempo, ha fatto dell’eliminazione della pena di morte una parte della sua piattaforma di giustizia penale, una mossa che rompe con il suo passato a sostegno della pena capitale e lo rende il primo candidato presidenziale democratico o Presidente eletto ad assumere una posizione decisamente anti-pena di morte dopo Michael Dukakis nel 1988.

Biden ha recentemente dichiarato di essere favorevole a porre fine alla pena di morte federale nel corso del suo mandato e a incentivare gli Stati che applicano ancora la pena di morte a fare lo stesso.

Biden e il Partito Democratico hanno cambiato la loro posizione rispetto al 2012, quando hanno condannato l’uso “arbitrario” della pena di morte ma senza respingerla in modo definitivo.

Il sostegno pubblico alla pena di morte è ora vicino al minimo in 48 anni, una tendenza che Hannah Cox – rappresentante nazionale del gruppo dei Conservatori Impegnati Contro la Pena di Morte – attribuisce a una maggiore disponibilità di informazioni sulle condanne ingiuste e altri problemi emersi riguardo al sistema della pena capitale.

“La pena di morte è così sbagliata, così fallimentare, presenta così tanti problemi, che c’è di che motivare tutti contro di essa” ha detto la Cox.

I conservatori che si allineano all’obiettivo di Biden di abolire la pena di morte tendono ad essere interessati a limitare il ruolo del governo, a proteggere la vita e a risparmiare il denaro dei contribuenti, ha detto Cox. “I soldi che spendiamo per la pena di morte sono soldi che non spendiamo per provvedimenti che prevengono realmente i crimini”.

Sia Cox che Dunham riconoscono che c’è ancora un forte sostegno per la pena capitale, ma lo slancio degli Stati che aboliscono la pena di morte e il crescente consenso bipartisan contro di essa rendono possibile la realizzazione dell’obiettivo di Biden di porre fine alla pena capitale in ambito federale.

Questi sono i 5 condannati la cui esecuzione è prevista prima del 20 gennaio, giorno dell’insediamento di Biden. Se verranno uccisi tutti e 5 salirà a 13 il numero delle esecuzioni federali portate a termine durante la presidenza di Donald Trump:

Brandon Bernard, un uomo di colore, aveva 18 anni quando con Christopher Vialva e altri fu condannato per l’omicidio di una coppia di ministri della gioventù in Texas nel 1999. Vialva, che aveva 19 anni al momento del delitto, è stato giustiziato a settembre dopo aver esaurito i suoi appelli. L’ultima richiesta di Bernard di sospensione dell’esecuzione alla Corte suprema è stata negata il 19 novembre u. s.. La sua morte è prevista per il 10 dicembre e sarà la persona più giovane che gli Stati Uniti giustizieranno per un crimine commesso da adolescente in quasi 70 anni.

Alfred Bourgeois, un uomo di colore, è stato condannato a morte da una giuria del Texas per aver abusato, torturato e infine picchiato a morte sua figlia nel 2002. L’avvocato di Bourgeois, Victor Abreu, il 20 novembre ha reso noto che l’esecuzione del suo cliente è prevista per l’11 dicembre. Abreu sta cercando di fare in modo che il caso di Bourgeois venga riesaminato per produrre le prove della sua disabilità mentale.

Lisa Montgomery è la prima e unica donna per la quale è prevista l’esecuzione federale in quasi 70 anni. Abbiamo scritto molto sul caso paradossale della Montgomery, condannata a morte nel 2004. Per Lisa Montgomery è stata disposta una sospensione dell’esecuzione fino al 31 dicembre a causa della diagnosi di coronavirus dei suoi avvocati. La sua esecuzione è ora fissata per il 12 gennaio. L’amministrazione Trump ha respinto la richiesta di una ulteriore dilazione.

Corey Johnson, uomo di colore che uccise sette persone nel 1992 nell’ambito di un traffico di droga in Virginia, ha la data di esecuzione fissata per il 14 gennaio. Gli avvocati di Johnson, Ronald J. Tabak e Donald P. Salzman, sostengono che nessuna giuria ha ascoltato prove per decidere sulla sua disabilità intellettuale. Secondo gli avvocati di Johnson, egli ha un QI di soli 69 punti, la sua esecuzione dovrebbe essere considerata “crudele e inusuale” e quindi proibita dalla Costituzione degli Stati Uniti. Al coimputato di Johnson è stata risparmiata una condanna a vita a causa della sua disabilità intellettuale.

