Scurati oppure oscurati?

di Fabio Troncarelli

A proposito di «M. Il figlio del secolo», un libro che… Strega

Sono proprio tempi oscuri. Scurati – lo dicono tutti i giornali – sta per vincere il Premio Strega. Voi direte: ma chi è Scurati? Non avete tutti i torti perchè, nonostante le orge mediatiche, il popolo bue e ingrato non sempre si accorge che il Salvatore è sceso sulla terra per riportarlo sulla retta via. Però se appartenete agli happy few che frequentano il gruppo Bilderberg, ai «Mandarini del Sapere» (Noam Chomski) che ci affliggono e ci narcotizzano per il nostro bene e si inventano che sono Influencer solo perchè hanno l’influenza, una febbre da cavallo, un delirio che non dà tregua, beh ecco per loro Scurati è Shakespeare redivivo o quasi. Ne dubitate? Fatevi un giro negli archivi dei giornali online e leggete le recensioni deliranti (appunto!) di tanti addetti “ai livori” che sono andati proprio in delirio per l’ultima “fatica” di Scurati, uscita un anno fa e ora quasi “Strega” (una stregoneria!).

E’ un’opera originalisima, mai immaginata prima, che vi lascerà a bocca aperta per la sorpresa. Pensate: un libro su Mussolini! E mica un libro qualunque. Una docu-fiction come la definisce l’autore, che mescola abilmente documenti veri e invenzioni della fantasia per far “capire meglio” al sullodato popolo bue cose di cui non aveva la minima idea. Ma lo sapevate che Mussolini era aggressivo, rissoso e brutale? Io non l’avrei immaginato. Invece eccoti questo Mussolini inedito: non era l’agnellino che credevate. Era un uomo deciso e spregiudicato, assetato di potere, che sapeva menare fendenti (e manganellate) al momento giusto.

Diavolo di uno Scurati! Non ci sarebbe mai arrivato nessuno senza la sua docu-fiction, senza fare come Alberto Angela che per far capire che Cesare conquistava la Gallia schiaffa migliaia di comparse a Passo Corese, gente con la corazza che le dà di santa ragione a babari barbuti!

Certo, in questo modo Mussolini è soprattutto un avventuriero e il fascismo è una sua trascurabile appendice. Ma che importa? L’importante è che il libro ci dià un ritratto fresco e originale di un uomo vero, in carne ed ossa. Per questo ci vuole la docu-fiction. Mica quelle fesserie che ha fatto Bellocchio con «Vincere» in cui parla del figlio segreto di Mussolini che nel libro di Scurati non viene manco menzionato. Altro che la fiction! Ci vuole la docu-fiction per capovolgere la storia. Come fare altrimenti per conoscere tanti personaggi misteriosi? Come ha scritto Gloria Ghioni su «Il libraio» il 12/09/2018: «Oltre a Mussolini, nel romanzo facciamo conoscenza di un intero universo, soprattutto maschile, presentato attraverso figure dell’epoca (tra gli altri, D’Annunzio, Marinetti, Matteotti, Balbo…)». Roba da capogiro! Per questo è giusto chiedere all’autore: «Come ha lavorato per ricostruire anche le tante personalità di questi personaggi, che non sono mai solo mere comparse, ma hanno una loro identità narrativa?». Ed è giusto che egli risponda: «Ho lavorato. Moltissimo. Un lunghissimo e faticosissimo lavoro preparatorio attraverso una bibliografia variegata. La storiografia antifascista, innanzitutto, ma anche quella fascista. La memorialistica degli antifascisti ma anche quella dei fascisti, simpatizzanti o fiancheggiatori, troppo a lungo rimossa col risultato che l’incredibile vicenda del fascismo è stata anch’essa rimossa dalla coscienza nazionale». Mica cazzi.

