Scor-data: 28 giugno 2009

Colpo di stato in Honduras

di David Lifodi (*)

“È un complotto delle oligarchie delle forze armate che mi hanno tradito per fermare un processo democratico partecipativo. Hanno sparato, rotto il portone di casa con le baionette, un sequestro brutale. Chiamo il popolo dell’Honduras alla resistenza non violenta al golpe, manipolato dall’elite economica che ha il controllo sul Parlamento”. Sono le prime, drammatiche, parole pronunciate dal presidente honduregno democraticamente eletto Manuel Zelaya, deposto con la forza dai militari il 28 giugno 2009, primo colpo di stato dell’era Obama in America Latina.

La data scelta per il golpe non è casuale: il 28 giugno gli honduregni avrebbero dovuto recarsi alle urne per partecipare al referendum indetto per accordare al presidente Zelaya il permesso di ricandidarsi per un secondo mandato alla guida del paese. Alla guida dell’Honduras dal 2006, esponente di spicco del Partito Liberale, Zelaya si era progressivamente distaccato dall’influenza neoliberista e da alcune misure prese pochi anni prima che sancivano, tra le altre cose, una certa limitazione alla libertà di stampa. Il presidente, pian piano, si era avvicinato ai paesi dell’Alternativa bolivariana para los pueblos de Nuestra América (Alba), si era impegnato nella tutela dei beni comuni e aveva cominciato a dare fastidio a quella decina di famiglie dell’oligarchia honduregna che, fino ad allora, determinavano la politica economica del paese: ad infastidirle, in particolare, era stata l’intenzione manifestata da Zelaya di voler riscrivere una Costituzione imposta dalla multinazionale United Fruit e mai più modificata. Il referendum venne agitato dalla destra come il mezzo che avrebbe utilizzato Zelaya per ricandidarsi all’infinito, come “già accade nel Venezuela chavista”, sosteneva, indignata, l’oligarchia locale. Il 28 giugno 2009, la data del referendum, i militari si sono presi le strade, hanno deportato Zelaya nella base militare Usa di Palmerola, in Costarica, mentre esercito e polizia spadroneggiavano per le strade della capitale Tegucigalpa e in tutto il paese, dove i movimenti sociali erano scesi immediatamente in piazza. Dai quei giorni di fine giugno, purtroppo, la situazione in Honduras non è cambiata: repressione, torture, arresti preventivi e sequestri degli oppositori politici sono la norma. Nonostante la forte opposizione al golpe dei paesi dell’Alba, a cui poco prima aveva aderito lo stesso Honduras ancora sotto la presidenza di Zelaya, i militari, con l’appoggio degli Stati Uniti (l’amministrazione Usa ha impiegato mesi prima di parlare di “colpo di stato” ed ha sempre tenuto un atteggiamento quantomeno ambiguo, a partire dall’ambasciatrice di allora, Lisa Kubiske) hanno puntato sulla normalizzazione, a cui i media italiani si sono subito accodati. Tra i servizi peggiori, per non dire farseschi, è passato alla storia quello del tg di Italia1, Studio Aperto, che sottolineava le radici bergamasche del presidente de facto Roberto Micheletti, installatosi alla presidenza a seguito della deposizione di Zelaya (prima costretto all’esilio nella Repubblica Dominicana e poi per mesi asserragliato all’interno dell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa), evidenziandone le sue simpatie calcistiche per l’Atalanta e augurandogli buon lavoro. Nel frattempo Micheletti, ribattezzato “Pinochetti” o “Gorilletti”, inviava l’esercito a massacrare gli honduregni: il presidente non ammetteva disordini per le strade del paese ed ogni giorni si contavano decine di caduti e feriti appartenenti al neonato Frente Nacional Contra el Golpe de Estado, che parlava, allora come oggi, di un’oligarchia fascista che condizionava la vita sociale e politica dell’Honduras: “sangre de mártires, semilla de libertad. Porque el color de la sangre jamás se olvida, los masacrados serán vengados”. Tra le file del Frente, ogni giorno si registravano nuovi morti: uno degli episodi più drammatici fu il ferimento di Carlos H Reyes, segretario generale del Sindicato de Trabajadores de la Industria de la Bebida y Similares (Stibys), tra i più attivi nella lotta contro il colpo di stato. Ciò che i militari e i grandi proprietari terrieri non sopportavano era una riforma della Costituzione che sancisse il diritto del popolo all’insurrezione in difesa dell’ordine costituzionale. La repressione del regime non si limitò solo alla caccia dei leader dell’opposizione: nei primi giorni che seguirono al colpo di stato,Telesur fu oscurata, i giornalisti non allineati arrestati e l’esercito occupò Hondutel, la compagnia statale della telefonia. I paesi dell’Alba, in segno di protesta ritirarono i loro ambasciatori dal paese (quelli di Cuba, Venezuela e Nicaragua furono accusati di solidarizzare con i movimenti e furono trattenuti per alcune ore dall’esercito), ma a tradire Zelaya fu anche la cupola del Partito Liberale, saldamente ancorata al conservatorismo e che aveva sopportato malvolentieri la sua svolta progressista, a partire dall’opposizione al trattato di libero commercio imposto dagli Stati Uniti a vantaggio del processo integrazionista latinoamericano capeggiato dal Brasile. Il 27 febbraio 2010, al termine di votazioni caratterizzate da una gigantesca frode elettorale, fu eletto Porfirio Lobo, golpista della prima ora. Pochi giorni prima, era stata assassinata la sindacalista Claudia Brizuela, figlia di un dirigente del Frente Nacional de Resistencia Popular (Fnrp), mentre le denunce del Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos (Cofadeh) crescevano di giorno in giorno. Anche le ultime elezioni, nel novembre 2013, sono state contraddistinte da innumerevoli denunce di brogli: el fraude sin limites ha permesso a Juan Orlando Hernández di raggiungere la presidenza del paese a spese di Xiomara Castro, moglie di Manuel Zelaya candidatasi per il Partido Libertad y Refundación (Libre) con l’apporto dei movimenti sociali.

Durante le drammatiche giornate del golpe, Zelaya chiese direttamente a Obama se dietro al colpo di stato ci fossero gli Stati Uniti: non solo non ebbe risposta, ma il segretario Hillary Clinton condannò la presa del potere da parte dei militari. Chissà come mai, da allora, gli Usa, così solerti nel farsi paladini della democrazia, non sono più intervenuti nel piccolo paese centroamericano?

 

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

 

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