Scor-data: 10 dicembre 1198

Muore Averroè «che ‘l gran commento feo»

di Fabrizio Melodia (*)  

La filosofia nel 1198 piange la morte dell’arabo-spagnolo Averroè. Era nato a Cordova nel 1126: medico, matematico, giurisperito e filosofo, al secolo noto come Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad Muhammad ibn Rushd, diventato successivamente nel Medioevo Aven Roshd e in seguito Averroes o Averoè.

Nato in una famiglia di noti giuristi di scuola malikita (il nonno paterno ʿAbd al-Walīd Muhammad, e il padre, ʿAbd al-Qāsim Ahmad, erano “qāḍī” ovvero autorità locali incaricate di amministrare la giustizia nella Cordova almohade) ebbe un percorso scolastico di tutto rispetto, iniziata come si usava con l’insegnamento del cosidetto “hadīth”, ossia l’insieme dei racconti tradizionali attribuiti a Maometto, proseguiti in seguito con gli studi di giurisprudenza e teologia.

Gli storici ritengono che data la notevole influenza esercitata su di lui da Avempace, la possibilità di una reale collaborazione tra i due, con Averroè come allievo, non sia da scartare completamente.

Divenne medico, giurista e filosofo.

Fu anch’egli “qadi” di Siviglia e poi di Cordova. Scrisse numerosi commenti su Aristotele, come ci ricorda il buon Dante Alighieri “Averrois, che’l gran comento feo” (“Divina Commedia”, Inferno, IV, 144) comparendo insieme ad altri filosofi pagani nel Limbo; in più redasse alcune opere filosofiche originali e una fondamentale enciclopedia di medicina.

Risultò fondamentale la sua permanenza a Marrakesh ai tempi del califfo ‛Abd al-Mù’min, nel momento della forte espansione militare degli Almoravidi e della loro influenza religiosa, priva di eresie, ma caratterizzata da rigidi formalismi e da una stretta obbedienza al Corano e alla tradizione ortodossa o “Sunna”, ossia ai codici di comportamento.

L’opera filosofica più importante di Averroè fu “L’incoerenza dell’incoerenza” (Tahāfut al-tahāfut), diventata in lingua latina la “Destructio destructionis philosophorum”, in cui egli prese le difese della filosofia aristotelica contro le critiche esposte da “al-Ghazali” nel trattato “L’incoerenza dei filosofi” (Tahāfut al-falāsifa), che in latino era diventata la “Destructio philosophorum”, in cui si sosteneva che il pensiero di Aristotele, e la filosofia in generale, fossero in contraddizione con l’Islam. La tesi fondamentale di Averroè era esattamente opposta: egli sosteneva che la verità può essere raggiunta sia attraverso la religione rivelata sia attraverso la filosofia speculativa.

«Le speculazioni dimostrative della filosofia non possono arrivare a contraddire il contenuto della Legge, perché la verità non può mettersi in conflitto con la verità, ma al contrario è in accordo con essa e le rende testimonianza. Che questa sia la situazione effettiva risulta dal fatto che, quando una speculazione dimostrativa porta alla conoscenza di qualcosa di reale, le sole alternative possibili sono le seguenti: o la Legge non dice nulla al riguardo oppure dice qualcosa. Se non dice nulla, non ci può essere nessuna contraddizione. Se dice qualcosa, allora l’espressione esterna o concorda con ciò che è detto della speculazione dimostrativa o la contraddice. Se la contraddice allora diviene necessaria una interpretazione. Questa ha per scopo di ricavare il significato profondo di ciò che la parola della Legge esprime in modo figurato»: così Averroè (ripreso da “Philosophie und Theologie”, p. 7, München 1875).

Averroè non conosceva il greco e pertanto si avvicinò alle opere greche solo grazie alle traduzioni in arabo realizzate dai cristiani siriaci.