E’ ora di rivelare al pubblico col fiato sospeso per questa girandola di scoop il titolo di questa docu-fiction: si tratta di «M. Il figlio del secolo» (Bompiani 2018): un volumone di ben 839 pagine. Ed è ora di sciogliere l’enimma (proprio così: enimma, come si diceva nell’Ottocento) svelando all’attonito lettore perché qualcuno si prenda la rogna di affrontare un argomento tanto sconosciuto. E’ semplice: un’incorrotta passione civile. L’autore lo ha detto tanto bene: «L’antifascismo non regge più ai tempi nuovi […] va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo» (citato da G. Ghioni, in «Il libraio», 12/09/2018). Parbleu! A tale scopo ci vuole l’estro di un Leonardo da Vinci e l’energia di un Titano: bisogna aggiogare i fatti nudi e crudi al carro della fantasia, per colmare con i voli pindarici quello che gli aridi documenti tacciono prudentemente. Ecco allora un romanzo che però è anche un documentario. Double face, come in una fantasmagoria barocca: «Fatti e personaggi di questo romanzo documentario non sono frutto della fantasia dell’autore. Al contrario, ogni singolo accadimento, personaggio, dialogo o discorso qui narrato  è storicamente documentato e/o autorevolmente testimoniato da più di una fonte. Detto ciò, resta pur vero che la storia è un’invenzione cui la realtà arreca i propri materiali. Non arbitraria però». (così nella Preemessa a «M. il figlio del secolo»).

«La storia è un’nvenzione»… Me la voglio segnare! Però, però. Come ha scritto Ernesto Galli Della Loggia in questa docu-fiction ci sono parecchi “trivia” per usare il gergo adatto alla fiction e al “docu”.

Lasciamo la parola a Della Loggia: «Non si tratta di due errori qualunque, infatti. Sommati significano in pratica non essere in grado di orientarsi nella storia culturale italiana della prima metà del Novecento. Non possedere alcuni punti di riferimento essenziali. Se [un ipotetico] studente avesse … sbagliato la data di Caporetto, avesse detto che Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, “porta sulla coscienza sei milioni di morti” (un antesignano pugliese di Hitler insomma), avesse poi definito Antonio Gramsci “un politologo”, avesse scritto che alla Scala nel 1846 lavoravano degli “elettricisti” e che nel 1922 al Viminale ticchettavano “le telescriventi”, e poi ancora, come se non bastasse, a commento della marcia su Roma avesse riportato alcune righe attribuendole a “Monsignor Borgongini Duca, ambasciatore inglese presso la Santa Sede” (!!) , e a commento della seduta della Camera sulla fiducia al governo Mussolini avesse citato una lettera di Francesco De Sanctis datandola 17 novembre 1922 (quando l’autore avrebbe avuto 105 anni!) beh: spero proprio che a questo punto il suddetto studente sarebbe sicuro di prendersi una solenne bocciatura. O forse no, chissà. Infatti tutti gli svarioni citati (ce ne sarebbero altri minori, ma non mi sembra il caso di pignoleggiare) fanno bella mostra di sé nell’acclamatissimo libro di Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiani editore, da settimane in testa alle classifiche delle vendite (rispettivamente alle pagine: 199, 537 e 784, 12, 837, 835, 498 e 571, 601, 610)». Così Galli Della Loggia – titolando «M di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia» in «Il Corriere delle Sera», 13/10/2018)

Sarà vero. Ma non è il caso di essere tanto pignoli. Mica l’hanno strombazzato solo i fogli di destra. No, no, no. L’ha detto pure (udite!udite!) Rossana Rossanda, folgorata sulla via di Damasco dal mirabolante Scurati, che oscura la vista peggio dello sguardo della Gorgone a chiunque abbia la sventura di averlo tra i piedi: «Differentemente da Galli Della Loggia, ho trovato interessante il libro di Antonio Scurati (M. Il figlio del secolo, Bompiani 2018) malgrado gli errori nei quali egli è incorso… Il libro mi interessa soprattutto per il clima che descrive. Mi sembra un’intuizione storicamente rilevante e di natura politica più che favolistica il ritratto che Scurati fa del clima e della “cultura” nel quale il fascismo si è sviluppato, attraverso il montaggio del volume fra documenti scritti ed eventi concreti» (così Rossanda – «Il figlio del secolo e la degenerazione della politica» – sul quotidiano «il manifesto» del 10/11/2018).