Dustin Higgs ha la data di esecuzione fissata per il 15 gennaio. Si tratta di un uomo di colore condannato a morte “nonostante non abbia ucciso nessuno” ha ricordato il suo avvocato Shawn Nolan il 20 novembre dopo la comunicazione della data di esecuzione. Il coimputato di Higgs – esecutore materiale del delitto – è stato condannato l’ergastolo senza possibilità di liberazione per aver ucciso tre donne nel 1996 nel Maryland. Higgs è stato condannato a morte perché, anche se non aveva premuto il grilletto, aveva ordinato gli omicidi (un coimputato testimoniò che Higgs ordinò gli omicidi).

IL MONDO ABOLIZIONISTA PIANGE LA MORTE DI BILL PELKE

Bill Pelke è morto ad Ankorage in Alaska il 12 novembre scorso. Aveva perdonato e salvato dalla pena di morte la quindicenne nera Paula Cooper che il 14 maggio 1985 a Gary nello stato dell’Indiana uccise Ruth Pelke, sua nonna. Bill Pelke è poi diventato un infaticabile abolizionista impegnandosi in conferenze e dibattiti negli Stati Uniti e in vari paesi del mondo, compresa l’Italia.

Il 12 novembre scorso è morto di infarto, nella sua casa ad Ankorage in Alaska, il nostro amico e fratello nella lotta, Bill Pelke. Aveva 73 anni. Bill (nella foto) aveva fondato nel 1987 l’associazione Journey of Hope (Viaggio della Speranza), un’organizzazione guidata dai membri delle famiglie delle vittime di omicidio.

I membri di Journey of Hope tengono conferenze contro la pena di morte, con un’enfasi sulla compassione e sul perdono. Il loro motto è Don’t kill in our names (Non uccidete in nome nostro). Attraverso il viaggio della speranza, Pelke ha condiviso la sua storia migliaia di volte in oltre 40 stati americani e nel resto del mondo (venne anche in Italia e nel 2000 parlò ai soci del Comitato Paul Rougeau). Fece anche parte del consiglio direttivo di numerosi gruppi contro la pena di morte, tra cui Death Penalty Action, National Coalition to Abolish the Death Penalty e Murder Victims’ Families for Human Rights. Bill, veterano della guerra in Vietnam, aveva visto tanta sofferenza e forse proprio per questo si impegnò anche in altre forme importanti di volontariato, come portare aiuti umanitari ai bambini orfani in Uganda.

Ci uniamo al dolore dei cari e degli amici di Bill Pelke, per la perdita di una persona buona e di una figura emblematica del movimento abolizionista. Ci conforta però la certezza che il suo operato non è stato vano e che il suo retaggio continuerà a produrre frutti.

Bill era il nipote di Ruth Pelke, che fu pugnalata a morte dalla quindicenne nera Paula Cooper il 14 maggio 1985, dopo che aveva fatto entrare in casa la ragazzina e tre sue amiche per impartir loro una lezione di catechismo.

Paula Cooper, l’organizzatrice del turpe omicidio, fu condannata a morte nel 1986, all’età di 16 anni. Pelke raccontava di essere diventato furioso per l’assassinio della sua amata nonna ma che un anno dopo, mentre pregava nella cabina della sua gru (era operaio per una ditta siderurgica) avvertì nel cuore le parole di perdono di sua nonna. “La vendetta non è mai la risposta” affermava riguardo alla pena capitale “Finché gli esseri umani decidono chi può vivere e morire, faremo degli errori”. Da quel momento Bill impiegò ogni sforzo per ottenere che la condanna a morte di Paula Cooper venisse annullata. All’epoca Paula era la più giovane detenuta nel braccio della morte negli USA. La condanna alla pena capitale di una ragazzina così giovane suscitò critiche e richieste di clemenza in tutto il mondo, anche da parte di papa Giovanni Paolo II.

