Scor-date: 29 agosto -1 settembre

29 agosto (2014): punteggiatura a spasso

Abitualmente le «scor-date» riportano alla memoria eventi del passato ma oggi, per una fortunata coincidenza sono in grado di raccontarvi cosa accadrà il 28-29 agosto 2014. Userò il presente storico perché il tempo è una convenzione (non di Ginevra, forse di Zurigo).

Tutto inizia nel reparto Letteratura della Zentralbibliotekz zurighese il 28 agosto ma gli effetti saranno pesanti soprattutto dall’indomani.

Un punto esce da «L’urlo e il furore», lo segue una virgola dello stesso testo. Poi molti punti svicolano dalla Enciclopedia Larousse. A passeggio se ne va un punto di «Morte a Venezia», poi uno della «Odissea».

Non vi dico cosa accade quando i punti esclamativi e interrogativi si mettono in fila.

Se volete sapere cosa potrebbe succedere dovete entrare in possesso della (o essere posseduti dalla, dipende) antologia di racconti «Qui e là» pubblicata da Christiana De Caldas Brito nel 2004 presso Cosmo Iannone editore. Preciso che l’autrice è una brasiliana che vive a Roma dove lavora come psicologa, che i suoi libri sono davvero belli e che il suo primo romanzo («500 temporali») ora viene tradotto in portoghese; non da lei perché… ormai come si parla in Brasile non se lo ricorda più.

Però la carioca-romana Christiana non si è accorta che, mentre da quel suo racconto («Un’insolita passeggiata») uscivano fuori .,…; saltava dentro un refuso: lei aveva scritto 2014 ma nel libro si legge 2004. Le era già successo: a Roma ha preso casa, per motivi affettivi, in via Brasile ma è caduta la r così adesso si ritrova in via Basile.

Grazie alla macchina del tempo che ho avuto in prestito (solo per oggi) da H. G. Wells sono in grado di assicurarvi che se il 28 e 29 agosto 2014 passeggerete nel centro di Zurigo ne vedrete delle belle: !”?,;.:

Anche la punteggiatura, come il tempo, è una convenzione: non di Ginevra, forse di Zurigo.

Indispensabile?

Si può discutere. A esempio Nanni Balestrini scrisse un libro stra-bello, «Gli invisibili» senza un punto o una virgola. D’altro canto il perfido Jack Lemmon – in «Prima pagina» di Billy Wilder – al giovane apprendista giornalista che gli chiede consigli risponde: «ricordati, mai iniziare un articolo con una virgola». Io però anni fa l’ho fatto e nessuno si scandalizzò.

D’altro canto bis, tenete presente quanto scrive Kamila Shamsie nel romanzo «Sale e zafferano» (pubblicato da Ponte alle grazie e poi da Tea).

«Ma che dire dei silenzi che non si possono trasformare in storie? Che dire delle virgole dimenticate che ci plasmano quanto i punti esclamativi?

Una volta Masood mi disse: “Perché quando la gente si scambia le ricette non parla mai del sale?”.

Allora avevo riso e Masood, stranamente offeso dal fatto che non lo prendessi sul serio, quella sera servì alla famiglia pietanze senza sale.

Cos’è?” aveva chiesto Aba, fissando con orrore il suo piatto dopo appena un boccone: “cos’è?”.

Come l’assenza di un solo ingrediente può alterare il cibo che hai davanti, così l’assenza di un dettaglio può alterare una storia».

Anche una virgola nel posto sbagliato rovina una frase. Un punto eliminato dove invece era essenziale rende incomprensibile un personaggio.

Provate a leggere «L’urlo e il furore», «Morte a Venezia» e «L’Odissea» senza punteggiatura. O., con! la… punteggia?tura fuori; po:sto,

30 agosto: cacciato di chiesa il cugino del “buon Federigo”

E’ il 30 agosto 1569 quando Carlo Borromeo, oggi santo, viene messo in fuga da una piccola folla in santa Maria della scala, nella “sua” Milano.

Una storia minima ma che è assai istruttiva per come viene raccontata o estrapolata.

Forse prima occorre dire due parole su «san Carlo». Non così noto a meno che voi non abitiate dalle parti di Arona, sul lago Maggiore, e dunque ogni giorno dobbiate fare i conti con la sua statua di 23 metri e 40 centimetri su una piattaforma di 11 metri e 70.

