Scor-data: 7 luglio 1905

 «That Agony is Your Triumph»: nasce l’Iww (Industrial Workers of World)

di Fabrizio Melodia (*)  

«Finché esisterà una classe operaia, io ne farò parte; finché esisterà un elemento criminale, io ne farò parte; e finché ci sarà qualcuno in prigione, io non sarò libero»: così Eugene Victor Debs, nel discorso di apertura ai lavori dell’ Industrial Workers of World.

Parole forti, accorate, illuminate e visionarie quelle pronunciate da uno dei sindacalisti di punta del movimento proletario statunitense, proveniente dall’esperienza del Partito Socialista Americano, un intervento che vagamente era figlio del discorso della montagna di un altrettanto comunista ben poco capito, quel Gesù Cristo tanto abusato e violentato dai suoi stessi adoratori, come amava definirlo proprio Debs. Un falegname che conosceva le fatiche del lavoro, come le persone che si erano riunite durante quei dieci giorni di fuoco, per fondare l’Iww.

Furono ricordati i contributi dei lavoratori ebrei immigrati negli Usa, anche loro sfruttati duramente, sorte comune a tutti i lavoratori, specialmente se immigrati. Essi venivano considerati strettamente alla stregua di pura forza lavoro, da sfruttare oltre ogni limite, senza alcuna forma di tutela o di riconoscimento salariale. Vere bestie da macello, una situazione che il presidente Woodrow Wilson tollerava senza mai intervenire.

Gli episodi di razzismo si sprecavano, non solo nei riguardi della popolazione di colore, ma anche contro italiani (definiti spesso con il termine spregiativo “Wops”, traducibile come il nostro “terroni”), cinesi, irlandesi, ebrei… Il malcontento serpeggiava e la classe operaia immigrata si riconosceva in un orizzonte comune, dove si poteva intravedere un’alternativa allo sfruttamento.

William “Big Bill” Haywood – non un grande oratore come Debs ma un leader coraggioso – rimarcò le parole di quest’ultimo, ponendo l’accento sulla prima rivoluzione russa (quella del 1905 appunto), affermando che auspicava di veder «crescere la protesta in questo Paese fino ad arrivare a comprendere la grande maggioranza dei lavoratori: anche qui i lavoratori insorgeranno in rivolta contro il sistema capitalista come la classe lavoratrice sta facendo in Russia oggi».

Al congresso fondativo di Chicago parteciparono 186 delegati in rappresentanza di alcune decine di migliaia di iscritti. Due sole erano le organizzazioni di massa presenti ufficialmente: la Western Federation of Miners (WFM), forte di 27.000 iscritti e l’American Labor Union (ALU) che contava 16.500 aderenti. La dirigenza della federazione dei minatori era composta in larga parte da socialisti che rifiutavano l’approccio riformista dell’ American Federation of Labor (AFL) di Samuel Gompers, che all’epoca era la più grande federazione sindacale statunitense.

Oltre ai militanti del Socialist Party of America (SPA) – di cui appunto Debs era la punta di diamante – erano presenti anche quelli dell’altra formazione politica d’ispirazione socialista: il Socialist Labor Party (SLP), guidato da Daniel De Leon. Composti entrambi da poche migliaia di militanti, non riuscirono mai a giocare un ruolo da protagonisti nello scenario politico statunitense.

Il congresso fondativo degli IWW, oltre a ribadire la validità dell’«Industrial Union manifesto» votato nella conferenza preliminare di gennaio, adottò un preambolo nel quale si ribadiva il carattere rivoluzionario dell’organizzazione: «La classe operaia e la classe dei datori di lavoro non hanno niente in comune. Non vi può essere pace fino a quando fame e bisogno sono presenti fra milioni di operai e i pochi che costituiscono la classe dei datori di lavoro godono di tutti i beni della vita. Fra queste due classi la lotta deve necessariamente continuare, finché tutti gli operai non si uniscano in campo politico come in campo industriale e prendano e mantengano possesso di quello che producono con il loro lavoro, attraverso un’organizzazione economica della classe operaia senza affiliazione ad alcun partito politico».

Altre personalità di punta, oltre a Eugene Victor Debs e a “Big Bill” Haywood, furono tre donne di energia incontenibile.

La prima fu Mother Jones, il cui nome reale era Mary Harris. Irlandese, fu una inarrestabile agitatrice sindacale, iniziando la sua attività nel movimento laburista

Knights of Labor. I suoi oppositori la indicavano come «la donna più pericolosa d’America». I suoi sostenitori le avevano dato l’appellativo di «angelo dei minatori». Infatti era estremamente attiva per la causa dei minatori, organizzando tutti gli scioperi, compreso quello dei ferrovieri nel 1877 a Pittsburgh.