Dobbiamo confessare al lettore che queste parole ci hanno molto scosso. Così siamo corsi in libreria e abbiamo arraffato dalla catasta di copie invendute (!) il capolavoro in questione e ci siamo messi a leggerlo tutto d’un fiato. E siamo restati basiti. Sì perchè la realtà è molto peggiore di quello che ci si poteva aspettare.

Lasciamo da parte le smarronate grammaticali che ci cullano dolcemente sin dalla prima riga: «Affacciamo nella piazza del Santo Sepolcro» (in italiano si dice: «Ci affacciamo»).

E lasciamo da parte tutta la cornucopia di quisquilie e pinzillacchere che destano l’orrore di probi critici letterari: frasi come «Benito Mussolini guarda [una donna] elettrizzato come se le colasse un rivolo di sperma all’angolo della bocca» che fa scrivere all’orripilato Gianluigi Simonetti che nella docu-fiction «tutto è enfatico, greve e spiattellato». (G. Simonetti, «M. il figlio del secolo di Antonio Scurati» sul quotidiano «Il Sole 24 ore», 3/04/2019).

Lasciamo perdere tutto questo. Limitiamoci solo a quello che viene “svelato” al lettore incauto che nulla sapeva di Mussolini prima di tante rivelazioni. Per esempio quello che si dice (e non si dice) sul delitto Matteotti. La Rossanda ha l’impudicizia di affermare: «Non so se sia precisa l’interpretazione del carattere di Matteotti». Ma altri lettori, meno accecati, hanno invece il coraggio di dire: «Su Matteotti, lo sguardo equanime di Scurati si posa con costante giudizio. Giudizio che non arriva dai fascisti personaggi del romanzo, ma dal narratore stesso. Sono piccoli ma lampanti indizi abilmente disposti dallo scrittore…: Matteotti è figlio di un ricco forse avvezzo all’usura, Dùmini [il suo rapitore] è un volontario decorato al valore, figlio di migranti. Non si tratta di giudizi espliciti, sono anzi dati di fatto, ma disposti in tal modo offrono delle suggestioni» (G. Sabatini, «Le intenzioni fallite. Perché “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati non è il libro di cui Scurati parla» in «Flaneri», 4/02/2019).

Questa manipolazione untuosa e perversa dei fatti è il vero significato di un testo che può essere lodato solo dagli ignoranti o dai semplici di spirito: «Scurati è sistematico, costruisce ogni capitolo non solo mostrando il punto di vista fascista, ma coinvolgendo, catturando, il lettore in esso. Ancora un esempio: se non volesse pilotare il giudizio di chi legge, Scurati non aprirebbe così il capitolo dedicato al congresso socialista di Livorno (da cui nascerà il Partito comunista): “Il XVII congresso del Partito socialista italiano è stato inaugurato a Livorno – meta turistica rinomata per i suoi pregiati stabilimenti balneari e termali – alle ore 14:00 del 5 gennaio 1921”. Se non volesse pilotare il giudizio di chi legge, Scurati non darebbe la sensazione che i delegati socialisti avrebbero potuto mellifluamente immergersi nelle acque termali e passeggiare sul lungomare fra un lavoro congressuale e l’altro» (ibidem).

