Scor-data: 17 dicembre 1922

Inizia a Torino la tre giorni di sanguinosi assalti fascisti

di Domenico Stimolo (*)

Nella ricorrenza del 92° anniversario della strage fascista a Torino la nostra memoria democratica ricorda gli undici assassinati dalla furia omicida delle bande nere, nelle tre giornate del 18, 19, 20 dicembre.

  1. dicembre
  • Carlo Berruti, ferroviere e consigliere comunale del Partito Comunista d’Italia
  • Matteo Chiolero, tramviere, militante socialista.
  • Erminio Andreoni, operaio delle ferrovie
  • Pietro Ferrero, segretario torinese della Fiom -Cgil
  • Andrea Chiomo
  • Matteo Tarizzo
  • Leone Mazzola, militante socialista.
  • Giovanni Massaro, ex ferroviere.

19 dicembre

  • Cesare Pochettino, artigiano
  • Angelo Quintagliè, ferroviere.

20 dicembre

  • Evasio Becchio, operaio.

In quelle tragiche tre giornate torinesi da parte degli squadristi fascisti si consumò una vera e propria “caccia all’uomo” nelle strade cittadine e nelle zone circostanti. Molto più di uno degli innumerevoli assalti a sedi di strutture democratiche o a cortei dei lavoratori, come realizzato in migliaia di drammatici eventi consumatosi in Italia nel periodo 1919-22. Bensì, nell’area urbana della città fu operata la ricerca, l’assalto vile e infame (dieci contro uno) di antifascisti e militanti delle forze di sinistra davanti alle loro abitazioni e nei luoghi di abituale frequentazione.

Si esprimeva così la furia belluina degli squadristi, potentemente armati. Erano passati meno di due mesi dall’insurrezione armata fascista chiamata «marcia su Roma» e dalla “graziosa” resa (in piena volontà) del re Vittorio Emanuele – dei regnanti Savoia «per grazia di Dio e volontà della Nazione» – il quale rifiutò di firmare lo stato d’assedio per fermare il colpo di Stato. Anzi dal 31 ottobre Mussolini, in pompa magna, era stato nominato dal re a capo del governo di coalizione costituita dalle forze “culturali”, padronali e politiche che avevano gestito l’enorme scannatoio inflitto al popolo italiano con la guerra mondiale: fascisti, liberali, popolari e partito della cosiddetta democrazia sociale.

Dal nord al sud, l’opposizione democratica e antifascista, enormemente soverchiata dall’esercito nero che ormai spadroneggiava in tutte le aree urbane e nelle zone rurali, era stata in gran parte violentemente silenziata.

Metodicamente assaltate e devastate molte centinaia di sedi: sindacali, politiche e di giornali, Case del popolo, cooperative, Leghe contadine, tipografie e ancora circoli di cultura, operai e di ricreazione, strutture istituzionali locali. Altissimo il tributo di sangue. Quasi 3000 le vittime provocate dalla violenza fascista. Decine di migliaia i feriti – 40.000 solo nel 1921 – in parte rilevante colpiti da armi da fuoco. A queste cifre funeste bisogna aggiungere, per il periodo che va dal 1917 al 1922, altre 3000 vittime determinate dagli interventi di guardie regie, soldati e carabinieri, nel corso di manifestazioni politiche e iniziative sindacali. E in questa fase oltre 20.000 persone furono costrette, per sfuggire alla furia fascista, ad abbandonare l’Italia.

A Torino il clima restava molto teso. Nelle settimane precedenti i giorni della strage furono molteplici gli eventi in puro stile terroristico fascista.

Gli industriali, che tramite la Confindustria avevano espresso vivo plauso al nuovo governo, a questo punto pretendevano la “regolarizzazione” della città e dei luoghi di lavoro. Quella dell’«ubbidir tacendo all’imperio comando».

Il 2 novembre era stata assalita e incendiata la Camera del Lavoro. Il 29 novembre veniva assassinato il militante comunista Pietro Longo. Alla Fiat 1300 operai furono licenziati.

La sera del 17 dicembre vi fu l’antefatto della strage: l’operaio Francesco Prato – socialista, bigliettaio di tram – si difende dall’agguato delle camicie nere, spara, uccidendo due dei tre assalitori. Rimane ferito da colpi di pistola. Dopo essere stato curato è aiutato a fuggire in Svizzera e poi in Unione Sovietica.

A quel punto i caporioni del fascismo torinese – Cesare Maria De Vecchi, “console” delle milizie, e Pietro Brandimarte – decisero. Il terrore doveva essere seminato a pieni mani. Avevano l’elenco di tremila antifascisti torinesi dove erano indicate le abitazioni, i luoghi di lavoro, le consuetudini di spostamento.

Nel corso della mattinata del 18 dicembre viene di nuovo dato l’assalto alla Camera del Lavoro mentre è in corso una riunione. Gli aggressori sono una cinquantina. Si sentono forti, protetti dalla premeditata rinuncia a intervenire delle forze istituzionali “preposte all’ordine pubblico”.

Parte l’attacco, che poi si diffonde in tutta la città.

Carlo Berruti – segretario del sindacato dei ferrovieri, che già aveva subìto la devastazione della sua abitazione – nella tarda mattinata viene rapito da una squadra di circa dieci fascisti nel suo posto di lavoro (un ufficio delle Ferrovie) assieme ad un altro compagno, poi rilasciato. Viene portato nelle campagne di Nichelino vicino alla linea ferrata: gli sparano alle spalle.