C’era anche Lucy Ella Gonzales Parson, afroamericana, già militante nell’organizzazione per i diritti razziali e le pari opportunità Working People’s Association (IWPA), poi distintasi come attivista anarchica durante il caso Haymarket a Chicago nel 1886, e promotrice dell’IWW; morì nell’incendio di Chicago del 1946.

Ultima – non per importanza – l’attivissima Elizabeth Gurley Flynn, «la Giovanna d’Arco dell’est». I suoi accorati interventi e il suo cervello fino avrebbero costituito una vera manna per il nascente sindacato. Durante il suo attivismo sindacale sarebbe stata arrestata dieci volte eppure non fu mai condannata. Sarebbe passata definitivamente alla storia per la fervente campagna a favore di Sacco e Vanzetti, e per aver proposto a spada tratta il suffragio femminile. Nel 1948 sarebbe stata arrestata per violazione della legge sull’immigrazione e dopo un processo durato nove mesi fu condannata a due anni di carcere.

Il nuovo sindacato Industrial Workers of World avrebbe presto adottato lo slogan «Gli uomini sono tutti fratelli», di chiara ispirazione evangelica grazie all’apporto di Debs, per poi passare al più forte, radicale e determinato «Workers of all lands, unite!» (Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!).

Avrebbero organizzato scioperi di notevole entità: come, nell’ordine cronologico, quello dei minatori di McKees Rocks (Pennsylvania, 1909), dei tessili di Lawrence, con una fortissima presenza d’immigrati italiani (Massachusetts, 1912), dei setaioli di Paterson (New Jersey, 1913) e dei portuali di New York (1920), cui fece immediatamente eco la lotta degli operai dell’industria di Torino di marzo-aprile («sciopero delle lancette») per il riconoscimento dei consigli di fabbrica.

Un vero e proprio movimento sindacale nato dal basso.

Forse mancarono di lungimiranza, forse non compresero la reale portata di quello che non doveva solo essere un movimento ristretto d’attacco, ma una programmazione e un’azione politica del tipo di quella che si sarebbe poi concretizzata con la Rivoluzione Sovietica del 1917. Scrisse a tale proposito John Cannon, ex attivista dell’IWW, tra i fondatori del Partito Comunista Americano (di stretta “osservanza” sovietica) : «La loro tragica incapacità a guardare, ascoltare, imparare dai due grandi eventi li condannò alla sconfitta e alla decadenza». Se i leninisti non apprezzarono gli Iww, Rosa Luxemburg fu di tutt’altro parere; ma questo è un lungo e complesso discorso che sarà meglio rimandare ad altra sede.

Bibliografia minima:

  • William D. Haywood, “Big Bill. L’autobiografia di un rivoluzionario americano degli IWW”, Manifestolibri, Roma 2004.
  • Filippo Manganaro, “Senza patto né legge. Antagonismo operaio negli Stati Uniti”, Odradek, Roma 2004.
  • Patrick Renshaw, “Il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti”, Laterza, Bari 1970.
  • Valerio Evangelisti,  “One Big Union”, Mondadori, 2011.
  • Louis Adamic, “DYNAMITE”, Collettivo editoriale Librirossi, Milano 1977

  • Kurt Vonnegut, “Ricordando l’apocalisse”, Feltrinelli, 2008.

(*) Aggiungo che il romanzo «One Big Union» – molto bello e storicamente documentatissimo – è recensito qui in blog; che «L’autobiografia di Mamma Jones» è nuovamente disponibile in italiano (vedi qui: Mamma Jones); che il vecchio ma sempre interessante «Dynamite» circola di nuovo sia in edizione cartacea che on line e che fra i saggi italiani il più completo resta «Wobbly! L’Industrial Workers of the World e il suo tempo», curato da Bruno Cartosio per la Shake con scritti di Alan Dawley, Ferdinando Fasce, Linda Nochlin, Dean Nolan e Fred Thompson, Alessandro Portelli e Cartosio stesso; in appendice il «Manifesto dell’IWW» e le canzoni di Joe Hill, con decine di immagini dell’epoca.    

Se non avete riconosciuto i versi del titolo vi ricordo che «That Agony is your Triumph» (Questa agonia è il vostro trionfo) è il verso finale della canzone «Here’s to you» composta da Ennio Morricone e cantata da Joan Baez, dedicata a Sacco e Vanzetti; la si può fra l’altro ascoltare nel film (del 1971) di Giuliano Montaldo. La strofa è: «Here’s to you Nicola and Bart / rest forever in our hearts / the last and final moments is yours /  that agony is your triumph». Tradotta per chi (come me) non sa l’inglese suona così: «Omaggio a voi, Nicola e Bart / riposate in pace nei nostri cuori / l’attimo finale è vostro / questa agonia è il vostro trionfo».  

Ricordo infine – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

Redazione
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