Scor-data: 2 aprile 1982

Malvinas-Falkland: inizia una guerra (forse non finita)

di Sabatino Annecchiarico (*)   

Il 19 marzo 1982 quaranta argentini sbarcarono dalla nave militare «Bahia buen suceso» sulla dipendenza inglese detta Georgia del Sud e piantarono la bandiera argentina. Il 2 aprile il generale (golpista) Galtieri ordinò l’invasione delle Malvine che l’Inghilterra considera sue e chiama Falkland. In apparenza fu una breve guerra…   

Nel pomeriggio del 14 giugno 1982, i militari argentini si arresero all’esercito inglese nella «guerra dell’Atlantico sud», per le isole Malvinas, Georgias del Sur, Orcadas del Sur e Sandwich del Sur. Ma la storia di quella guerra – con i suoi 907 morti, tra cui 649 militari argentini, 255 militari britannici e 3 civili – non finì quel giorno.

Da allora sono rimaste molte ferite aperte fra i ragazzi-soldati di leva argentini sopravvissuti in quel conflitto, molti appena diciannovenni. Una ferita non chiusa come dimostrano i numerosi suicidi, oltre 400, fra questi ex combattenti nell’arco compreso nei primi 25 anni dalla fine della guerra.

Luis Poncetta, soldato di leva in quella guerra, poi avvocato, raccontò nell’intervista che mi è stata concessa nel giugno 2007, passaggi raccapriccianti e mai resi noti. «Appena arrivati nell’aeroporto de Puerto Argentino delle Malvinas (gli inglesi lo chiamano invece Port Stanley) all’alba del 14 aprile 1982 ci fecero camminare per chilometri con il peso della dotazione: non c’erano mezzi a disposizione per trasportare la nostra compagnia sul fronte, il Reggimento 7 di Fanteria Meccanizzata. Al mattino del giorno dopo ci trovammo a pochi chilometri da Puerto Argentino. Ci ordinarono di scavare pozzi, tipo trincee, non oltre un metro e mezzo di profondità dove potevano entrare solo due soldati per pozzo “per maggiore sicurezza”, dicevano. La pioggia battente in quella stagione allagava i pozzi e dovevamo scavarne altri quando cessavano i bombardamenti. In caso contrario traslocavamo a un pozzo vicino, ancora non allagato, ammassandoci in 4 con gli altri due occupanti. Io feci tre pozzi in condizioni climatiche avverse: i forti venti freddi australi, le piogge, ghiaccio e grandine misti a neve rendevano impossibile resistere con l’abbigliamento dato in dotazione. Il nostro vestiario era una giacca comprata all’esercito israeliano e una coperta che poi usavamo per coprire i pozzi dalle piogge. Per bere spaccavamo il ghiaccio e poi lo facevamo squagliare: acqua potabile non c’era. Dopo pochi giorni di guerra neppure il cibo caldo arrivava. Solo giungevano, e non tutti i giorni, alimenti freddi in scatola. Così abbiamo subìto oltre la sete e il freddo anche la fame. Un soldato della mia compagnia abbandonò momentaneamente il pozzo per procurarsi qualcosa da mangiare. Sorpreso fu crudelmente punito: legato alle intemperie, coricato sulla terra bagnata a pancia in su rischiando la ipotermia; noi stessi lo abbiamo slegato».

Luis Poncetta è un’attivista del Cecim, il Centro di ex combattenti di Las Malvinas, della città de La Plata (http://www.cecim.org.ar/) e cerca, con la sua organizzazione, di far luce sui lati oscuri della guerra nella speranza di ottenere giustizia sulle tante atrocità commesse dai militari argentini accusati di atti criminali, di scarsa preparazione e di codardia. «Il comando militare era impreparato e non aveva le idee chiare su cosa fare in guerra. Addirittura erano convinti che non ci sarebbe stato un conflitto con gli inglesi dopo lo sbarco del 2 aprile. Basta pensare che la nostra compagnia fu dotata di un solo cannone di 105 millimetri che non funzionava. Le nostre armi erano i vecchi fucili Fal o i Fap, più pesanti. Il cannone siamo riusciti a metterlo in funzione solo due volte e fu grazie alla perizia di un soldato che fece brillare il detonatore picchiandoci sopra con un semplice martello. Altra prova di impreparazione furono i pozzi: ci avevano ordinato di scavarli guardando in una direzione per difendere Puerto Argentino ma gli inglesi sono entrati dalle nostre spalle. Negli ultimi 3 giorni di guerra, dall’11 al 14 di giugno, caddero sulle nostre postazioni oltre 6 mila bombe al fosforo e non c’era nessun ufficiale a darci gli ordini: ci avevano abbandonati sul campo di battaglia. Solo un caporale appena promosso, anche lui di 19 anni, si era improvvisato al comando della nostra compagnia e fu lui che si prese la responsabilità della ritirata. In questo modo in molti siamo riusciti a salvarci la vita. Altri, purtroppo, non ce l’hanno fatta».