Ondate di traduzioni delle opere di Aristotele, effettuate direttamente a partire dai testi greci nell’Abbazia di Mont-Saint-Michel, furono effettuate 50 anni prima che iniziassero nella Spagna sottomessa dagli arabi le traduzioni delle versioni arabe (realizzate dai cristiani arabizzati) di quegli stessi testi.

A Giacomo Veneto (morto fra il 1140 e il 1150) si deve la traduzione di quasi tutta l’opera di Aristotele; egli iniziò le traduzioni prima del 1127.

La Francia e l’Inghilterra, per esempio, disposero dell’intera opera di Aristotele prima che potessero avere a disposizione le traduzioni dall’arabo. Questi due Paesi, assieme alla Chiesa, furono tra i maggiori diffusori delle traduzioni greco-latine di Aristotele. La fuga dei cristiani d’Oriente, a partire dall’VIII secolo, a causa delle conquiste arabe, portò in Europa, soprattutto nell’Italia meridionale, la cultura e le conoscenze greche. Per non citare i continui scambi culturali fra mondo bizantino (dove i testi greci erano conservati) e Occidente, che garantirono la diffusione del sapere greco in Europa. Ciò dimostra come gli europei da sé si siano messi alla ricerca dei testi del sapere greco. Le opere di Aristotele furono tradotte, nella prima metà del XII secolo, dal greco al latino dai numerosi copisti dell’abbazia di Mont-Saint-Michel. Questi monaci furono i pionieri della diffusione della filosofia aristotelica in Europa. La loro opera non si limitò alla traduzione dei testi, ma fu accompagnata dai commenti agli stessi.

Storicamente Averroè fu importantissimo per le sue traduzioni e commenti delle opere di Aristotele, che in Occidente erano state quasi completamente dimenticate (prima del 1150 solo pochissime opere aristoteliche erano accessibili nell’Europa latina). Il recupero della tradizione aristotelica in Europa deve moltissimo alla traduzione in latino degli scritti di Averroè, iniziata nel XII secolo.

Tommaso d’Aquino, anche se si oppose ad alcune correnti di pensiero averroiste a lui contemporanee, allora fortemente rappresentate nell’università parigina, ha in comune con Averroè una profonda rivalutazione dell’opera di Aristotele.

Averroè, con il libro “L’incoerenza dell’incoerenza”, difese la filosofia aristotelica dalle critiche avanzate dall’altro grande pensatore islamico al-Ghazali nel suo testo “L’incoerenza della filosofia”. Al-Ghazali arguì che l’aristotelismo, soprattutto quello presentato negli scritti di Avicenna, si dimostrava un modello ricco di contraddizioni e non rispettava gli insegnamenti dell’Islam. Averroè dimostrò che entrambe le accuse di al-Ghazali erano infondate, sostenendo che l’interpretazione di Avicenna aveva distorto il pensiero aristotelico.

Al Ghazali sosteneva inoltre l’incoerenza stessa del principio del nesso causale fra gli eventi in natura, i quali andavano in profondo contrasto con l’onnipotenza divina.

Averroè, forte degli insegnamenti aristotelici riguardo alla diade di potenza e atto, concluse che non solo tutto l’universo procedeva in modo coerente ma che tutto si muoveva da un principio primo e questi, con il nome di Primo Motore Immobile, lo si definiva tranquillamente proprio con Allah.

Ecco dunque la “doppia verità”, di cui Averroè si fece strenuo difensore nel tempo, diventando un vero e autentico faro nella notte degli integralismi mai del tutto sopiti e di una apertura notevole nei riguardi del pensiero non strettamente islamico, evento che per l’ Occidente sarà caratterizzato solo con l’avvento della filosofia cartesiana.

Nel modello di pensiero metafisico averroista, si analizza il concetto di esistenza che precede l’essenza, chiave di lettura fondamentale dell’interpretazione esistenzialista, in reazione al concetto avicenniano di essenza anteriore all’esistenza, riprendendo in questo modo l’idea neoplatonica, ovvero che prima esiste il modello delle cose e dopo le cose stesse, che verrebbero a essere una versione minore, corrotta, dell’idea fondamentale.