Se andate a vedere una (neutrale e prudentissima) Wikipedia, apprenderete che quel Carlo – non ancora san – a Milano si scontra con i privilegi dei governatori spagnoli e dal Senato milanese, «minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala, minacciato dalle monache di Sant’Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibuggiata alla schiena da un sicario dell’ordine degli umiliati. Furono tuttavia la mitezza, l’umiltà e la carità singolare con le quali esercitò il suo ministero episcopale che lo portarono, vox populi, alla gloria degli altari».

Sempre su Wikipedia si legge che il Carlo destinato a santità, per ordine di papa Pio V, «procedette alla riforma del potente ordine religioso degli Umiliati le cui idee si erano distanziate dalla Chiesa cattolica approssimandosi verso posizioni protestanti e calviniste. Quattro membri di quest’ordine attentarono alla sua vita. Uno di loro, Gerolamo Donati, detto il Farina gli sparò un colpo di archibugio nella schiena mentre Carlo Borromeo era inginocchiato a pregare nella cappella dell’arcivescovado. Il colpo lo ferì solo leggermente e in ciò si vide un evento miracoloso. Nella causa di canonizzazione del Borromeo si cita: “e circa mezz’ora di notte (verso le 22) va il manigoldo nell’Arcivescovado, e ritrovando il Cardinale inginocchiato nell’oratorio con la sua famiglia in oratione, secondo il suo solito, gli sparò nella schiena un archibuggio carico di palla e di quadretti, i quali perdendo la forza nel toccar le vesti non fecero a lui offesa veruna, eccetto che la palla, che colpì nel mezzo della schiena: vi lasciò un segno con alquanto tumore (gonfiore)”. Carlo non avrebbe voluto che i suoi attentatori fossero perseguiti, ma le autorità civili e un inquisitore inviato a Milano da papa Pio V procedettero secondo le leggi civili ed ecclesiastiche. Quattro responsabili dell’attentato alla sua vita furono arrestati e giustiziati secondo le leggi in vigore». Eccetera.

Più avanti, di sfuggita, su Wikipedia si legge: «Nella sua visita pastorale in Val Mesolcina(Svizzera) fece arrestare per stregoneria un centinaio di persone, dopo le torture quasi tutti abbandonarono la fede protestante salvandosi così la vita, 10 donne ed il prevosto furono invece condannati al rogo nel quale furono gettati a testa in giù».

Torture e roghi dunque.

C’è poi (su “Wiki”) un paragrafo intitolato «Donne» dove si legge: «Nell’ esercizio della sua attività pastorale Carlo incontrava molte donne, religiose o laiche, sue parenti, conoscenti o sconosciute, nobili o popolane, ricche o povere, nubili o sposate. Con tutte queste donne Carlo Borromeo trattava tuttavia con molta prudenza per due ordini di motivi: anzitutto per non dare occasione ai maldicenti di fare insinuazioni sul suo conto e poi perché intendeva mantenere il voto di castità, sfuggendo anzitutto le occasioni che avrebbero potuto indurlo in tentazione».

Descrizione un po’ reticente visto che ci sono montagne di suoi scritti dove sostiene che le donne devono sempre portare un velo, che esse sono demoniache («istrumento di perdizione») e meno si vedono in giro meglio è. Se nei suoi scritti si parla di tante donne «maliarde» non vi ingannate: è il termine col quale all’epoca si definivano le streghe e le indemoniate. E all’epoca quelle donne erano carne da bruciare.

Prendiamo ora la questioncella del Carlo Borromeo «aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala» il 30 agosto 1569. C’è chi la racconta in tutt’altro modo; per esempio nel libro di Oreste Clizio «Gerolamo Donato detto il Farina, l’uomo che sparò a san Carlo», uscito da La Baronata di Lugano (terza edizione 1998).

La questione su cui tutti gli studiosi concordano è che alcuni ordini religiosi (fra cui i canonici di santa Maria della scala) non volevamo pagare tributi arcivescovili, per via di varie esenzioni. Ma taluni erano anche dissidenti su altre faccende. Scrive infatti Clizio: «i muri della loro basilica avevano avuto il singolare onore di risuonare delle alate parole di Aonio Paleario (…) perseguitato per aver negato (dato che i testi sacri non ne fanno cenno) il purgatorio». Che il purgatorio fosse una barzelletta – ma comoda per chiedere soldi – lo ha ben spiegato Jacques Le Goff e oggi lo dice anche il papa ma all’epoca insinuare che non ci si dovesse “purgare” comportava l’accusa di eresia e la persecuzione.

