Se il nome è nemico

 di Maria G. Di Rienzo

«’ Tis but thy name that is my enemy…» (Solo il tuo nome mi è nemico) da «Romeo e Giulietta»: atto secondo, scena seconda

«Qualche volta è sensato per un’autrice usare uno pseudonimo, in particolare quando i protagonisti principali del libro sono maschi, o quando si tratta di un genere che attira molto gli uomini, come la fantascienza militare o certi tipi di fantasy e di thriller» dice Anne Sowards, editrice di Penguin, in un recente articolo del «Wall Street Journal». Tre degli “autori” fantasy che la Penguin pubblica, K.A. Stewart, Rob Thurman and K.J. Taylor sono donne ma, come vedete, niente nei nomi che usano per firmare i propri libri lo rivela. La nuova promessa del settore con il libro «Città della Magia Nera», il signor Magnus Flyte, non esiste: si tratta dello pseudonimo di due donne, Christina Lynch e Meg Howrey.

Ma l’ha scritto un gatto?

«Con un autore nuovo, a esempio» prosegue Anne Sowards «vogliamo evitare qualsiasi cosa possa indurre un potenziale lettore a metter giù il libro dicendo: non è per me. Quando pensiamo che un testo sia appetibile per i lettori di sesso maschile vogliamo che tutto del libro lo dica, dalla copertina al nome dell’autore». Le ricerche di mercato attestano che mentre le donne leggono senza problemi i libri firmati da maschi, gli uomini non leggono quelli firmati da femmine e che questo è particolarmente vero per certi generi della fiction. Chi pensava che i tempi di James Tiptree Jr. (Raccoona Alice Sheldon) e di U. K. Le Guin (Ursula) fossero finiti, è servito. Persino John Scalzi, presidente dell’Associazione americana degli scrittori di fantascienza, ha commentato che J. K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, avrebbe potuto avere diverso destino se avesse firmato i suoi lavori come Joanne Rowling. A volte gli statunitensi mi sembrano neanderthaliani infilati a forza in tute spaziali…

Comunque, non so quanto il discorso sia applicabile, nei generi letterari menzionati, alla situazione italiana. Ho l’impressione che per i nostrani appassionati ed editori di sf e fantasy il discrimine possa più facilmente essere la nazionalità dell’autore: chi volete si compri l’ultima ciofeca fantasy di Milena Piripacchi o di Gianfrancesco Mullazzoni quando può avere le infinitologie di George R. Martin – che tra l’altro sono trasposte in sceneggiati televisivi di successo (Game of Thrones)? Ma come autrice di sf e fantasy mi devo almeno porre il problema.

Ehi Nica (la mia meravigliosa editrice che è anche meravigliosa scrittrice, Nicoletta Crocella) che ne dici se per le prossime cose da pubblicare usiamo qualche pseudonimo? Potremmo essere virilmente patriottiche con Bruto Filiomeo, Firmino Semper, Vittorio Maschio, Armando La Flotta; o rifarci al retaggio nordico-vichingo con Hole Palle e sperare ci comprino a Casa Pound; o ancora tentare di appellarci alla sensibilità etnica e diventare il balcanico Ioson Veruom, o il teutonico Mein Katz (sono rari quelli che penseranno correttamente al gatto) oppure sbaragliare l’arena americana con uno straordinario Rocky Phallus!

Be’, tutto sommato credo che resteremo felicemente femmine anche nei nostri nomi. Se non volete leggerci per questo siete voi a perderci ragazzi.

 

