Scor-data: 14 febbraio 1958

Da allora Gessolungo ancora brilla e brucia

di Angelo Maddalena (*)  

Era una miniera di zolfo vicino Caltanissetta, Gessolungo: una delle tante. Miniere e zolfare: tanti nomi di crolli, tracolli, vite perdute nel fango della memoria. Molti lo ricordano ancora oggi: era il 14 febbraio 1958, di prima mattina. Nella triste “classifica” delle stragi nelle miniere c’è Caltanissetta e la sua provincia, a partire dal 1800 fino alla seconda metà del ‘900. Già nel 1881 a Gessolungo morirono 65 minatori. Primi in classifica! Ma solo per le vite perdute nelle miniere! Ci sarebbe anche il tribunale di Caltanissetta famoso per i processi contro la mafia, il maxi-processo.

Caltanissetta è conosciuta solo per questi fatti e misfatti. Ma cosa nascondono questi “eventi” se non la miseria di un popolo che nell’interno della Sicilia fu condannato dall’Unità d’Italia (ma anche da prima) a bacino che fornisce mano d’opera, braccia da vendere al miglior offerente? «Cartanissetta fa quattru quarteri, la megliu giuvintù li surfatara, la duminica su tutti ccu dinari a lu luni a la pirrera a na calari»: così cantava – con la sua voce epica e potente – Rosa Balistreri, che era di Licata, altra città martoriata e irredenta, a pochi chilometri da Caltanissetta.

Io ho conosciuto i minatori della provincia di Caltanissetta ed Enna, dei paesi miei quindi, quando sono arrivato in Belgio a metà anni ’90, nel 1996, per fare il progetto Erasmus e una tesi di laurea sugli emigrati italiani in Belgio. Lì ho incontrato quelli che erano partiti cinquant’anni prima (nel 1946 era stato firmato il patto italo-belga che stabiliva l’invio di un minimo di uomini destinati alle miniere della Wallonie in cambio di uno sconto per l’acquisto del carbone belga) e ho incontrato molti dei loro figli (di uno di loro, Girolamo Santocono, ho tradotto dal francese il romanzo «Rue des italiens», edizioni Gorée). Lì ho saputo di Marcinelle e dei più di cento uomini finiti nel baratro del Bois du Cazier il 6 agosto 1956. Poi ho scoperto anche che già da prima l’inferno era iniziato, in Sicilia, nelle miniere vicino a Caltanissetta ed Enna: quegli uomini che andavano in Belgio, o comunque molti di loro, erano già stati sfruttati e prosciugati delle loro migliori energie (la megliu giuvintù li surfarara) nei loro paesi d’origine. Gessolungo è uno di quelli e il 14 febbraio del 1958, all’alba, dieci di loro hanno perso la vita, asfissiati, accubbati come diciamo dalle nostre parti. Un’esplosione che doveva andare verso l’esterno della miniera è andata verso l’interno (tecnicamente questo tipo di esplosione si chiama “volata”) per un errore tecnico ed è iniziato l’inferno: il gas ha invaso i corridoi della miniera a circa di 500 metri di profondità. I minatori hanno provato a guadagnare l’uscita ma il respiro era difficoltoso, per molti impossibile, e dieci di loro sono rimasti nel fondo, senza respiro, senza vita. Altri cinque, dopo qualche giorno di ricovero in ospedale, hanno ceduto: in totale 15 caduti, di una guerra non dichiarata, non ufficializzata, invisibile. Come quella che oggi produce migliaia di morti all’anno nelle strade dentro scatole di lamiera e ruote di gomma che si scontrano, sbandano, si distruggono e distruggono, il prezzo da pagare al Dio Automobile!

I quindici caduti del 14 febbraio si aggiungevano alle altre centinaia caduti in altre miniere del centro Sicilia e non solo, a Ribolla, vicino Grosseto, nel 1954, e tanti altri. Per me che abito e ri-abito questi luoghi è sempre un “piacere” (della memoria) raccontare e farmi raccontare delle miniere di zolfo e di salgemma. Dalle mie parti c’è la miniera di Pasquasia (fra Enna e Caltanissetta) dove molti dei padri di miei coetanei e amici hanno lavorato fino al 1993, anno in cui è stata chiusa per “scarsa produttività”. Oggi è da poco iniziata la bonifica di Pasquasia da materiali amiantiferi, per una riapertura della miniera che si dice potrebbe produrre ancora per trent’anni salgemma e sali potassici. Intanto escono libri pubblicati da editori locali sui “veleni e misteri” di Pasquasia, riferiti alle scorie nucleari sepolte nei cunicoli della miniera a partire dagli anni ’80: Attilio Bolzoni su «la Repubblica» ne aveva parlato nel 1986, Claudio Fava su «I siciliani» sempre in quel periodo ne aveva scritto. Pochi giorni fa c’è stata una conferenza su pericoli e misteri delle miniere abbandonate del centro Sicilia, la conferenza si è svolta a Montedoro, in provincia di Caltanissetta, dove c’era una miniera di zolfo, di cui si parla nel libro di Angelo Petix «La miniera occupata» (Sciascia editore). Una delle voci più profonde che abbia smascherato e dissepolto l’orrore delle miniere di zolfo è quella di Ignazio Buttitta, che nella poesia «A li matri di li carusi», scrive, riferendosi alle madri dei minatori:

«Matri chi mannati li figli a la surfara

Iu vi dumannu: pirchì a li vostri figli

cci faciti l’occhi

Si nun punu vidiri lu jurnu?

