Sbilanciamo la legge di stabilità

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Giovedì 27 novembre è stato presentato il Rapporto di Sbilanciamoci 2015 “Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”, una  proposta alternativa alla legge di stabilità in discussione in parlamento nei prossimi giorni. La contro finanziaria  rispetta l’obbligo del pareggio di bilancio, pur proponendone l’abolizione, dimostrando che la quantità delle risorse pubbliche disponibili non è l’unica variabile che condiziona l’impianto della legge di stabilità.

Il punto dirimente resta quale modello di economia, di società e di democrazia si ha in mente. Quello della legge di stabilità 2015 continua ad essere sbagliato perché finge di fare l’interesse di tutti, ma si inchina agli interessi di banche e imprese e non affronta i buchi neri del declino del nostro paese: l’economia in declino, un’occupazione in calo e sempre più precaria, un sistema di istruzione e di ricerca pubblico indebolito dai progressivi tagli, un disagio sociale crescente che consegna alla povertà assoluta sei milioni di persone, politiche sociali fragili e sempre più delegate alla famiglia, un patrimonio naturale e culturale in abbandono.
L’Europa chiede politiche di austerità, mentre occorre  cambiare rotta. La Legge di Stabilità si iscrive in un quadro europeo sempre più deprimente, da almeno due punti di vista. Da un lato gli ultimi dati confermano un continente in sempre maggiori difficoltà: aumenta la disoccupazione (oltre il 10 per cento secondo Eurostat), così come aumentano le diseguaglianze, tanto quelle tra diverse regioni europee quanto quelle interne ai singoli Paesi. In Spagna o in Grecia la disoccupazione giovanile viaggia ormai oltre il 50 per cento, l’Italia non è lontana. Crescono in maniera analoga i tassi di povertà – relativa e assoluta – e l’esclusione sociale.

10013955_10205082038804358_8181953783688386725_nDall’altro lato, di fronte a questi dati drammatici i decisori europei insistono su un percorso che si è rivelato fallimentare non solo da un punto di vista sociale, ma persino macroeconomico: dal rapporto tra debito e Pil agli altri indicatori, tutto sembra confermare che l’austerità è il problema, non la soluzione. Le stesse istituzioni che compongono la Troika, a partire dal Fmi, riconoscono nei loro studi più recenti come le politiche di austerità stiano aggravando i problemi e le diseguaglianze europee e come un piano di investimenti pubblico sarebbe fondamentale. Eppure a questi studi non segue un’inversione di rotta delle politiche economiche che continuano a essere dominate dal dogma mercantilista: chi esporta di più vince e l’unico obiettivo dei governi deve essere quello di migliorare la competitività delle imprese. Da qui tagli ai salari e ai diritti di lavoratrici e lavoratori, privatizzazioni, e più in generale una “corsa verso il fondo” sulle normative ambientali, sociali e fiscali. Una visione che sta minando alla base la stessa idea di “Unione” Europea, sostituendola con una competizione europea esasperata.

Una situazione pericolosissima che andrebbe cambiata alla radice, ma che non può in alcun modo costituire un alibi per il governo italiano. Prima di tutto perché lo stesso governo sembra purtroppo sposare in pieno questa fallimentare visione, come confermano le politiche di tagli alla spesa pubblica per ridurre la tassazione delle imprese e come confermano il jobs act o le altre politiche messe in campo.

Un governo che sta facendo passare il semestre di presidenza europea senza tentare di imporre un cambio di visione, senza premere l’acceleratore sulle regole tanto necessarie quanto urgenti per il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi, ma il cui unico impegno su scala europea sembra consistere nel portare avanti il disastroso accordo T-tip di libero scambio con gli Usa. Un accordo che si inserisce nella stessa logica di ulteriore espansione dei “diritti” delle imprese a scapito dei cittadini e dell’ambiente.

