Sci-Fi: vademecum per non perdere la rotta

di K. G. Sage

PRIMA PUNTATA

Se vi state chiedendo per quale recondito motivo abbia deciso di imbarcarmi in un’impresa folle quale la catalogazione dei generi e sottogeneri derivati dalla categoria letteraria – ma non solo – comunemente definita fantascienza sappiate che la risposta è puramente egoistica: sto seriamente rischiando di perdere la rotta in un mare sempre più vasto di filoni letterari che “variano” ostentando la massima indifferenza nei riguardi delle difficoltà discernitive del lettore.

Dal popolare Space opera: dal quale il cinema attinge a piene mani per offrirci produzioni del calibro di Star Wars (Guerre Stellari), serie longeva nata nel lontano 1977 dalla penna di George Lucas, giunta all’ottava pellicola (più gli spin-off Rogue One e Solo) e il cui nono episodio arriverà nelle sale nel corrente 2019; all’articolato Cyberpunk – al quale sarà necessario dedicare un intero articolo – che nel corso degli anni ha subìto una razionale opera di gemmazione capace di dare vita a una decina di sottogeneri variamente contaminati da filoni letterari disgiunti dalla fantascienza; passando per il più classico Hard Sci-Fi … insomma le possibili rotte si contano a bizzeffe.

Cercheremo in questa sede di tracciare una mappa partendo proprio da quest’ultimo.

Le parole-chiave (in grassetto) ci aiuteranno a comprendere meglio.

L’Hard Science Fiction – che volendo utilizzare un linguaggio “alla buona” chiameremo Fantascienza dura – raccoglie tutte quelle opere, romanzi e racconti, che riportano con accuratezza nozioni scientifiche e tecniche (ad esempio la spiegazione dettagliata della costante gravitazionale o la progettazione passo passo di un arto robotico).

Il genere si propone di gestire la narrazione rispettando rigorosamente conoscenze scientifiche e tecnologiche magari soltanto teorizzate.

La trama si sviluppa seguendo alla lettera o quasi il principio generale della fantascienza: la futuribilità, e cioè la possibilità che scenari e tecnologie descritti nell’opera possano domani acquisire carattere di concretezza. Futuribilità diventa in quest’ambito sinonimo di plausibilità.

Ed è proprio la plausibilità ad alimentare il realismo che contraddistingue l’Hard Sci-Fi ponendo una netta linea di demarcazione fra questo e gli altri generi principali della fantascienza.

Rendezvous with Rama (Incontro con Rama, 1973) di Arthur C. Clarke, Ringword (1970, uscito in Italia nel ’72 con il titolo I Burattinai nel cosmo) del britannico Larry Niven e The Gods themselves (Neanche gli Dei, 1972) del maestro Isaac Asimov (caro al sottoscritto più di ogni altro autore) sono solo alcuni dei classici, imperdibili, più amati dagli appassionati del genere.

In contrapposizione all’Hard Sci-Fi troviamo la Soft SF, o Fantascienza Molle, secondo alcuni non un vero e proprio genere ma un livello meno impegnativo.

Dal momento che azzardare speculazioni soggettive non è il fine del presente articolo passiamo direttamente a descrivere il concetto. Per un eventuale dibattito in merito rimando ai commenti in calce.

Nella Fantascienza Soft il rigore scientifico… non è di rigore.

Questo non significa che le opere che rientrano nel genere siano di serie B, ma soltanto che l’argomento scienza è trattato con maggior leggerezza, focalizzandosi in prevalenza su materie – psicologia, filosofia, antropologia – che ricadono nel dominio delle scienze sociali.

Altri tratti distintivi sono l’introspezione, la speculazione incentrata sulla evoluzione sociopolitica della civiltà umana in rapporto al progresso scientifico e tecnologico e la conseguente collocazione ambientale degli avvenimenti in epoche future – meglio in questo caso definirla cronologica –.

Generalmente gli autori non sono molto propensi a che si classifichi le proprie opere come Soft SF.

Comunque, pur essendo i parametri di classificazione materia alquanto opinabile, rientrano nell’ambito del genere The left hand of darkness (1969) (La mano sinistra delle tenebre, ed. italiana del 1984) di Ursula K. Le Guin, nonché la raccolta di racconti (classificata alla voce “antologia”) scritti dallo statunitense Ray Bradbury pubblicata nel 1950 con il titolo The martian chronicles (Cronache marziane, ed. italiana del 1954).

Da non confondere con la classificazione ‘genere’ la corrente letteraria definita New Wave (Nuova Ondata), una tendenza sorta nel 1964 volta a riformare la fantascienza attraverso la sperimentazione.

Una nuova concezione che portò gli autori a trattare per la prima volta argomenti fino a quel momento ritenuti tabù. Sesso, pacifismo, antimilitarismo, ateismo e altri entrarono nelle storie, rivoluzionando contenuti e stile narrativo.

L’ondata ebbe vita breve tuttavia riuscì a influenzare autori del calibro di Philip K. Dick (autore assai caro alla bottega), Robert Silverberg e Harlan Ellison, curatore e co-autore – unitamente a numerosi altri scrittori – della raccolta simbolo della New Wave Dangerous vision (1967) tradotta in Italia soltanto nel 1991 con il titolo Visioni pericolose, la cui prefazione venne curata da Isaac Asimov che definì la corrente “Seconda rivoluzione della fantascienza”.

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