Scor-data: 16 settembre 1982

Massacro di Sabra e Chatila

di Fabrizio Melodia (*)  

L’Assemblea generale, (…)

  1. Condanna nel modo più assoluto il massacro di larga scala di civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila;
  2. 2.    Conclude che il massacro è stato un atto di genocidio”. (United Nations, General Assembly, 16 December 1982)

Questa fu la risoluzione che l’assemblea generale delle Nazioni Unite promulgò il giorno 16 dicembre 1982, a seguito del massacro nel campo profughi palestinesi, situato alla periferia di Beirut, in Libano.

Ne sentiamo parlare più volte, molte opere lo ricordano per l’infamia del genocidio perpetrato, ma, come in ogni grande avvenimento contemporaneo, è molto difficile separare e analizzare i fatti, traendoli fuori dal grande magma del coinvolgimento emotivo e delle false e tendenziose notizie.

La cultura popolare non poteva non registrare questa grave ferita che ancora oggi lascia indignati, commossi e arrabbiati anche chi non conosce i fatti.

Un’opera come il film d’animazione “Valzer con Bashir”, tratto dall’omonimo fumetto, ripercorre con estrema drammaticità e precisione il massacro di Sabra e Shatila.
La canzone “Presso Chatila” dei Delirememami si ispira a questi fatti, come pure la canzone “Soweto” di Eugenio Finardi e “Contro” dei Nomadi.

Qui cercherò di ripercorrere in breve ciò che accadde, e come l’ ONU condannò tale atto delle truppe israeliane nei confronti di centinaia, forse di migliaia, civili arabo palestinesi.

Primo atto.

La guerra civile libanese si protraeva ormai da parecchio tempo. Era iniziata nel 1975 e si sarebbe più o meno arrestata nel 1990.

Israele sosteneva militarmente, rifornendo di armi e addestrando i combattenti, la comunità cristiana dei maroniti e l’Esercito del Sud-Libano (cristiano-maronita) di Sa’d Haddād contro l’OLP e le forze armate siriane.

Nell’estate del 1982, Israele, insieme ai suoi alleati  iniziò l’assedio di Beirut, costringendo i circa 15000 guerriglieri dell’ OLP (Il Fronte di Liberazione Palestinese) a rimanere asserragliato nella città, insieme ai loro alleati libanesi e siriani.

Il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan inviò Philip Habib e Morris Draper nel tentativo di risolvere senza esiti cruenti la crisi che si era venuta a formare.

Cominciarono lunghe ed estenuanti trattative rese assai difficili dal fatto che gli Israeliani e gli Statunitensi non vollero discutere direttamente con i Palestinesi, e i Palestinesi asserragliati nella città non vollero abbandonarla perché temevano ritorsioni dei soldati israeliani e dei loro alleati falangisti.

Una vera e propria situazione di stallo che non sembrava essere in alcun modo superabile, una mediazione difficile e dagli esiti piuttosto incerti.

Dopo un forte braccio di ferro diplomatico, Philip Habib riuscì ad ottenere dal primo ministro israeliano la promessa che i soldati sarebbero entrati a Beirut Ovest ma che non avrebbero in alcun modo infierito o colpito i palestinesi presenti nei campi profughi come pure ebbe l’assicurazione dal presidente palestinese Bashir Gemayel, (Giumayyil, figlio di Pierre Gemayel uno dei fondatori delle Falangi), che i falangisti non si sarebbero mossi. Il braccio di ferro si concluse con l’accordo da parte del ministero della difesa degli Stati Uniti d’America che ci sarebbe stato un contingente militare USA a garantire gli impegni presi, siglando il trattato il 19 agosto del 1982.

Un valzer a prima vista che si era concluso nel migliore dei modi, con l’elezione a presidente del Libano proprio di Bashir Gemayel, il quale godeva dei favori di Israele e dei maroniti.

Atto secondo.

Il 20 agosto, alla vigilia dell’imbarco dei primi miliziani palestinesi, che cominciano ad evacuare la città, venne pubblicata negli USA la quarta clausola dell’accordo per la partenza dell’OLP, che così recita: ”I Palestinesi non combattenti, rispettosi della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie di sicurezza … Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto”, (“American Foreign Policy”, “Current documents”, 1982, Dipartimento di Stato, Washington D.C.).