Le scelte sbagliate dell’UE o la difficile situazione europea e internazionale non possono costituire un alibi. È’ per dimostrarlo che anche quest’anno Sbilanciamoci! propone una manovra che si chiude a saldo zero, ma che mostra come scelte radicalmente differenti sarebbero possibili anche qui da noi, se ci fosse la volontà politica di attuarle. “E’ l’Europa che ce lo chiede” è una foglia di fico sempre più improbabile, sia perché i vincoli europei non sono un alibi per scelte politiche disastrose in Italia, sia perché sarebbe ora di ribaltare tale approccio, cambiare rotta e iniziare a essere “noi che lo chiediamo all’Europa”.

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Articolo ampiamente condivisibile, tant’è che lo riproponiamo. Condivisibili anche le proposte per una manovra economica differente, che sappia, una tantum, far pagare il pezzo della crisi a chi l’ha provocata, invece di gravare ulteriormente sui ceti sociali che ne subiscono le peggiori conseguenze.

Unico punto di dissenso è l’illusorio e fuorviante finale (iniziare a essere “noi che lo chiediamo all’Europa”) che induce a pensare alla possibilità di riformare in senso democratico la struttura di potere illiberale detta “Unione Europea”.  I funzionari che signoreggiano a Bruxelles mai cederanno alle istanze che provengono dai popoli, né alle esigenze stessa di raddrizzare il timone dell’economia. L’attuale politica dell’Unione viene da molto lontano e pur essendo stati sperimentati i disastri sociali che produce, continua a essere applicata perché corrisponde agli interessi dei settori dominanti il capitale (la finanza). A questi signori e ai loro mandanti importa dell’accentuarsi delle crisi e delle sofferenze di decine di milione di persone, quanto interessa ai cravattari la rovina del poveretto che è capitato nelle loro grinfie: nulla. Unico loro obiettivo è spremere dai popoli quanti più soldi possibile, con le buone se gli riesce, con le cattive ove dovesse rendersi necessario (la gendarmeria speciale europea, gerdarmeria attualmente “dormiente” e dotata di poteri alla 007, è stato costituita appunto per questo: per intervenire nel caso di rifiuto di singoli paesi di applicare le condizioni capestro che un’Europa senza vergogna in continuazione propone).

Né si scorgono nel paese forze politiche organizzate in grado sia di condividere (e di farne strumento di agitazione tra le masse) gli obiettivi concreti che in calce all’articolo gli estensori hanno riassunto (consiglio di andarseli a leggere: costituisocno la controprova che “un altro mondo è possibile” – per farlo cliccare IVI); sia, una volta al governo, di avere il coraggio di trasformarle in proposte di legge. Ricordiamo tutti l’acquiescenza alle politiche moderate governative da parte della “sinistra” (Rifondazione) ai tempi del governo Prodi.

Unica prospettiva l’eventualità di una sollevazione quasi contemporanea di più popoli contro la direzione burocratica autoritaria della struttura di potere europeo. Ma a tutt’oggi segni di questa possibile sollevazione non se ne vedono. Siamo ancora in una fase in cui le politiche di destra aprono spazi politici alle destre estreme. La sinistra, la vera sinistra, ancora non si vede. O sta appena emettendo i primo vagiti.

Più proficua invece mi sembrano le proposte di uscita dall’Unione disunita europea. I burocrati attualmente non se ne preoccupano gran che perché sanno che questa parola d’ordine è agitata da elementi politici (di destra) che difficilmente la porteranno fino in fondo; o che comunque garantiranno loro gli obiettivi dipauperizzazione dei popoli che perseguono. Diverso sarebbe il caso se della stessa parola d’ordine si impadronisse una formazione progressista. In questo caso solo l’agitarla rappresenterebbe una grave delegittimazione dei metodi e degli abietivi che attualmente perseguono. E potrebbe portare (forse) a qualche ripensamento, nel timore che un qualche terremoto sociale comprometta la stabilità dell’edificio antipolare costruito. Le masse non capiscono questa Europa, perché ostinarsi a spiegargliela? Meglio porre il problema di un nuovo e diverso inizio. Poi si vedrà.

Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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