In questo modo, un fatto dopo l’altro, una reticenza dopo l’altra, una maldicenza dopo l’altra, una mezza verità dopo l’altra, una mezza bugia dopo l’altra, snocciolando aneddoti su aneddoti e voli pindarci su voli pindarici si finisce per perdere il filo che lega tutto. Emblematico è il caso di Matteotti che alla fine risulta essere la vittima casuale di una ridda di azioni e reazioni, che culminano nell’improvvisata e inaspettata iniziativa del mediocre e livoroso capo della Ceka Marinelli (anche se non si sa in base a quale “documento” storico si affermi una simile enormità) e soprattutto nella coltellata inaspettata e imprevista, sferrata all’ultimo momento da Albino Volpi a Matteotti, che osava resitere al sequestro perché, si sa, se uno ti fa scappare la pazienza non c’è santo che tenga e perché «quando scappa, scappa» (teoria a dire poco ridicola, oltre che inverificata e inverificabile, già ridicolmente sostenuta in televisione dal privo di senso del ridicolo professor Giovanni Sabatucci, che convince solo chi non distingue gli impulsi impellenti degli uomini con problemi di prostata e gli impulsi omicidi di assassini di professione).

Invece le cose non sono andate così. Lo sa chiunque abbia letto almeno il libro di Mauro Canali, «Il delitto Matteotti» (Il Mulino, 2015) snobbato dagli accademici italiani e da Scurati stesso, che distrattamente accenna a quest’interpretazione, ammucchiandola insieme a tutto il resto, in un gioco di “et-et” più oscuro della notte nera in cui tutte le vacche sono nere (Hegel). Se dietro al delitto Matteotti c’era la paura che egli rivelasse le tangenti pagate ad Arnaldo Mussolini e al re in persona dalle compagnie petrolifere americane in un discorso alla Camera basato su documenti riservati (spariti, guarda caso, durante il sequestro!), se c’era questo come Canali ha dimostrato non scrivendo un romanzo, ma citando documenti inediti, allora tutto il resto è «una favola raccontata da un’idiota, piena di rumore e di furore, che non signiifca nulla» («Macbeth», atto V, scena 5).

Se le cose stanno così non ha letteralmente senso occuparsi di una simile cialtronata. E ci fa letteralmente venire i brividi che personaggi impegnati da sempre nella lotta contro il fascismo come la Rossanda non solo plaudano a operazioni di regime di questo tipo ma addirittura concludano, in modo francamente criminale, le loro elucabrazioni affermando: «Non so quale parte dell’opera di Scurati si debba alla sua fantasia di romanziere e quale alla sua intuizione o memoria di storico. Certo è illuminante l’immagine che egli trasmette dell’opinione italiana fra il ’22 e la guerra. Tra l’altro essa fa anche giustizia del modo con il quale un certo cinema italiano l’ha buttata tutta in ridere, come quando Alberto Sordi canta: “Mamma ritorno ognor [leggi ancor nota del redattore] nella casetta” a illustrare il “tutti a casa” dei giorni dell’armistizio. Ridotto o a puro orrore o a grande risata, non si producono gli anticorpi a un fascismo più o meno perfetto».

Queste ultime parole sono veramente una bestemmia: il film «Tutti a casa», di cui la Rossanda parla a vanvera, si conclude con Alberto Sordi che impugna la mitragliatrice contro i nazisti durante le “Quattro giornate di Napoli”, riscattandosi dal suo accecamento fascista, proprio quello che lo portava a cantare certe canzoncine patriottarde. Non è vero che in questo modo la storia è ridotta “a grande risata”. E’ vero il contrario. A meno che uno non abbia visto un altro film. Magari dopo aver letto un altro libro, al posto delle agiografie che ci propina il neo-conservatorismo rampante.

 

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2 commenti

  • sergio falcone

    Operazioni di tal fatta non sono una grande novità, purtroppo. A monte di tutto questo, dico: che tristezza e che mafia, i premi letterari e le competizioni in genere…

  • ALESSANDRO VARRUCCIU

    Lo sto leggendo in questo periodo, ho raggiunto quasi la metà. Credo che il voler raccontare la storia così da vicino porti inevitabilmente a qualche errore, più o meno grave, come quelli da lei citati (per me sono sempre gravi, specialmente riferiti a fatti storici). Da capire l’intenzionalità o meno… Anche a me ha disturbato quell’accenno a Livorno ecc… per le ragioni da lei citate. Cercherò comunque di arrivare alla fine. Grazie per questo articolo senza veli, aiuterà sicuramente nell’analisi e nelle riflessioni finali.

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