Nel 1989, la Corte Suprema dell’Indiana, in seguito alla massiccia mobilitazione mondiale promossa anche da Bill Pelke, stabilì che era incostituzionale condannare a morte una persona di età inferiore ai 16 anni e commutò la condanna di Paula Cooper in 60 anni di carcere. Un notevole passo avanti per quei tempi così oscuri, se si pensa che solo nel 2005 fu abolita la pena di morte per i minorenni negli USA. Paula non scontò tutta la pena e fu rilasciata sulla parola nel 2013, all’età di 43 anni. Pelke si batté anche per il diritto di visitare Paula in prigione e scambiò lettere con lei nel corso degli anni. Fu distrutto dal dolore quando Paula Cooper si suicidò nel 2015, due anni dopo la sua scarcerazione. “Non ci sarebbe il Journey of Hope senza Paula Cooper” disse Pelke all’epoca.

Nonostante le preoccupazioni di familiari e amici per i suoi viaggi durante la pandemia di coronavirus, Bill, che era diventato bisnonno lo scorso anno, ha presenziato per protestare a 7 delle 8 esecuzioni federali che sono state portate e temine nel carcere a Terre Haute da luglio. Si era prefisso di tornare giovedì 19 novembre per protestare contro l’esecuzione di Orlando Hall, e aveva già annunciato di voler essere presente anche alle due esecuzioni fissate in dicembre. La morte lo ha fermato, ma il Journey of Hope è inarrestabile e il suo messaggio risuonerà forte e chiaro finché la pena capitale non sarà definitivamente sconfitta.

Presentazione del “Foglio di Collegamento” numero 277 (il sommario è sotto).

Questo numero è dedicato in gran parte agli Stati Uniti d’America, dove il presidente uscente Donald Trump si impegna per ottenere il maggior numero di esecuzioni a livello federale prima che il presidente eletto Joseph Robinette Biden Jr. (noto come Joe Biden) entri in carica il prossimo 20 gennaio.

Joe Biden ci fa ben sperare dato che si è detto contrario alla pena di morte (ha una figlia che è addirittura un’attivista per l’abolizione della pena capitale).

Un articolo storico parla del processo di Norimberga in cui, nel dopoguerra, furono condannati a morte famosi dirigenti nazisti rei di genocidio ai danni degli Ebrei.

Ci occupiamo anche (sia pure meno del solito) di Iraq e Iran, paesi in cui la pena di morte imperversa.

Vi ricordo che gli articoli comparsi nei numeri precedenti del Foglio di Collegamento – ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero – si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org

Giuseppe Lodoli
per il Comitato Paul Rougeau

 SOMMARIO

Biden per la riforma carceraria e l’abolizione della pena capitale 

La figlia di Joe Biden è un’attivista contro la pena di morte          

Nel carcere di Terre Haute ucciso Hall, come programmato           

Il mondo abolizionista piange la morte di Bill Pelke

Bonnie: l’ultima donna giustiziata secondo la legge federale                     

Trump punta al record di 13 esecuzioni federali prima di andarsene

Donald Trump nomina una giudice reazionaria nella Corte Suprema

Giustiziati in Iraq 21 condannati per ‘terrorismo’

30 novembre: la Comunità di Sant’Egidio contro la pena di morte

Sapevo che papà sarebbe stato ucciso’: ricordando Norimberga

Notiziario: Iran, Tennessee, Usa 

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 novembre 2020

Scriveteci all’indirizzo paulrougeau@tiscali.it per comunicarci il vostro parere su quanto scriviamo, per chiederci ulteriori informazioni riguardo ai temi trattati, per domandarci dell’andamento delle nostre campagne in corso, per esprimere il vostro accordo o il vostro disaccordo sulle posizioni che assumiamo.

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Le immagini sono scelte dalla “bottega”. La prima è di Mauro Biani.

Giuseppe Lodoli
Ex insegnante di fisica (senza educazione). Presidente del Comitato Paul Rougeau per il sostegno dei condannati a morte degli Stati Uniti.
Lavora in una scuola di Italiano per stranieri di Sabaudia (LT) (piu' che altro come bidello).

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