Redazione
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2 commenti

  • Ricevo un lungo e interessante commento da Cdp (Cazzaro De Pignolis) esperto di fantascienza e già intervenuto in blog in polemica con il mio post “Dick è vivo, noi siamo stati invasi”; SINTETIZZO IL SUO SCRITTO.
    Non e’ che abbia obiezioni alle cose dette sulle pratiche di gender in quell’editoria generalista (pseudonimi ecc.). Ne’ sull’auspicabilita’ di un ampliamento anche in Italia del pubblico di fantascienza e (anche se in questo caso il gap e’ minore) fantasy.
    Ma allora diciamo che il problema e’ principalmente italiano. In Usa e UK, ormai da decenni, la battaglia (se non del tutto vinta, certo) pone lettrici e autrici in una posizione incommensurabilmente migliore.
    Se nella fantasy il lato “femminile” e’ forse maggioritario, anche nella sf le scrittrici, di cose piu’ ambiziose come di cose semplicemente di dignitoso intrattenimento, sono tantissime. E il punto di svolta e’ proprio a meta’/fine anni 80. Almeno Lois McMaster Bujold usci’ prestissimo anche da noi, e fu seguita dalla Nord per tutta la sua durata. In molti casi, l’idea e’ stata proprio quella di riprendere l’ambientazione “militare” in senso non- (e a volte anti-)militarista.
    Ed e’ a quelle autrici che, spesso, si ispira una figura come Scalzi, che la tua guest-blogger cita spesso. Ecco, ma il fatto che basti la posizione di buon professionista a rendere sensibili alle questioni di gender non dovrebbe essere un’indicazione del buono stato (concettuale, se non economico) anche culturale del mondo che ruota intorno all’editoria specializzata?
    Mentre invece
    1) che c’entra la povera Rowling, che mai ha avuto a che fare con l’editoria fantasy? In quel caso, si tratta di quella dei juvenile, che e’ tutt’altra cosa. Comunque, l’uso degli pseudonimi mi pare anche un buon diritto di chiunque scriva. Io possiedo tutti i romanzi di Harry Potter, e sin dal primo la foto dell’autrice era ben visibile, come anche il nome completo. Si firma cosi’ come il signor Ballard si firmava J. G. e come quei signori di Bologna si firmano Wu Ming. Se si firmano cosi’, dovrebbe essere buona pratica, quando non si parla di questioni biografiche (di cui, in genere, poco mi cale), chiamarli/e come desiderano loro.
    2) I tempi di Tiptree e Le Guin, evidentemente vituperati, sono esattamente quelli in cui la presenza delle donne e femministe diventa centrale. Tiptree/Sheldon sceglie (per un po’ di tempo, fin quando non viene “scoperta” da un fan) delle firme pseudonime per suoi motivi personali e incontestabili: lo fa con tanta ironia femminista (quando “raccomanda” a nome di “James” delle sue storie firmate con un alias femminile, e in altri casi ancora piu’ beffardi) ma i motivi sono suoi. Quanto a Le Guin, la sua presenza (sulle copertine e in pubblico) e’ continua e ben definita: per tante autrici, al contrario, e’ uno dei modelli da emulare.
    Direi che la verve polemica (soprattutto quella giustificata) dovrebbe SEMPRE tenere conto dei fatti. O no?
    Infatti, e assurdamente, il discorso – con classica traiettoria a pera – diventa quello (sempre sgradevole) del nazionalismo. Ma per favore…
    Magari in Italia ci fosse la qualita’ ultradecennale di seri, puliti professionisti come George R.R. (si, le erre sono due: e’ cosa grave secondo la guest-blogger che ne cassa una? fra l’altro, da quanto ne so, coincide con l’anagrafe) Martin! Che cavolo c’entra usare termini sprezzanti nei suoi confronti?
    Fra l’altro, il “fenomeno” patologico italiano e’ stato (forse e’ ancora) proprio quello della “moda” della fantasy per ragazzi/e, normalmente con scritture e trame di sciatteria incommensurabile. Magari il modello fossero figure come Martin, Gaiman, Miéville, Le Guin e tante altre mai tradotte!
    Per una persona che si definisce “autrice di sf e fantasy”, almeno la conoscenza dei generi letterari che scrive e in cui (presumo, spero) desidererebbe operare dovrebbe essere il punto di partenza.
    O no?
    Peraltro nel mondo anglofono un nome come Katz sarebbe percepito come irrimediabilmente ebreo, e “Phallos” e’ il titolo del prossimo romanzo (storico, ambientazione anticoromana) di un gay come Delany. Dunque, tutto sommato se qualcuno usasse quegli pseudonimi potrei dire che anche in Italia ci e’ rimasta un po’ di speranza!
    Ciao

  • Ok, mi è saltata una R. Temo che questo indichi irrevocabilmente la mia non conoscenza dei generi letterari in cui “desidererei” operare dopo aver scritto e pubblicato racconti e romanzi da vent’anni e passa. Continuerò a desiderare, chissà che non migliori. Mi chiedo solo perché dovrei giustificare, rispondere, argomentare asserzioni altrui: che c’entra la Rowling lo chieda a Scalzi, se era felice quando era ridotta ad una U. (cito a memoria da un’intervista), lo chieda a Le Guin, e tenga presente che, a causa di una traiettoria a pera, il nome “Katz” su Urano sarebbe percepito come irrimediabilmente umano. Saluti, Maria G. Di Rienzo

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