Dunque questi canonici della Scala hanno bisogno di una lezione. Così la racconta Clizio.

«Il 30 agosto 1569, alla testa di chierici, sbirri e qualche migliaio di esagitati brianzoli, si precipitò verso S. Maria della scala. La minacciosa spedizione, dai propositi punitivi apertamente sbandierati, era anche una ostentazione di disprezzo alla suprema autorità dello Staro, di cui il Ducato di Milano faceva parte e di cui lo stesso Borromeo era suddito (…) Non era stata una semplice marcia ma un vero e proprio assalto impetuoso tra la polvere, il clangore delle armi, le imprecazioni (…) Una volta aggirato il Duomo, egli (Borromeo) aveva divorato in pochi minuti il quarto di miglio che lo separava da s. Maria della Scala. Già gli sorrideva l’immagine dei canonici tremanti ai suoi piedi e già stava per varcare la soglia, quand’essi arditamente gli si erano fatti incontro con le spade sguainate: a tal vista il rigido Carlo se l’era data a gambe».

Che il santo sorridesse o no è un’interpretazione. Restano i fatti: la ribellione che lo cacciò quel 30 agosto, la fucilata che si prese poi, i roghi e le torture che ordinò…

L’opera e la santità di Carlo Borromeo sono oggi – da vescovi e papi di oggi intendo – vantati come il pilastro (la diga, la «tradizione» o la «memoria del futuro») contro le eresie. Anche il cugino Federico è un valido punto di riferimento per i cattolici d’oggi. Forse avete pensato “ma chi, quel Federigo Borromeo dei Promessi sposi?”. Un brav’uomo che aiutò gli appestati, no? Punti di vista: le processioni e le messe (per invocare l’aiuto di dio contro la peste) organizzate da lui e da suo cugino erano un’eccellente veicolo per il contagio.

31 agosto: lady Diana, io e il Burundi

La notte del 31 agosto 1997 muoiono in un incidente stradale Diana Spencer, Dodi al-Fayed e l’autista della loro macchina, Henri Paul. I primi due sono personaggi stra-noti e ancor più lo saranno dopo la morte, dopo le polemiche (erano in fuga dai giornalisti) e dopo le immancabili ipotesi – vaghe quanto interminabili – di complotti.

Io invece non sono stra-noto e dunque quasi nessuno sapeva che quella notte ero in Burundi. A proposito ma che diavolo è il Burundi? E’ un piccolo Paese della grande Africa. In questi brutti tempi, molte/ in Italia si vantano di non sapere neanche da dove vengono gli immigrati, figuratevi se hanno un’idea del Burundi.

A ogni modo, in quel periodo il Burundi sembrava sul punto di uscire da una guerra civile (“etnica” direbbero quelli che usano solo termini alla moda) e io ero lì come giornalista per raccontare quel che riuscivo a capire in 10 giorni.

Così la morte di lady Diana l’ho saputa dal tg burundese, in edizione speciale. Unica notizia.

Centinaia di migliaia di morti burundesi non sono mai comparsi nei telegiornali dei Paesi ricchi come poco prima quelli rwandesi e poco dopo i milioni di morti in Congo. Lady Diana invece invase il mondo e anche i tg dell’Africa che del resto sono ben poco africani.

Non mi sono sorpreso. So bene come funziona la disinformazione qua e là, purtroppo so quanto poco vale la vita dei poveracci.

Allora perché ne riparlo oggi? Per fare il moralista? O per raccontare ancora di alcune/i cooperanti italiani (poche/i ma con gran coraggio) che erano rimasti lì? Per cercare di spiegare le radici di quella guerra e delle successive? Per dirvi che mi fanno vomitare quelli che piangono sulla Libia oggi e ieri no, come chi si indignò sulle vittime di Saddam solo dopo il 1991 dimenticando sempre di parlare dei buoni affari (e delle ottime armi) che l’Italia gli passava?

Sinceramente non lo so. Ma penso che il 31 agosto – cioè il martirio mondializzato di lady Diana e gli invisibili morti del Burundi – accada, in forme diverse, ogni giorno. Temo sia la base della nostra “democrazia”. E mi chiedo: posso fare qualcosa?

PS. Questo, direbbero alle scuole di giornalismo, è un pezzo sbagliato. Per due ragioni: è scritto in prima persona e poi… mai terminare un articolo con una domanda (“posso fare qualcosa”) tanto generica. Chissà. Io mi scuso davvero: è che sguazzando nella merda si schizza e ci si schizza. E adesso vi chiedo di nuovo: posso fare qualcosa?