Visione completamente rovesciata dal pensiero aristotelico e averroista. I filosofi, sostenne Averroè, hanno il pieno diritto di studiare la religione utilizzando gli strumenti della ragione, perché l’Islam non lo vieta.

Nella sua disquisizione sull’anima, si soffermò sulla duplice natura di quest’ultima, suddivisa in una parte individuale non eterna, e in una divina, condivisa da tutti gli esseri umani.

I suoi scritti furono tradotti in ebraico da Jacob Anatoli nel XIII secolo e influenzarono la filosofia ebraica da Maimonide fino a Spinoza.

Nell’opera del “Kitāb fasl al-Maqāl”, Averroè appoggiò il lavoro di indagine dei filosofi, ritenendolo non foriero di blasfemia e di miscredenza.

Nel saggio “Kitāb al-Kashf” criticò apertamente la scuola teologica islamica asharita, fondata dal teologo yemenita Abu al-Hasan al-Ash’ari, che dal 900 d. C. si era diffusa nel mondo islamico.

Averroè compilò una enciclopedia medica chiamata “Kulliyyāt” (Medicina generale), tradotta anche in latino col titolo di “Colliget”. Averroè compose un lungo libro intitolato “Al-Kashf ʿan manāhij al-adilla fī ʿaqāʾid al-milla” con l’obiettivo di esaminare le dottrine religiose contemporanee e verificarne la autenticità e la correttezza dal punto di vista del legislatore. Averroè si soffermò soprattutto sulle quattro correnti teologiche più diffuse ai suoi tempi, iniziando dai mutaziliti che cercarono di coniugare la logica e il razionalismo con le dottrine dell’Islam; puntò, in seguito, la sua attenzione sulla teologia speculativa degli “Ash’ari” (ashariti) che diversamente dai primi ritennero che la ragione e la ricerca eseguita con gli strumenti umani non avrebbe potuto condurre alla comprensione di Dio; Averroè proseguì il suo studio conoscitivo approfondendo gli elementi del sufismo, ossia quella forma di ricerca mistica tipica degli islamici che utilizza concetti derivanti da fonti greche, persiane e indù; infine terminò il suo giro d’orizzonte con la corrente religiosa più vicina al fondamentalismo a lui contemporaneo.

A questo punto Averroè approfondì la tematica della esistenza di Dio e delle diverse possibilità offerte all’essere umano per confermarla. Nella sua ricerca teologica rintracciò solo due argomentazioni salde e congruenti; mentre la prima riguardò la provvidenza, secondo la quale ogni oggetto dell’universo è al servizio, in qualche modo, dell’umanità e quindi Dio può essere identificato come un perfetto creatore; la seconda argomentazione si riferì alle invenzioni di tutti gli oggetti della natura e dell’universo, progettati, certamente non in modo casuale, e ovviamente da Dio.

Per rinsaldare le prove dell’esistenza di Dio, Averroè spiegò la natura e gli attributi della divinità. Ancora una volta si riagganciò alle credenze degli ashariti che non solo non negavano l’eventualità di una doppia divinità, ma ne mettevano in discussione anche l’onnipotenza. Averroè affermò che se ci fosse per davvero una doppia divinità, entrambe godrebbero degli stessi attributi e quindi opererebbero assieme. Contemporaneamente, Averroè, segnalò che sia il sentire comune come pure la ragione, optavano verso la presenza di una divinità unica.

Averroè si soffermò sulla possibilità della uguaglianza degli attributi divini e umani, e formulò l’esempio della conoscenza, che lui contestò, in questo caso sostenendo che la conoscenza umana è il prodotto dell’effetto della conoscenza divina (emanazione), diversa da quella umana poiché Dio, essendo la causa prima dell’universo, possiede le cognizioni delle cause dell’essere e dell’esistenza. Averroè discusse anche sulla mutabilità delle conoscenze divine, che però, affermò il pensatore di Cordova assume una importanza secondaria dato che Dio è padrone della conoscenza di ogni atto.