Pirchì ci faciti li pedi

Si caminanu a brancicuni?

Nun li mannati a la surfara

Si pani nunnaviti scippativi na minna

Un pezzu di mascidda ppi sazialli»

Sono parole crude e durissime – e stupende – per descrivere l’orrore e la rabbia di un popolo deprivato e derubato dei figli! Per tornare al discorso delle guerra invisibile di cui prima, nel sito internet dove ho trovato il testo della poesia di Buttitta, c’è scritto «Canzoni contro la guerra»: la guerra del lavoro, dell’emigrazione, della schiavitù.

La poesia si conclude con uno sferzante e provocatorio “Facitili di zzurfaru li figli!” (fateli di zolfo i figli) dopo aver detto che è preferibile avere un figlio morto in casa che non vivo nella miniera. Le parole di Buttitta provocano quello che ognuno di noi dovrebbe sapere e sentire: la disumanizzazione e l’insopportabilità del lavoro industriale e nella fattispecie arcaico e svilente, pericoloso e mortifero come quello delle miniere di zolfo. Nel mio monologo teatrale «Lu jurnu di tutti li santi» immagino un incontro fra Rosa Balistreri e Marco Camenisch e nel racconto c’è un confronto fra l’insurrezione e la rabbia che si fa canto in Rosa Balistreri; in quel monologo c’è un canto per i surfarara (minatori delle miniere di zolfo): «All’alba si nni va lu surfararu, si nchiui ntra lu pettu di la minera»… Il canto che si fa riscatto di quella condizione disumana, come si fa riscatto della disumanità l’insurrezione di Marco Camenisch e di quegli svizzeri che con sabotaggi e azioni dirette ostacolano la costruzione delle centrali nucleari in Svizzera negli anni ’70; per questo Marco Camenisch sta pagando tuttora con il carcere (dopo trent’anni di carcere compresi dieci anni di latitanza dopo la fuga). In comune fra lui e Rosa Balistreri ci sono la rabbia e l’amore, la tensione insurrezionale contro la “peste della civiltà industriale”. L’altro giorno parlavo con un uomo ultracinquantenne del mio paese. Dopo che gli avevo letto la poesia di Ignazio Buttitta, lui cercò di minimizzare e nascondere a se stesso la rabbia e la vergogna dicendo queste parole: ma vabè, non è che ci sono stati molti morti nelle nostre miniere! Riferendosi a due miniere dei dintorni del nostro paese: Pasquasia e Musalà! E disse che c’erano stati due o tre morti in quelle miniere negli anni in cui funzionavano. Ecco una cosa per cui vale la pena raccontare e cantare delle miniere di memoria sepolta: ostacolare la rimozione, l’oblìo, per disseppellire la vergogna, la rabbia, l’amore, il canto.

(*) Di minatori (italiani in Belgio e mon solo) si è parlato spesso in blog. Segnalo: Scor-data- 26 settembre 1953, Scor-data: Marcinelle, 8 agosto 1956 (con una intervista di Sabatino Annecchiarico ad Anna Maria Pelone, figlia di un minatore morto) e Scor-data: 23 giugno 1946 (dove di nuovo Sabatino Annecchiarico ricorda l’accordo Belgio-Italia: carbone in cambio di minatori “docili”) oltrechè David Lifodi: La vita agra dei minatori di Ribolla. Qui invece – Scor-data: 21 marzo 1927 – trovate notizie su Rosa Balistreri.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 14 febbraio fra l’altro avevo ipotizzato: i mille «usi politici» della festa degli innamorati;1779: ucciso Cook; 1900: è il giorno di «Pic nic ad Hangig Rock»; 1921: nasce Raniero Panzieri; 1929: strage di san Valentino; 1934: il truffatore Ponzi esce dal carcere; 1937: «Vladek e Anja abbiamo sposato»; 1984: Craxi abolisce la scala mobile (era la «scor-data» dell’anno scorso); 1989: Khomeini esorta a uccidere Rushdie; 2003: muore la pecora Dolly; 2007: Mapuche contro Benetton; 2011: in Ecuador un tribunale dà torto a Chevron e lo stesso giorno Bersani dice «so che la Lega non è razzista» E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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