Scor-data: 1 gennaio 1994

Insurrezione zapatista in Chiapas

di David Lifodi  (*)    “All’alba del 1 gennaio 1994 siamo insorti in armi per la democrazia, la libertà e la giustizia per tutti i messicani. In un’azione simultanea, prendemmo sette capoluoghi municipali dello stato sudorientale messicano del Chiapas e dichiarammo guerra al governo federale, al suo esercito e alle sue polizie. Da allora il mondo ci conosce come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”: è così che il subcomandante Marcos ricorda la sollevazione indigena che sorprese il mondo intero e prese alla sprovvista il governo messicano.

Come scrissero gli zapatisti nella Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, si trattò di “una misura estrema contro la miseria, lo sfruttamento e il razzismo, ma, soprattutto, contro l’oblio”. L’Ezln chiedeva casa, terra, lavoro, sanità, istruzione, alimentazione, libertà, indipendenza, giustizia, democrazia e pace: la sua apparizione sulla scena avveniva in contemporanea all’entrata il vigore del Nafta, il trattato di libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico che, nelle intenzioni del presidente Carlos Salinas de Gortari certificava l’ingresso del paese nel primo mondo. E invece comparvero loro, gli zapatisti, per chiedere il rispetto fondamentale degli esseri umani, delle collettività e dei popoli indigeni nel segno della “resistenza al capitalismo neoliberale  come prolungamento dei cinquecento anni di resistenza indigena, negra e popolare”, per usare le parole del filosofo e teologo della Liberazione Giulio Girardi nel suo intervento nel pregevole volume Chiapas perché?, curato nel 2000 dal gruppo Mani Tese di Lucca. In realtà l’Ezln era sorto il 17 novembre 1983 ad opera di un esiguo gruppo di guerriglieri rifugiatisi nella Selva Lacandona che presto capirono che non dovevano chiudersi nelle loro certezze ideologiche, ma mescolarsi con le comunità indigene. Dopo 12 giorni di guerra, che videro l’Ezln conquistare i quattro municipi principali della regione, tra cui l’antica capitale San Cristobal, la tregua proposta dal governo fu subito accettata dagli zapatisti. “Quale altra guerriglia ha fatto appello non già al proletariato come avanguardia storica, bensì alla società civile che lotta per la democrazia…, ha convocato un movimento nazionale democratico, civile e pacifico, per rendere inutile il ricorso alla lotta armata…, domanda alle sue basi d’appoggio ciò che deve fare prima di farlo…, ha lottato per il conseguimento di uno spazio democratico e non già per il potere…, è ricorsa più alle parole che alle pallottole?”, scrisse il subcomandante Marcos in una delle sue più celebri missive, la Lettera sui tamburi della società civile, del 20 febbraio 1995, pubblicata nel primo dei due volumi a cura di Roberto Bugliani, Dal Chiapas al mondo: scritti, discorsi e lettere sulla rivoluzione zapatista (Erre emme Edizioni, Pomezia, 1996). “Il 1 gennaio 1994 l’Ezln arrivò per restare”, scrisse Gloria Muñoz Ramírez nel suo 20 y 10: el fuego y la palabra, pubblicato dalla rivista messicana Rebeldía, dal quotidiano La Jornada e uscito in Italia come allegato a Carta. Gloria Muñoz Ramírez aveva ragione: l’Ezln non era un qualcosa di effimero, e nemmeno poteva ridursi alla sola figura del sup Marcos, ma rappresentava il primo avamposto del pensiero altermondialista. Nell’era della globalizzazione imminente, gli zapatisti lanciavano la loro sfida almeno su tre aspetti: la costruzione di un nuovo rapporto tra potere e cittadino, lo stretto legame con la società civile, ritenuta il principale soggetto interlocutore e base d’appoggio dei movimenti, un’istruzione basata sull’auto-organizzazione. Secondo i criteri economici del neoliberismo, indios e contadini non sono utili alle dinamiche neoliberiste, per questo vanno eliminati. Proprio per questo