1 settembre 1921: gli Usa si auto-bombardano

Quiz: quante volte sono stati attaccati gli Stati Uniti sul loro territorio? Contate e rispondete entro i canonici 30 secondi.

1, 2, 3………

…29 e 30.

Risposte?

Certo l’11 settembre 2001. Pearl Harbour? Macché, non era territorio statunitense. Gli inglesi? Beh, ma gli Usa erano ancora colonie. I messicani forse? Se non sto prendendo uno svarione è successo sempre il contrario: cioè i gringos hanno invaso e bombardato il Paese del quale infatti si dice «troppo lontano da dio e troppo vicino agli Usa»

Però nel 1921 la nascente aeronautica militare statunitense era pronta a bombardare Blair Mountain che separa le contee di Mingo e di Logan (insomma monti Appalacchi, le zone più povere del Paese). Non fecero in tempo gli aerei stelle-strisce perché le bombe erano già state sganciate da aerei privati. Sono quasi certo che sia stato l’unico attacco subìto in casa dagli Usa prima di Bin Laden.

Chi legge forse si sta chiedendo: ma nel 1921 c’erano ancora nativi da “domare”? Siete fuori strada: la «soluzione finale» del “problema indiano” risale al trentennio 1860-1890. Nel 1921 sotto i bombardamenti non c’erano pellerossa ma pellenera (e forse qualche cuorerosso) per via del carbone. Erano i minatori ribelli, chiedevano di avere un sindacato per non morire come mosche. In diecimila (fra loro anche due migranti italiani, Giacomo Diana e Nicola Aiello) furono costretti ad armarsi per resistere agli eserciti privati delle compagnie minerarie. Fu una lunga lotta. Finì, il 1 settembre 1921, nel sangue. I morti sparirono. A essere incriminati non furono i padroni e le loro milizie ma “il leader” dei minatori, Frank Keeney, con 550 suoi compagni: accuse di omicidio e di «tradimento». Allora i giornali la chiamarono «la guerra del West Virginia» ma oggi nei libri di storia – persino negli Usa – non c’è un rigo.

Quasi tutte le notizie che finora ho riassunto le devo ad articoli e libri di Sandro Portelli (sempre sia lodato per il suo sapere ma ancor più per la fatica che gli costa rendere semplice il complesso). Proprio quella Blair Mountain dove ci fu l’assalto aereo del 1921 ora verrà fatta saltare in aria perché una compagnia mineraria ha avuto il permesso di cercare altro carbone: su «il manifesto» del 18 giugno (lo recuperate anche in rete) Portelli racconta la nuova resistenza che lì si organizza mentre riaffiora la memoria dei minatori bombardati nel 1921.

Non c’è stato (e non c’è) solo questo nei profondi Appalacchi. É appena uscito, da Donzelli, il nuovo libro di Portelli: «America profonda» (540 pagine per 35 euri) con il sottotitolo «Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky». Lavoro e scioperi, tragedie e vittorie, canzoni e tumori, rivolte e repressioni: vite così dure che sembrano gli episodi di una lunga guerra civile (più corretto sarebbe dire guerra sociale). Quasi nulla ne sappiamo in Italia perché ben poco conosciamo gli Stati Uniti al di là dell’agiografia e del gossip. Infatti nessuno in Italia si accorse, alla fine degli anni ’70, di uno straordinario documentario (un successo clamoroso in mezzo mondo): era di Barbara Kopple, vinse un Oscar e si intitolava guarda un po’ «Harlan County, Usa». Parlava di minatori in lotta.

UNA PICCOLA NOTA

Care e cari, da quando è nato Il Dirigibile (www.ildirigibile.eu) mi impegno – non da solo però – in una rubrica quotidiana (salvo sabato e domenica) di scor-date. Ecco alcune delle mie … se ve le siete perse lì. I più pignoli noteranno che il mio pezzullo su Carlo Borromeo somiglia molto a uno scritto da Mark Adin proprio su codesto blog e magari trarranno l’errata convinzione che io sono lui o che lui è me: nulla di più falso, tra l’altro Mark Adin è più alto e ha i baffi pur essendo assai meno bello di me… è solo che a volte io e lui facciamo le stesse letture e/o abbiamo pensieri simili. (db)

Redazione
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