Scor-data: 21 gennaio 2006

Incoronazione indigena di Evo Morales a Tiwanaku

di David Lifodi (*)

“Fino a cinquant’anni fa i nostri predecessori non avevano il diritto di camminare sui marciapiedi della Plaza Murillo. Questa è la nostra storia, questa è stata la nostra vita. La Bolivia sembrava il Sudafrica. Ma, pur minacciati, pur condannati allo sterminio, noi siamo qui…”: fu con queste parole che il 21 gennaio 2006 Evo Morales coronava il riscatto degli indigeni della Bolivia diventando presidente del paese andino.

La sua elezione era avvenuta poco più di un mese prima, il 19 dicembre 2005: il sociologo brasiliano Emir Sader, segretario del Consejo Latinoamericano de Cienciais Sociales (Clacso), scrisse nel prologo del libro Evo Morales – Il riscatto degli indigeni della Bolivia (curato da Pablo Stefanoni ed Hervé Do Alto, Sperling&Kupfer, 2007), che la “vecchia talpa si è vestita da indio ed è tornata sulle Ande”. L’indio aymara era proprio Evo, già leader sindacale cocalero che permetteva agli indios e alla sinistra di entrare al Palacio Quemado (il palazzo presidenziale) di Plaza Murillo, con oltre il 53% delle preferenze rispetto al misero 31% di Jorge “Tuto” Quiroga, candidato per le destre di Poder Democrático Social (Podemos) ed uno dei tanti esponenti dell’opposizione eversiva con cui già da tempo aveva cominciato a battagliare Morales.  Il candidato del Movimiento al Socialismo (Mas), quello che l’ambasciata statunitense a La Paz si ostinava a chiamare “narco-candidato”, non riuscendo a capacitarsi come avesse vinto le elezioni, già si faceva interprete del cambio sociale tanto atteso da buona parte del paese, quella che aveva già fatto saltare i nervi alla multinazionale Bechtel a Cochabamba (in occasione della prima guerra dell’acqua) e alla Suez a El Alto. L’ideologia del Mas, all’insegna dell’indianismo radicale katarista di cui si faceva (e si fa tuttora) interprete il vicepresidente ed ex guerrigliero Álvaro García Linera, del marxismo e del nazionalismo rivoluzionario, rappresentava per il paese una garanzia nell’ambito di un governo davvero attento alle istanze dei movimenti sociali e indigeni. Il partito dei movimenti sociali, così allora fu definito il Mas, era riuscito a condurre alla presidenza Evo con un programma elettorale che scommetteva sul recupero di quelle risorse naturali di cui la Bolivia era ricca, ma ne era stata rapinata nel corso della sua storia, dal rame allo stagno passando per l’acqua e il petrolio. Il paese che finora era stato un fedele alleato degli Stati Uniti, allineato ai diktat del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale, di cui erano stati esponenti i presidenti boliviani fino ad allora, incluso il drammatico periodo della dittatura militare instaurata da Hugo Banzer, con Morales sognava di cambiare pagina. Evo non era “il povero cholito addomesticato e destinato a fare da copertura alla gente e agli interessi di sempre (come era stato in Perù con Alejandro Toledo, l’indio che veste Armani laureato a Harvard)…, ma espressione visibile di un lungo e drammatico processo di lotte e sconfitte…, leader indiscusso dei movimenti organizzati”: così lo descriveva il latinoamericanista del manifesto, Maurizio Matteuzzi, nel 2007.    Del resto, mai descrizione avrebbe potuto essere più azzeccata. Morales, ex trombettista e pastore di lama, figlio umilissimo dell’etnia aymara, era riuscito a condurre al Congresso una sinistra fortemente sui generis, espressione di quelle organizzazioni popolari allora molto forti nel paese: per intendersi, non si trattava dei rimasugli di quel Partito Comunista Boliviano così stantio e ideologicamente immobile su stesso che non aveva mosso un dito, perlomeno a livello dirigenziale, per aiutare il Che Guevara inseguito dai rangers inviati dai gorilla di La Paz con il beneplacito di Washington. Evo giungeva a Palacio Quemado dopo aver maturato un’esperienza di primo piano in qualità di dirigente delle federazioni dei cocaleros e nel 1997 divenne deputato per poi essere radiato nel 2002 dalla Commissione Etica (?) del Parlamento su suggerimento di Manuel Rocha, allora ambasciatore degli Stati Uniti a La Paz e definito dallo stesso Evo il suo miglior spin doctor per la campagna presidenziale che il 30 giugno dello stesso anno vide l’attuale mandatario boliviano giungere quasi ad insidiare la vittoria del gringo Gonzalo “Goni” Sánchez de Lozada, che si insediò a Plaza Murillo, ma fu in seguito costretto ad una poco onorevole fuga in elicottero a Miami a seguito dei moti popolari. Il 19 dicembre 2005, quando ancora l’exploit di Morales non era stato ufficializzato dalla Corte Nazionale Elettorale (Cne), gli aymara dell’altipiano andino avevano dato il loro “ultimatum a prescindere”: chiunque si fosse seduto sulla poltrona presidenziale avrebbe avuto solo novanta giorni di tempo per cominciare il processo di nazionalizzazione delle risorse naturali. Da allora ai giorni nostri il presidente boliviano ha sicuramente fatto tanto, soprattutto di fronte all’ostilità delle destre, a tentativi striscianti di colpi di stato tramite azioni di destabilizzazione di gruppi eversivi e, soprattutto nei primi anni del suo mandato, alle pesanti ingerenze provenienti da Washington. Sarebbe lungo elencare tutti i trabocchetti messi in atto dalle forze più conservatrici e reazionarie del paese, che hanno fatto apertamente proclami razzisti pur di disarcionare Evo, così come richiederebbe altrettanto tempo elencare tutti i provvedimenti di Morales che hanno restituito dignità alla Bolivia, a partire dall’ingresso nell’Alternativa Bolivariana per le Americhe (Alba) e al protagonismo giocato in tutti i tavoli di integrazione regionale. Eppure, attualmente, senza per questo augurarsi il ritorno al potere dell’ultradestra e dei fedelissimi del Washington Consensus, va allo stesso tempo evidenziato come l’immagine di Evo sia un po’ offuscata, o comunque, alcune sue decisioni abbiano generato perplessità e, per certi aspetti delusione. Su tutte, la scelta di costruire una superstrada attraverso il Parco Nazionale di San Isiboro Sécure, sospeso a seguito delle proteste e delle mobilitazioni delle comunità indigene che abitano in quella che si configura come una riserva naturale. A questo proposito, in un’intervista pubblicata su numerosi siti di movimento e controinformazione, l’organizzazione anarco-femminista Mujeres Creando ha evidenziato come Evo tuteli di più i cocaleros (favorevoli al progetto eppure facenti parte di quel movimento dei movimenti per decenni bistrattato e  maltrattato in Bolivia) e gli indigeni aymara, cioè quelli collocati a occidente, rispetto agli indios cosiddetti delle “terre basse”. E ancora, è emerso il tentativo del Mas di cooptare i movimenti sociali per anestetizzarne la forte spinta contestataria e le proposte più radicali. Negli anni scorsi, inoltre, va ricordata l’uscita dal Mas e il ritiro dell’appoggio all’esecutivo Morales da parte di lottatori sociali storici quali il leader della guerra dell’acqua di Cochabamba Oscar Oliveira, o ancora, la scissione dal Mas da cui è derivata l’esperienza della piccola formazione politica denominata Movimiento Sin Miedo. Infine, Mujeres Creando evidenzia i tratti conservatori del governo Morales quando si tratta dei diritti civili, dall’omosessualità all’aborto passando per i diritti delle donne.

Il 21 gennaio 2006, in occasione dell’insediamento di Morales alla presidenza del paese, caratterizzato dall’incoronazione indigena a Tiwanaku, centro archeologico simbolo degli indigeni boliviani, Evo disse: “Se non avanzo abbastanza spingetemi”. Bene: quella che fu considerata come la vittoria di tutti i boliviani e della democrazia deve tornare ad essere spontanea e genuina come lo era all’inizio.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Ma qualche volta ci sono argomenti più leggeri che… sorridere non fa male.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 21 gennaio fra l’altro avevo ipotizzato: «giornata delle linguacciute»; 1525: primi battesimi anabattisti; 1793: decapitato Luigi XVI; 1799: repubblica napoletana; 1921: nasce Camilla Cederna; 1921: esce «Il monello»; 1924: muore Lenin; 1950: muore Orwell; 1954: entra in servizio il Nautilus; 1968: bomba nucleare “scompare” in Groenlandia; 1987: nasce la Lila; 2009: patto «respingimenti» con Libia; 2010: i ricercatori Ispra scendono dai tetti dopo 59 giorni; 2011: Della Valle restaurerà il Colosseo. E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

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