motivo, affermava Marcos in un’intervista rilasciata a Ignacio Ramonet per l’edizione mensile di Le Monde Diplomatique del marzo 2001,intitolata La marcia di Marcos, “ciò che dobbiamo fare nell’era della globalizzazione è costruire un nuovo rapporto tra potere e cittadino”. Allo stesso modo, l’ormai celebre mandar obedeciendo, il comandare obbedendo che intendeva cambiare il mondo senza prendere il potere, non era rivolto esclusivamente agli indigeni. L’Ezln intendeva trasformare la battaglia per gli indios in quella per una base sociale molto più ampia, come poi sarà testimoniato dagli interventi di Marcos e della comandancia zapatista negli anni successivi in merito alle elezioni presidenziali e al lancio dell’Altra Campagna, appoggiandosi più in generale alle classi popolari e a quella società civile fatta di operai,studenti, campesinos, maestri, disoccupati, lavoratori. Qui emerge in pieno il comandare obbedendo, cioè una pratica politica che non cerca tanto la presa del potere, ma l’organizzazione della società. Agli zapatisti non interessa avere incarichi nel governo, ma porsi come guida in una transizione alla democrazia a cui la popolazione partecipi, sia ascoltata e considerata: deve essere il popolo ad obbligare il governante a realizzare il proprio lavoro in accordo con gli interessi delle comunità. È in questo contesto che nascono le giunte autonome di buon governo, che si governano autonomamente rispetto al potere federale dello stato. Alla globalizzazione neoliberista l’Ezln contrapponeva la globalizzazione della speranza nel segno di un cammino politico assai accidentato, allora come oggi, a causa delle continue aggressioni di esercito e paramilitari che ancora oggi assediano i villaggi chiapanechi. Una di queste fu raccontata quasi in presa diretta dal settimanale Avvenimenti sull’edizione del 21 gennaio 1998: “3 gennaio ’98: sette del mattino. Piove. Gli uomini sono tutti nei cafetales a raccogliere il caffè. Al villaggio sono rimaste solo donne, bambini e quindici campamentisti (osservatori di pace). Sulla strada , ventisei veicoli militari (hummer, anfibi, blindati) avanzano senza fretta, pesantemente, verso La Realidad. Ogni autovettura ha a bordo dieci uomini in assetto da guerra. Nelle loro mani mitra, lanciagranate, cannoncini, pistole… . Quelli rimasti al villaggio, impauriti, cercano di radunare i bambini e portarli dentro le case: sono venuti ad ammazzare anche noi, ci ammazzano tutti”. Anche in Italia il movimento zapatista aprì una significativa breccia politica a livello movimentista: se ne fece interprete la rivista Carta e quella sinistra sociale allora diffusa. Ovunque sorgevano dibattiti e manifestazioni sulla lotta zapatista e, a dire il vero, ancora oggi, resistono le associazioni storiche che da sempre hanno lavorato sul Chiapas, anche se  la questione indigena non è più al centro della scena come allora. Il 12 ottobre 1996 si svolse a Roma la prima manifestazione per il Chiapas, aperta dall’appello “Alla società civile ed alle sue organizzazioni, ai centri sociali, agli intellettuali, agli artisti, alle cittadine e ai cittadini…”. L’iniziativa riuscì nel migliore dei modi. Il manifesto, entusiasta, scrisse: “Roma fa quindicimila: un successo la manifestazione italiana in solidarietà con la lotta zapatista. Nel corteo molti giovani, centri sociali e popolo di sinistra”.

Democrazie, libertà, giustizia, le tre parole d’ordine che hanno fatto conoscere l’Ezln a livello mondiale, sono racchiuse anche in questa poesia di un anonimo zapatista: “Insegna ai tuoi bambini quello che noi/abbiamo insegnato ai nostri bambini:/ che la Terra è la nostra madre./ Qualsiasi cosa accada alla Terra/accade ai figli della terra./ Questo noi sappiamo:/ la Terra non appartiene all’uomo,/ l’uomo appartiene alla Terra”.

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