Yasser Arafat non era affatto tranquillo, l’istinto e una pura dose di buon senso lo metteva in guardia, sembrava tutto troppo facile, troppo liscio, voleva avere l’assicurazione totale che gli accordi presi fossero rispettati e chiese come d’accordo la presenza delle forze militari statunitensi.

Tale richiesta scritta fu presentata in data 19 agosto 1982 dal ministro degli esteri libanese Fu’ad Butros agli ambasciatori di Stati Uniti, Italia e Francia.

Philip Habib ratificò tale richiesta, che prevedeva l’intervento di 800 soldati statunitensi, 800 francesi e 400 italiani per garantire l’ordine durante il ritiro delle forze dell’OLP da Beirut. Il mandato della forza multinazionale era di un mese, dal 21 agosto al 21 settembre, e avrebbe potuto essere rinnovato su richiesta dei libanesi in caso di necessità. Tutti i combattenti palestinesi sarebbero dovuti partire entro il 4 settembre, e in seguito la forza multinazionale avrebbe collaborato con l’esercito libanese per portare una sicurezza durevole in tutta la zona delle operazioni.

Il 21 agosto arrivò a Beirut il contingente francese, seguito il giorno dopo da quello italiano e americano, solo allora Yasser Arafat avrebbe acconsentito ad abbandonare Beirut con i suoi 15000 guerriglieri.

Atto terzo.

L’evacuazione dell’ OLP dal Libano fu dichiarata terminata in data 2 settembre, ma i peggiori presentimenti di Arafat si rivelarono corretti, infatti le milizie israeliane circondarono i campi profughi palestinesi contravvenendo chiaramente ai patti, ma le milizie di garanzia franco-statunitensi-italiane non mossero un dito per fermarle, come espressamente richiesto dall’accordo siglato il 19 agosto.

Anzi, in data 3 settembre il segretario della difesa americana Caspar Weinberger ordinò al contingente USA di abbandonare l’area, e con loro automaticamente anche il contingente francese e italiano, l’ultimo contingente lasciò Beirut in data 10 settembre, 11 giorni prima di quanto previsto dal trattato, di cui nessuno sembrava ricordare più alcunchè.

Nello stesso momento le truppe cristiano-falangiste entrarono nel quartiere di Bir Hassan indisturbate, proprio ai margini dei campi profughi di Sabra e Chatila.

L’11 Settembre 1982, Ariel Sharon contestò la presenza di 2000 guerriglieri OLP rimasti a Beirut, accusa decisamente respinta dai palestinesi in quanto falsa.

Il premier israeliano Menachem Begin invitò il neo-presidente Gemayel a Nahariya per fargli firmare un trattato di pace con Israele, anche se alcune fonti sostengono che Begin chiese a Gemayel di permettere la presenza delle truppe israeliane nel sud Libano, con a capo Sa’d Haddad, ex capo dell’Esercito del Sud-Libano.

A Gemayel fu anche chiesto di dare la caccia ai 2000 guerriglieri palestinesi la cui presenza era stata denunciata da Sharon.

Gemayel, anche a causa dei crescenti rapporti di alleanza con la Siria, rifiutò e non firmò il trattato.

Vai a fidarti degli amici.

Il 14 settembre 1982, Gemayel fu ucciso in un attentato organizzato dai servizi segreti siriani.

Il giorno seguente le truppe israeliane invasero Beirut Ovest, riducendo a carta straccia l’accordo con gli USA che proibiva questo atto nonchè gli accordi di pace con le forze musulmane intervenute a Beirut e quelli con la Siria.

Nei giorni successivi il premier israeliano Begin definì l’azione del suo esercito come una contromisura per “proteggere i rifugiati palestinesi da eventuali ritorsioni da parte dei gruppi cristiani”, pochi giorni dopo Sharon affermò al parlamento che “l’attacco aveva lo scopo di distruggere l’infrastruttura stabilita in Libano dai terroristi”.