L’incrociatore argentino, Ara General Belgrano, affondato il 2 maggio con un equipaggio di 1093 uomini, conferma ancora una volta le dichiarazioni di Poncetta sulla totale impreparazione militare. La nave era del 1935, in dotazione alla marina Usa durante la II guerra mondiale e poi venduta all’Argentina nel 1951. Nel 1982 la nave entra in guerra solo dopo 3 giorni dall’inizio del conflitto «Era in porto per la riparazione di un motore»rivela il sottufficiale della marina argentina, Hugo Armando Villarreal sopravvissuto alla sciagura e intervistato da me sempre nel giugno 2007. «La nave partì senza alcun sistema di difesa da attacchi sottomarini». Infatti furono due siluri britannici che la inabissarono in 40 minuti. «A mezzogiorno del 2 maggio, uscimmo dalla zona di guerra, quella dichiarata unilateralmente dagli inglesi». Villarreal racconta come hanno affondato l’incrociatore. «Noi pensavamo di essere al sicuro e il capitano Elias Bonzo, fidandosi, ordinò di togliere le misure di sicurezze della nave poiché ci trovavamo fuori da eventuali attacchi nemici. Alle 15,50 arrivarono all’improvviso tre siluri, due ci colpirono. Sorpresi, ci trovammo impreparati per le manovre di salvataggio: a mala pena siamo riusciti ad abbandonare la nave con quello che avevamo addosso. In queste condizioni sono rimasto due giorni alla deriva in mare sopportando venti e temperature sotto lo zero in una scialuppa di salvataggio assieme al capitano. Le altre navi militari, per mettersi in salvo da probabili attacchi inglesi si allontanarono in fretta dallo scenario di guerra. Il 4 maggio un rimorchiatore della marina civile ci ha trovati riportandoci al porto di Ushuaia, in Tierra del Fuego, dopo un’altra giornata di navigazione». Altri 323 marinai purtroppo non hanno avuto la sua stessa sorte, aumentando l’assurdo elenco dei morti.

Breve antecedente storico

Non è certa né la data, né che nazione europea arrivò per prima a “scoprire” le isole Malvinas: si sa di certo che erano già abitate dai nativi precolombiani che arrivavano dalla terra ferma.

Comunque, l’incerta storia del possesso coloniale risale agli anni Venti del XVI secolo, quando il marinaio spagnolo Esteban Gómez sbarcò nelle Isole. Da allora vi fu una costante disputa – anche a colpi di cannoni – tra spagnoli, francesi, inglesi e olandesi per la conquista e successiva riconquista delle isole. Si continuò fino al 1811, quando gli spagnoli lasciarono le isole alla neonata Argentina che, nel 1820, inviò un fregata per assumerne il possesso. Tre anni dopo, nel 1823, al comando di Luis María Vernet iniziarono le esplorazioni per le risorse naturali delle isole. Nel 1829 s’istallò il primo distaccamento di polizia. Inoltre si stampò la prima banconota delle Isole, per il valore di 10 pesos.

La principale missione del governatore Vernet fu il controllo marittimo e della pesca, soprattutto quella illecita delle balene. Gli Stati Uniti non si fecero attendere: cannoneggiarono e distrussero uno dei due porti delle Isole, quello dell’isola Soledad.

Il 2 gennaio del 1833 la fregata da guerra britannica HMS Clio, al comando del capitano John James Onslow, arrivò alle isole e senza resistenza militare da parte argentina, s’impossessò delle isole, cambiando il loro nome in Falkland. Da allora sono rivendicate dall’Argentina come proprio territorio.

Ma questa è un’altra storia rispetto alle atrocità commesse trentuno anni fa su ragazzi-soldati in nome del neo-liberismo da Margaret Thatcher e in nome dell’arroganza dal generale Leopoldo Galtieri, molto impegnato in quegli anni a far scomparire – cioè uccidere – gli oppositori (o presunti tali) in Argentina.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 2 aprile c’erano queste ipotesi: è la Giornata mondiale dell’autismo; nel 1634 muore Virginia Galilei; nel 1840 nasce Emile Zola; nel 1941 a Crummies battaglia fra minatori e guardie; nel 1953 Keniatta finisce in galera; nel 1971 Occorsio incrimina Ordine Nuovo per ricostituzione del partito fascista; nel 1972 dopo 20 anni di esilio Chaplin torna negli Usa; nel 2012: muore Rosario Bentivegna. E chissà, a cercare un poco, quante altre «scor-date» salterebbero fuori su ogni giorno.