Durante l’ondata di fanatismo religioso che attraversò al-Andalus (le terre spagnole sotto il dominio arabo) alla fine del XII secolo, egli fu esiliato e tenuto sotto controllo fino alla morte.

Molte delle sue opere di logica e metafisica furono distrutte dalla censura.

Nell’immaginario, Averroè viene ricordato nel famoso dipinto di Raffaello Sanzio intitolato «La scuola di Atene», custodito nelle stanza vaticane, dove il pittore angelico lo raffigura nella parte inferiore del quadrante sinistro.

In uno dei racconti preferiti del mio idolo, lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, dal titolo «La ricerca di Averroè» (chiaramente ispirato agli studi di Miguel Asín Palacios), il filosofo arabo appare alla vana ricerca del significato delle parole “tragedia” e “commedia”. La sua impossibilità di approdare a una soluzione corrisponde alla effettiva incapacità distintiva in tale ambito della cultura arabo-islamica classica.

Il regista egiziano Yūsuf Shahīn realizzò nel 1997 il film «Il destino» (“al-Maṣīr”) a lui dedicato, facendolo assurgere a vittima dell’oltranzismo intellettuale di una parte del mondo islamico (gli Almohadi), esempio di arretratezze culturali del mondo musulmano contemporaneo e di intolleranza nei confronti della libera speculazione umana.

Viene citato dai medici nel videogioco «Assassin’s Creed: Brotherhood» e più volte ricordato da Guglielmo da Baskerville nel romanzo di Umberto Eco «Il nome della rosa». Per concludere, vorrei portare un’altra citazione da Umberto Eco, dal libro «Secondo Diario Minimo»: «Averroè come va? – Io sto bene, io sto male!», battutaccia filosofica sempre molto efficace per illustrare il concetto di verità averroista.

Striminzita (diciamo minima) bibliografia

  • Barry S. Kogan, Averroes and the Metaphysics of Causation, SUNY Press, 1985.
  • Olivier Leaman, Averroes and his philosophy, Routledge.
  • Carmela Baffioni, Averroes and the Aristotelian Heritage, Guida Editori, 2004.
  • Sorabji, Richard Matter, Space and Motion Duckworth 1988.

 

E queste sono le opere di Averroè tradotte in italiano

  • Averroè, L’incoerenza dell’incoerenza dei filosofi, a cura di M. Campanini, UTET, Torino 1997
  • Averroè, Il trattato decisivo sull’accordo della religione con la filosofia, a cura di M. Campanini, Rizzol-BUR, Milano 1994
  • A. Illuminati, Averroè e l’intelletto pubblico. Antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Manifesto Libri, Roma 1996.

(*) Purtroppo il bellissimo film «Il destino» di Shahin (o Chahine, in un’altra trascrizione) in Italia è stato boicottato dai distributori. Avendo avuto la fortuna di vederlo posso confermare gli ottimi giudizi di Paolo Mereghetti («Un kolossal vitale ed euforico contro gli integralismi di ogni epoca e tempo», «trascinante e talvolta geniale») e di Morando Morandini («il sempreverde Chahine, il più grande dei cineasti arabi, fa un cinema popolare e insieme colto. Film scattante, svariante, pittoresco che contamina temi e generi»). Da recuperare anche – soprattutto forse – nelle scuole… sempre che una scuola con senso in Italia esista ancora.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 10 dicembre fra l’altro avevo ipotizzato: 1520: Lutero brucia bolla papale; 1892: Banca Romana; 1896: prima di «Ubu re»; 1920: strage di polizia a Canneto Sabino; 1948: «diritti umani»; 1954-62: premio Nobel a Linus Pauling; 1977: in Argentina sequestrata Azucena Villaflor. E chissà, a ben cercare, quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Rispondi a slec1 Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *