Scor-data: 25 giugno 1998

Algeria: il poeta Matoub Lounes è assassinato

di Karim Metref (*)

In piena guerra civile, il 25 giugno 1998 in Algeria veniva ucciso il cantautore amazigh (berbero) Matoub Lounes. I media del regime militare e i loro satelliti accusano il solito gruppo di «integralisti armati». Ma i giovani della Cabilia (zona berberofona del Centro-nord dell’Algeria) escono per le strade e gridano: «pouvoir assassin», puntando il dito sugli squadroni della morte dei generali. Una faccenda che non è mai stata chiarita del tutto, anche se numerosi indizi puntano più verso la mano delle forze paramilitari e dei servizi segreti che verso quella della nebulosa indefinibile di bande armate allora chiamata Gia cioè Gruppi Islamisti Armati.

Chi era Matoub e chi aveva veramente interesse a ucciderlo?

Mi ricordo di quel giorno. Faceva caldo. Un caldo non abituale per la stagione. Nel nostro piccolo comune di Montagna, il Fronte delle Forze socialiste aveva da poco vinto le elezioni riportando la legittimità popolare nei comuni, dopo il buio periodo dei Delegati Esecutivi Comunali (Dec) direttamente nominati dal governo. Quel pomeriggio, il neo sindaco aveva convocato una riunione con i cittadini “volenterosi” per organizzare la Festa dei Gioielli. Il nostro comune, Ath-Yanni, è conosciuto in tutta l’Algeria per i suoi gioielli in argento smaltato, e ogni anno si festeggia la Festa con mostre, mercatini e spettacoli vari. La riunione era pesante. Non correva buon sangue fra le associazioni e il vice-sindaco, presente anche lui. Vecchie storie di rivalità e frustrazioni fra associazioni rivali. Insomma, cose di poca importanza, ma la riunione stava girando a vuoto. Ad un tratto, entra un giovane e dice: «Hanno appena detto alla radio che Matoub è stato assassinato!». La riunione era sciolta di fatto. Non sapevamo più cos’altro dire. I nostri piccoli progetti sembravano nulla nei confronti del macigno che ci cadeva addosso.

 

matoub

Matoub Lounes era un poeta e cantante amazigh (ovvero berbero). Nato nel villaggio di Taourirt Moussa, Comune di Beni Douala, nel 1956, in piena guerra di liberazione, visse sempre da ribelle.

«A cinque anni stavo per incendiare il nostro paesino. (…) Quel giorno, con alcuni amici della mia età giocavamo con innocenza, solo che i tempi non si prestavano all’innocenza. Eravamo in piena guerra di liberazione e non si parlava d’altro che di partigiani e di forze di occupazione» così esordisce nel suo libro autobiografico, «Rebelle» (Stock, Parigi, 1999).

Nel 1962 all’indipendenza dell’Algeria Matoub aveva 6 anni e cresce in una Cabilia dissanguata dalla guerra d’indipendenza e poi messa sotto torchio dal regime di Algeri. I leader storici della rivoluzione sono in carcere, in esilio o sono stati liquidati fisicamente. Il Paese è in mano a un esercito formato nei campi profughi in Marocco e in Tunisia, il cosiddetto “Esercito delle frontiere”, entrato dopo la fine della guerra con truppe fresche e ben armate per prendere il potere. L’ideologia ufficiale imposta dai nuovi padroni è quella del Nazionalismo Arabo. La Cabilia si ritrova fuori per due ragioni. Uno, perché è stata l’unica a cercare di resistere (anche militarmente) al colpo di Stato dei militari contro i partigiani. Due, perché è la principale regione amazigh del Nord Africa. Con la sua cultura e lingua, rimasta viva dopo millenni di aggressioni, smentiva di fatto la dottrina ufficiale che voleva il Magreb tutto arabo e soltanto arabo. Lounes il ribelle, rifiuta di accettare l’oppressione ma non sa cosa fare tranne combinare guai di tutti i tipi… fin quando incontra la canzone impegnata.

La Cabilia è una regione amazigh che ha perso la sua scrittura, il tifinagh, da secoli e la sua cultura è stata affidata alla sola memoria orale. Questo fa sì che i poeti e i conta-storie sono considerati di vitale importanza in quanto portatori di memoria collettiva. Questo ruolo si trasmette nell’era moderna ai cantautori che rendono più piacevole la poesia abbinandola alla musica.

 Lounes come milioni di giovani cabili pende dalle labbra del vecchio cantante esule Slimane Slimane-azemAzem che canta: «Terwi teberwi, yegumma ad yedhher yikhfis. Terwi tebberwi, wis ma ara te3qel bab-is» (E’ tutta aggrovigliata, non si trova il bandolo della matassa. È tutta confusa, non riconosce più i suoi). L’allusione è netta agli impostori che sono nei palazzi del potere mentre gli eroi sono in fuga. O anche al fatto che il Paese è confuso, cercandosi radici lontane e dimenticandosi delle radici che ha sotto i piedi.

Come tanti giovani della sua generazione, Lounes comincia a grattare la mandola cabila (strumento tipico inventato dal maestro Cheikh Mohammed Al Anka) di nascosto, nei boschi o in qualche baracca abbandonata. Non ancora in pubblico. Perché, mentre la poesia era praticamente adorata, la musica non aveva buona fama nella Cabilia dell’epoca. Era considerata una perdita di tempo e una fonte di vergogna per le famiglie. In effetti il movimento musicale cabilo si sviluppa non in terra patria ma nella diaspora, ad Algeri e soprattutto a Parigi, lontano dal giogo delle tradizioni. Decidere di fare il cantante era già di per sé una forma di ribellione.

Negli anni ’70 appaiono quattro giovani che da soli accaparreranno la scena musicale cabila per anni. Uno, Lounis Ait Menguellet canta una poesia molto raffinata su stili musicali più tradizionali, ispirati al Chaabi (popolare) di Algeri e ai ritmi tradizionali cabili. Un altro, Ferhat Mehenni (detto Ferhat Imazighen Imoula, del nome del gruppo con il quale esordisce) si ispira alla protest-song di sinistra in voga in tutto il mondo. Il terzo, Hamid Cheriet, è un giovane geologo, che non pensava di fare carriera nella musica, ma che dalla prima apparizione in pubblico, con le sue musiche soavi e la sua voce rassicurante, ha un successo fenomenale che lo porta a diventare una star internazionale in pochi anni, conosciuto con il nome d’arte di Idir.

Ait Menguellet, Idir, Ferhat

Ait Menguellet, Idir, Ferhat

Matoub è affascinato da tutti questi nomi e dedica loro, insieme all’idolo della sua infanzia, Slimane Azem, una delle sue primissime canzoni. Si presenta al programma radiofonico, «Cantanti di domani», diretto dal maestro Cherif Kheddam, che ha lanciato tutti i grandi successi dell’epoca. Il risultato è negativo. La prestazione è pessima. Matoub non è ancora pronto. Le sue musiche sono semplici, ingenue, la sua esecuzione piena di errori e la sua voce è una cattiva imitazione di una vecchia leggenda della canzone cabila: Cheikh El Hasnaoui. Siamo alla fine degli anni 70. Il giovane Lounes ha ancora tanto da imparare ma non si scoraggia e decide di continuare da solo il suo percorso.

Aprile 1980, scoppia la Primavera berbera. Tutta la Cabilia prende fuoco. Nasce il Movimento Culturale Berbero (Mcb). Le canzoni di Matoub sono ancora di bassa qualità musicale e poetica, ma le parole sono forti, le posizioni coraggiose, circolano come veri manifesti per la lotta.

Nel 1988, durante le sommosse del 5 ottobre, mentre distribuiva volantini, Matoub viene colpito da una raffica di kalashnikov sparata da un ufficiale di gendarmeria. Si salva per miracolo ma perde l’uso parziale di una gamba. Migliaia di persone lo vanno a trovare in ospedale. Il primo album post-trauma è una vera bomba. Con il tempo e le prove, le parole di Matoub si affinano e si affilano e la sua musica diventa variata e elaborata. L’artista cresce e il ribelle diventa sempre più carismatico. Quando arriva la guerra civile del 1992, Matoub in Cabilia è un semi-dio.

 

Lounes

La guerra prende tutti alla sprovvista. Chi se l’aspettava quella? Il percorso democratico sembrava così ben avviato. All’inizio Matoub Lounes, che si è sempre dichiarato non credente e militante laico, rimane da parte come la maggior parte dei militanti berberi. La guerra è fra due nemici che ai suoi occhi si equivalgono: il totalitarismo militare corrotto e corruttore da una parte e il fascismo oscurantista religioso dall’altra. Ma la sua neutralità non durerà a lungo.

Il 25 settembre 1994 il cantante è prelevato da un gruppo armato in una osteria dove era solito recarsi per bere un bicchiere con gli amici. Da-Achour, il proprietario dell’osteria, un ex combattente per l’indipendenza viene abbattuto, mentre Matoub viene caricato sotto la minaccia delle armi su una macchina e portato in un luogo sconosciuto.

L’Mcb era in una fase di lotta molto intensa e molto delicata. Avevamo decretato il boycott della scuola algerina a oltranza fino ad esaudimento delle nostre rivendicazioni. L’appello ha avuto un seguito popolare incredibile: 1 milione di studenti non si presentò a scuola all’inizio dell’anno scolastico 1994-’95. La Cabilia era tutta un subbuglio. I giovani escono a migliaia, a mani nude, per cercare Matoub ovunque. La situazione poteva esplodere da un momento all’altro. Ma il 10 ottobre, Matoub viene liberato in un piccolo caffè del nostro comune.

Il Matoub liberato quel giorno era un altro. Fu preso subito “in carico” dal campo degli éradicateurs, i sostenitori della “maniera forte”, che chiedevano all’esercito in sostanza di sradicare il male integralista massacrando gli islamisti e divenne uno dei loro più attivi portavoce.