Matteo Chiolero. Il suo assassinio fu opera di veri e propri “avvoltoi”. Era un fattorino del tram e simpatizzante comunista. Mentre cenava, bussarono alla porta. Aprì la porta, lo ammazzarono con tre colpi di pistola davanti alla moglie e alla figlioletta di due anni.

Arminio Adreoni. Operaio di ventiquattro anni, con moglie e un bimbo di un anno. Gli squadristi lo cercavano con accanimento. Individuato durante la nottata lo ammazzarono a pistolettate. Abbandonarono il corpo nelle campagne della zona. Per completare la nefanda opera andarono nella sua casa distruggendola.

Pietro Ferrero. Trent’anni. Anarchico, segretario dei metalmeccanici della Cgil di Torino. Nel corso della mattinata si trovava nella sede della Camera del Lavoro assalita dalle squadre fasciste. Dopo l’aggressione si allontanò con la sua bicicletta. In serata si avvicinò alla Camera del Lavoro, occupata da decine di fascisti. Riconosciuto, fu aggredito e trascinato dentro i locali sindacali, rimanendo ferito. In piena notte avvenne l’atto dello scempio. Portato fuori fu legato a un camion, trascinandolo violentemente sulla pavimentazione stradale con il mezzo in corsa. In breve tempo Pietro Ferrero morì martoriato. Gli cavarono gli occhi e gli strapparono i testicoli. Il corpo vilipeso fu abbandonato sulla strada. I fascisti poi ritornarono nel luogo del delitto, bruciando la sede della Camera del Lavoro.

Andrea Chiomo. Venticinque anni, comunista. Gli quadristi agirono in serata. Era uscito assolto da un processo che lo vedeva imputato per l’omicidio di un fascista. Lo presero mentre era ospite a casa da amici. Lo tempestarono di colpi. Fu finito in strada a colpi di fucile. La madre, appresa la notizia, morì di crepacuore.

Matteo Tarizzo. Trentaquattro anni, piccolo artigiano, dopo un periodo da operaio alla Fiat. Fu prelevato dalla sua abitazione. Venne furiosamente picchiato, riportando mortali ferite alla testa.

Molte altre aggressioni furono effettuate durante la giornata del 18 dicembre. Quindici i feriti, ufficialmente riportati negli elenchi degli ospedali. Altri, certamente, preferirono restare anonimi. In gran parte colpiti da colpi di pistola o fucili.

Leone Mazzola. Oste, subì le violenze delle camice nere presso il suo locale. Ucciso con numerose pistolettate. Durante l’irruzione anche un militante socialista fu ferito a colpi di pistola.

Giovanni Massaro. Trentaquattro anni. Ex operaio delle Ferrovie. L’assassinio è connesso a quello di Mazzola. Nel corso dell’assalto all’osteria era fuggito assieme ad altri. Pensava di trovarsi al sicuro nella sua abitazione. Gli squadristi, individuatolo, lo uccisero con quattro colpi di pistola.

Cesare Pochettino. Artigiano, 26 anni. Venne prelevato nel suo esercizio, portato, assieme al cognato, in un’area collinare all’esterno della città, fu colpito a morte. Il cognato, Zurletti, fu gravemente ferito dai colpi di pistola.

Angelo Quintagliè. Usciere delle Ferrovie, ex carabiniere, 43 anni. Fu aggredito nei locali ferroviari dalle bande fasciste, ucciso a pistolettate.

Evasio Becchio. Operaio venticinquenne. Fu preso assieme a Ernesto Arnaud (che rimase gravemente ferito) in un pubblico locale. L’assassinio avvenne in un campo di corso Ferraris. I fascisti fecero un “plotone di esecuzione” sparando ripetutamente.

Ulteriori elementi della terribile selezionata “ caccia all’uomo” operata dai fascisti sono noti:

  • Diverse fonti storiche riferiscono di quattordici assassinati. “La prima fila” da eliminare era costituita da 24 persone.
  • Nella città furono fatti convergere oltre 3000 squadristi, bene armati, molti provenienti da zone circostanti il Piemonte. Il 18 dicembre “presidiavano” arrogantemente tutta la città.
  • E’ molto probabile che altri cittadini furono assassinati, per scambio di persona o per altri motivi e che i corpi siano stati buttati nel fiume Po.
  • Molte altre decine di persone, militanti antifascisti, furono aggredite e ferite in modo grave.

Sui cittadini e sulla democrazia del nostro Paese calò il cappio sanguinario della dittatura fascista. La libertà ritornerà, riconquistata duramente, il 25 aprile 1945.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 17 dicembre avevo, fra l’altro, queste ipotesi:
1663: la morte di Nzingha; 1817: legge borbonica su diritto cittadinanza; 1830: muore Bolivar; 1903: Wright vola; 1909: muore il boia Leopoldo; 1935: Mussolini autorizza i gas in Etiopia; 1942: Nazioni Unite denunciano sterminio ebrei, Pio XII tace; 1968: Franca Viola (già in blog); 1969: processo Vajont, molte assoluzioni e condanne lievi; 1973: strage a Fiumicino; 1976: finale Coppa Davis in Cile; 1981: massacro a El Mozote; 1993: Craxi in tribunale; 2003: condannato Tanzi; 2009: Francia, condannata Renault; 2010: Tunisia, rogo di Mohamed Bouzizi; 2011: muore Cesaria Evora; 2013: video vergogna da Lampedusa. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.
Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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