Molte le firme (non abbastanza per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi, magari solo una citazione, un disegno o una foto. Se l’idea vi piace fate circolare le “scor-date” o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • Come tante altre persone, nel 1982 assistevo all’annuncio di quella piccola guerra (e all’attesa che, con l’arrivo degli inglesi, diventasse sanguinosa, come purtroppo fu) come la dimostrazione da manuale del capitalismo e del nazionalismo: da una parte i militari golpisti e massacratori, dall’altra la “signora di ferro” che tolse diritti e dignità. In mezzo i soliti poveracci a morire per una patria “inventata” e che li opprimeva. Molte/i forse lo hanno dimenticato ma ci fu allora uno scandalo, subito soffocato, che illustrò – meglio di Marx – le regole dell’economia (anzi dell’econo-loro): una fabbrica d’armi, con base in Inghilterra, vendeva armi agli uni e agli altri.
    (Chi ha un buon archivio o memoria migliore della mia mi aiuterà a ritrovare i nomi giusti.)
    E in quel triste 1982 i mercanti di morte approfittarono del periodo d’attesa fra guerra annunciata e guerra combattuta per lanciare qualche bello spot sulle migliori tecnologie belliche per vincere: quasi identici i testi che circolarono in spagnolo e inglese. La cosa si notò. Se la memoria non m’inganna a qualche britannico (ingenuo o solo ipocrita?) spiacque che una ditta inglese spiegasse come uccidere meglio inglesi. La protesta ottenne il prevedibile risultato: gli spot vennero ritirati ma le armi no. Così i morti inglesi e quelli spagnoli furono voci del florido bilancio di quella stessa ditta. (db)

  • Ho vissuto la guerra ” de las Malvinas” quasi in diretta in quanto ero in Perù, a Lima. Viaggiai, in quei giorni, anche a Santiago del Cile, dove i giornali davano notizie più realistiche di quelli peruviani che al pari del Clarin e della La Nacion di Buenios Aires non raccontavano quello che in realtà stava succedendo.
    Mi soffermo solo sulle posizioni allora tenute dalla sinistra argentina. E’ chiaro che la natura della guerra intrapresa dal governo militare fu reazionaria. Lo scopo reale fu quello di recuperare il blocco sociale che appoggiato il golpe che stava andando a pezzi, far fronte alla opposizione operaia e di massa crescente, tre giorni prima della dichiarazione di guerra vi fu a Buenos Aires una forte mobilitazione sindacale, ed anche per neutralizzare le contraddizioni in seno alla Junta. Sono chiari gli appoggi che la guerra ottenne dalla Chiesa, che la presento’ come una specie di crociata, di guerra santa, e dal padronato, due colonne della dittatura.
    Meno comprensibili furono altre manifestazioni di consenso. Il sindacato, la GCT , lodo’ i militari e dichiaro’ che in quel momento gli interessi della Patria avevano priorità sulle rivendicazioni operaie. I Montoneros, la sinistra persista ed il Partito Comunista pur con differenti sfumature presero posizioni prettamente nazionalistiche: il recupero delle isole e’ un’ interesse della nazione argentina. I Montoneros si offrirono, perfino, volontari.
    I due partiti trotskisti ed altre organizzazioni, facendo salti mortali teorici per spiegare il carattere antimperialista di una guerra promossa da un’ organizzazione imperialista quale la Junta, appoggiarono l’ azione dei militari. Bisogna dire che anche Fidel Castro che anche ricevette il Ministro degli Esteri argentino, fu assieme all’ URSS dalla parte dei militari. Vi fu naturalmente chi si oppose come Las Madres de Plaza de Mayo che solidarizzarono con le madri dei coscritti, obbligati ad andare in guerra.
    Concludo, affermando che se l’ operazione avesse avuto successo il popolo argentino avrebbe dovuto sopportare la dittatura per qualche tempo in più, mentre la sconfitta accelero’ la crisi e la fine del governo militare. E’ ovvio che i termini attuali del diritto dell’ Argentina e del suo popolo alla restituzione delle isole si pongono in maniera diversa. Per esempio cosa pensa ora l’ Europa, che allora appoggio’, senza se e senza ma, l’ Inghilterra? Cosa pensa l’ Italia?

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