In seguito all’assassinio di Gemayel, la vendetta dei gruppi cristiano-falangisti non si fece attendere, grazie anche al fatto che le truppe israeliane avevano sigillato i campi profughi e messo torri di guardia armata in ogni angolo strategico.

I falangisti entrarono a Sabra e Chatila il giorno 16 settembre e ne uscirono solo il 18 settembre, dopo aver massacrato un non ancora certo numero di civili inermi e disarmati.

Il procuratore capo dell’esercito libanese in un’indagine condotta sul massacro, parlò di 460 morti, la stima dei servizi segreti israeliani parlava invece di circa 700-800 morti.

Ecco alcune testimonianze.

David Lamb scrisse sul quotidiano “Los Angeles Times” del 23 settembre 1982: “Alle 16 di venerdì il massacro durava ormai da 19 ore. Gli Israeliani, che stazionavano a meno di 100 metri di distanza, non avevano risposto al crepitìo costante degli spari né alla vista dei camion carichi di corpi che venivano portati via dai campi”.

Elaine Carey scrisse sul quotidiano “Daily Mail” del 20 settembre 1982: ”Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L’odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l’uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore”.

Loren Jankins scrive sul quotidiano Washington Post del 20 settembre 1982: ”La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l’angolo, in un’altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti – dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 – raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull’altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche”.

La testimonianza di Ellen Siegel, cittadina americana, infermiera volontaria, ebrea: ”In cima all’edificio soldati israeliani guardavano verso i campi con i binocoli. Miliziani libanesi arrivarono in una jeep e volevano portare via un’assistente sanitaria norvegese. Ci rivolgemmo ad un soldato israeliano che disse ai miliziani di andare via. Infatti partirono. Alle 11.30 circa gli israeliani ci condussero a Beirut Ovest. Sedetti sul sedile anteriore di una jeep della IDF. L’autista mi disse: «Oggi è il mio Natale (intendendo la festività ebraica del Rosh haShana). Vorrei essere a casa con la mia famiglia. Credete che mi piaccia andare porta a porta e vedere donne e bambini?» Gli chiesi quante persone avesse ucciso. Rispose che non era affar mio. Disse anche che l’armata libanese era impotente, erano stati a Beirut per anni e non avevano fatto nulla, che Israele era dovuta arrivare per fare tutto il lavoro”.

Il 16 dicembre l’ ONU condannò Israele per genocidio con la risoluzione 37/123.

L’8-2-1983, la Commissione Kahan chiamata a indagare sui fatti dalle autorità israeliane e presieduta da Itzhak Kahan e composta da un altro magistrato, Aharon Barak, e dal generale di divisione della riserva Yona Ephrat, giunge alla conclusione che i diretti responsabili dei massacri erano stati Elie Hobeika e Frem, nemico giurato dei palestinesi sin dall’inizio della guerra civile in Libano.

La stessa Commissione però ammise indirettamente la responsabilità nel massacro, per non averlo saputo prevenire né stroncare mentre era ancora in corso, dell’allora ministro della Difesa israeliana, Ariel Sharon, sostituito da Moshe Arens.

Fu ammessa anche la responsabilità dei comandi militari della forza d’invasione in Libano e, in special modo, del generale Rafael Eitan, capo di Stato Maggiore, e del generale Amos Yaron, comandante delle forze israeliane nella regione di Beirut (trasferito all’Ufficio degli effettivi presso lo Stato Maggiore).

A tutt’oggi questa è l’unica inchiesta ufficiale aperta sulla strage.

FONTI

  • Amnon Kapeliouk, “Sabra e Chatila. Inchiesta su un massacro”, Roma, Corrispondenza Internazionale, 1983  (traduzione italiana dell’originale “Sabra et Chatila: Enquête sur un massacre”, Parigi, Ed. du Seuil, 1982).

Webgrafia

  • “Sharon’s war crimes in Lebanon: the record”, dal sito World Socialist Web Site.
  •  http://www.un.org/documents/ga/res/37/a37r123.htm A/RES/37/123 16 December 1982 The situation in the Middle East.
  • “Report of the Commission of Inquiry into the Events at the Refugee Camps in Beirut (The Kahan Commission)”, sul sito della Jewish Virtual Library.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera” (db)

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