Qualcuno sostiene che il rapimento, mai rivendicato da nessuno, fu tutta una messa in scena, da parte del regime e dei suoi relè in Cabilia, per manipolare il cantante e attraverso lui portare nel campo dei militari la maggioranza dei cabili. Riuscirono in parte nel primo intento, non facendo di Matoub un alleato dei militari, ma almeno portandolo a sostenere la “maniera forte”. Ma la maggioranza dei cabili scelse di non prendere parte al conflitto armato.

Dopo il suo rapimento, Matoub fu costretto a vivere in esilio a Parigi e, per brevi periodi, sotto scorta in Algeria. I media francesi sotto la spinta delle autorità parigine che stavano negoziando un cambiamento di posizione nei confronti dei militari algerini (in cambio di succosi affari, come sempre) lo usarono abbondantemente per giustificare la politica criminale dei generali di Algeri. Matoub era in tv un giorno sì e l’altro pure. Dibattiti, documentari, telegiornali… In Cabilia si scherzava che il tavolo della giornalista Anne Sinclair (ex Moglie di Dominique Strauss-Kahn e allora mezzo busto titolare del principale tg francese, quello delle 20 su Tf1) avesse sostituito per Matoub il tavolo del bar di Da-Achour, il vecchio barista.

Il mattino del 25 giugno 1998, rientra insieme alla moglie con un volo di Air Algérie da Parigi. Ad Algeri passa a recuperare la sua Mercedes e “vola” verso la sua amata Cabilia. Si ferma a pranzo all’albergo Le Concorde di Tizi Ouzou. Dopo pranzo la coppia riprende la strada verso la loro casa a Taourirt Moussa. Arrivato al luogo detto Taberkoukt (il prugno) l’auto è presa nell’agguato di un gruppo armato che ne aspettava il passaggio. Era chiaro che sapevano dell’arrivo e conoscevano il percorso. Prima di poter estrarre l’arma automatica che teneva sotto il sedile, Lounes fu crivellato di colpi. La moglie invece se la cava con ferite lievi. Un lavoro pulito e preciso.

La madre,Na-Aldjia lancia il trillo dei martiri davanti alla salma del figlio

La madre,Na-Aldjia lancia il trillo dei martiri davanti alla salma del figlio

La famiglia e gli amici «éradicateurs» gridano subito all’ennesimo crimine degli integralisti armati. Ma la popolazione non ingoia il rospo e esce per le strade a manifestare la propria rabbia al grido di «pouvoir assassin, pouvoir assassin». Anche la famiglia, poco tempo dopo, ritirò le accuse verso i gruppi islamisti e accusò apertamente i militari e alcuni loro noti sostenitori locali.

I moventi per uccidere Matoub erano molti, da varie parti, e comunque – anche se molto tempo è passato – poca chiarezza è stata fatta intorno alla sua morte. Quelli che l’hanno ucciso sono ancora vivi e potenti. Non si sa se si potrà mai stabilire la verità. Ma molta gente è convinta che Matoub è morto perché si stava rendendo conto di essere stato manipolato e che non era persona da continuare “a far finta”. La morte solo poteva tappargli la bocca.

L’anno prossimo saranno 20 anni dalla morte di Matoub Lounes. In Cabilia le sue canzoni risuonano ancora ovunque e a ogni ora del giorno e della notte. Non si contano più i monumenti a suo onore e la sua casa è diventata un museo della resistenza contro l’appiattimento culturale e l’oscurantismo religioso.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

 

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

2 commenti

  • ho appena letto il libro di racconti “Tagliato per l’esilio”, anche lì c’è Matoub, e non ne parli per interposta persona.
    interessante davvero

    • Grazie Frantz. Matoub era una semidivinità. Conosco gente che ha quasi perso la ragione quando hanno saputo della sua morte. Un ragazzo del mio villaggio appena sentita la notizia, è uscito di casa e non abbiamo più avuto notizie sue fino al giorno del funerale. Arrivati al villaggio di Matoub abbiamo scoperto che decine di giovani da varie parti della Cabilia, come lui, hanno spontaneamente lasciato le loro case e sono venute verso la casa di Lounes. Hanno dormito per 3 giorni davanti a casa sua, nutrendosi di quello che gli offriva la gente del paese.
      Era una semidivinità, non perchè era uno irragiungibile, ma perchè anche famoso e ricco rimase tutto sommato un figlio del popolo. Si ubriacava di cattiva birra algerina, nei posti più malfamati, faceva a botte, insultava e si faceva insultare da gente comune. Anzi spesso da poveracci. Questo lo rendeva l’idolo di tutta una gioventù senza speranza. Era il Dio dei falliti. Per questo quando un cabilo ti parla di Matoub, te ne parla come di un figlio del proprio paese, di uno con cui ha bevuto una birrozza tiepida da un venditore clandestino vicino a un torrente o con il quale ha avuto una discussione politica un po’ accesa, o si è accorto che il tifoso sfegatato con cui si è abbracciato dopo il goal della JSK era proprio lui, Matoub … Perché molti di noi in vari modi hanno avuto a che fare con lui. Per cui ne parliamo di prima persona. Perché con i suoi numerosissimi difetti e le altrettante qualità, lui era uno di noi.

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