Se mi restasse un solo giorno

«Se mi dicessero che mi resta da vivere un solo giorno, lo passerei lottando per i diritti umani»: Mutabar Tadjibaeva

di Maria G. Di Rienzo (*)

mutabar

Giornalista, attivista, presidente dell’organizzazione “Club Cuori Ardenti”, la 52enne uzbeka Mutabar Tadjibaeva vive in Francia dal 2009, come rifugiata politica. Nel suo Paese, Mutabar investigava su traffico di droga, corruzione e violazioni dei diritti umani: ha pagato tutto questo con la prigione, la tortura e lo stupro.

Nel 2002, mentre lottava per far conoscere la verità sul caso di Alimuhammad Mamadaliev, torturato e ucciso dalla polizia, finì in prigione per parecchi giorni lei stessa. Nell’aprile 2005 fu rapita dai servizi segreti e soggetta ad orripilanti trattamenti: quando la lasciarono andare, i suoi tormentatori le ribadirono che non sarebbe mai stata in grado di chiamarli a rispondere di quel che avevano fatto. Ma Mutabar non chinò la testa, così nell’ottobre dello stesso anno fu arrestata poco prima che salisse sull’aereo che doveva portarla a Dublino, ad una conferenza sui diritti umani. Accusata di “attività contro lo Stato”, fu condannata ad otto anni di carcere e torturata in prigione.

«E’ proprio perché conosco tutto questo che ho deciso di impegnare la mia vita nella lotta per i diritti umani. Quando ero in galera, sognavo il giorno in cui sarei stata libera. Dicevo alle guardie che sarei uscita e avrei scritto un libro su quel che avevo passato».

Il 18 maggio 2008, mentre era ancora in carcere, le fu conferito il “Premio Martin Ennals” quale difensora dei diritti umani. Fu rilasciata qualche mese dopo e, il 10 dicembre successivo, arrivò a Parigi dove ricevette il premio “Liberté, Égalité, Fraternité” a nome della sua organizzazione: bandito dall’Uzbekistan, il “Club dei Cuori Ardenti” ha trovato rifugio in Francia e festeggia quest’anno il quindicennale della fondazione.

Tramite l’organizzazione, Mutabar incontra ogni giorno dozzine di persone in cerca di assistenza; trova avvocati e fondi, prepara rapporti e invia denunce alle Nazioni Unite. Nonostante i modesti mezzi di cui dispone e lo stato di salute precario che le torture le hanno lasciato, Mutabar tiene fede al suo impegno. «Quando ho deciso di restare in Francia come rifugiata politica temevo di non riuscire a fare granché per il mio paese, da così lontano. Ma ora so che sei motivata e hai un po’ di sostegno, come quello che io ho ricevuto dalla Federazione Internazionale per i Diritti Umani, tutto è possibile».

E Mutabar ha mantenuto la sua promessa ai carcerieri: il suo libro si intitola «Prigioniera sull’Isola della Tortura», riporta le crudeltà e le indegnità cui è stata sottoposta, ed è stato pubblicato in uzbeko, russo, francese e inglese.

(*) ripreso dal bellissimo blog “Lunanuvola”.

Redazione
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Un commento

  • È grazie a donne come queste che la speranza continua ad essere presente nel nostro cammino. Grazie a Maria Di Rienzo e al suo Blog pieno di sollecitazioni .

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