«Seme selvaggio» di Octavia Butler

di Giulia Abbate (*)

L’Africa, le donne, la nuova fantascienza

 

Uscito negli USA nel 1980 e pubblicato in Italia solo nel 1991, Wild Seed è un romanzo sicuramente da riscoprire. Per molti motivi: racconta una bella storia bella, con una scrittura avvincente; è stato un apripista sotto diversi punti di vista e contiene il seme, il “seme selvaggio”, di molte delle tendenze letterarie e di pensiero che vediamo dispiegarsi al meglio nella letteratura di genere, e non solo, degli ultimissimi anni.

Attivismo e giustizia sociale, rivendicazione dei diritti delle minoranze e dei popoli nativi, rivisitazione di avvenimenti storici controversi attraverso lo sguardo di chi li ha subiti, mutazione profonda del corpo umano e animale, ibridazione dei generi sessuali, crossover tra i generi letterari: gli ultimi premi Hugo e Nebula vanno in questa direzione, la direzione segnata da Wild Seed quasi quarant’anni or sono.

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Il libro fa parte di una serie: quella dei Patternisti, che consacrò Octavia Butler come autrice di fantascienza. La brutta abitudine alle saghe di tomi con finale apertissimo non era ancora endemica e Wild Seed è un romanzo a sé stante che può essere tranquillamente letto e apprezzato senza conoscere gli altri.

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Anche perché è sì il quarto libro pubblicato della serie, ma è una sorta di prequel. Racconta gli antefatti del mondo iperfantascientifico nel quale i patternisti esercitano la loro tirannia, innescando le guerre e le fughe rocambolesche narrate negli altri libri. In Seme selvaggio non c’è traccia di tutto ciò: seguiamo invece le vicende di due esseri soprannaturali, tra i quali si innesca una dinamica di sopraffazione che parte dalla prima pagina e non molla fino all’ultima riga, avvincendo il lettore con la sua altissima tensione narrativa.

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Copertina dell’edizione USA 2001: la più bella, a mio parere

Anyanwu è una guaritrice: una creatura molto antica capace di rigenerarsi e prodiga nel rigenerare, in grado di cambiare occasionalmente la forma del suo corpo replicando le fattezze animali. Vive in pace, ritirata, ed è la decana della sua comunità, una florida tribù del centro Africa. Fino a quando viene scovata da Doro, uno spirito più antico di lei e ben più spietato: praticamente immortal grazie alla sua facoltà di impossessarsi dei corpi altrui, porta avanti da secoli quello che è praticamente un progetto eugenetico.

 

Un antagonista ideale

Doro rintraccia le persone dotate di poteri soprannaturali, o anche solo di caratteristiche particolari di ogni tipo, le porta nelle sue “comunità protette” e le fa riprodurre con altre persone da lui selezionate. Sarebbe appropriato parlare di rapimento e di accoppiamenti forzati, se non fosse per il fatto che sappiamo bene quale sia stato il destino dei “diversi” nel corso dei secoli: additati, esclusi, incolpati di tutto, linciati, uccisi dalle loro comunità di origine, proprio a causa della loro diversità.

L’opportunità di vivere in pace, e in comunità chiuse dove essere riconosciuti e protetti, rende praticamente tutti i soggetti scelti da Doro ben felici di obbedire e cedere la propria autodeterminazione.

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Due edizioni del romanzo degli anni ’90

Tutti tranne Anyanwu, il “seme selvaggio”: sciamana e spirito libero, Anyanwu si accorge subito della pericolosità e della ferocia di Doro, ma è costretta a seguirlo sotto il ricatto della distruzione della sua gente. Inizia così un viaggio, che passando per le tribù dell’Africa Centrale arriva fino alle coste del continente crivellate di mercati di schiavi e navi negriere. Anyanwu deve prendere il mare con Doro e seguirlo in una sua comunità in Viginia dove, tra etica pioniera e matrimoni combinati, la guaritrice sperimenta il ricatto, la costrizione, la schiavitù del suo rapitore.

Riuscirà a scappare, grazie alla facoltà di cambiare forma. Ma finita una felice parentesi di assoluta e sfrenata libertà, Anyanwu verrà di nuovo ritrovata da Doro, e vedrà di nuovo minacciata la comunità che è riuscita a fondare: una comunità di diversi, protetta, ma libera. A quel punto, tra le due creature eccezionali ed eccezionalmente diverse arriverà una resa di conti intensa e struggente, che fino all’ultima pagina non darà riposo a chi legge.

Fantascienza nuova e tradizionale

Questa storia decisamente bizzarra per un lettore di fantascienza tradizionale (e il concetto di “fantascienza tradizionale” per molti non è molto cambiato dagli anni ’80 a oggi, ahimé) non presenta elementi immediatamente riconducibili al genere: racconta la lotta di due creature soprannaturali, parla di cose come l’amore, il sesso, il matrimonio, l’appartenenza a una comunità, la schiavitù, la diversità razziale, l’antispecismo.

Sembra più un romanzo fantastico, eppure ha segnato la storia della fantascienza in un modo oggi scarsamente ricordato e riconosciuto, e con una ricchezza alla quale oggi molti dei più grandi autori e autrici SF attingono a piene mani.

Butler mette a fuoco un buon numero di temi importanti: la contrapposizione razziale, la guerra tra i sessi, il significato di essere umano, libertà contro responsabilità – senza sforzo.

[Da una recensione sul New York Times]

Wild seed porta intatto lo sguardo di Butler, i suoi temi, la forza del suo racconto legato strettamente alle radici africane e alla forza di un femminile che è lei la prima a dipingere in questo modo in ambito fantascientifico.

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Seme selvaggio è uno dei primi romanzi SF a prendere le mosse da un’ambientazione africana, con protagonisti africani. Accanto a molti romanzi e serie dedicate a personaggi con poteri soprannaturali potenziati da programmi eugenetici, Butler è la prima che “ha avuto in mente un modello completamente diverso su come un programma di eugenetica avrebbe potuto funzionare nel mondo vero”: come sottolinea acutamente James Davis Nicoll in una sua recensione, un programma del genere non sarebbe destinato a ricchi e facoltosi bianchi avvantaggiati da esso, ma raccoglierebbe gli ultimi, gli emarginati, i diversi, per un fine che non riguarda il loro stesso benessere.

Anziché accettabili fantasie middle class sul fare agli alieni quello che gli europei hanno fatto ai nativi, guadagnarsi posizioni sociali tramite matrimoni ben scelti o costruire grandi monumenti all’ambizione umana, Butler fa la guastafeste e si concentra sulla gente: la gente in fondo alla scala sociale, la  gente per la quale il diritto di scegliere con chi fare figli potrebbe essere un sogno irraggiungibile, la gente costretta da circostanze assolutamente oltre il proprio controllo ad avere a che fare con i mostri, nella speranza di mettere in salvo almeno la più piccola briciola di ciò a cui tiene. I persoaggi di Butler non riescono mai a vincere davvero: piuttosto, possono puntare a ottenere sconfitte tollerabili. 

James Nicoll

Tutto ben diverso, insomma, dalle avventure wasp percorse da inquietudini solo razionali, prive di personaggi femminili a più di una dimensione, spaziocentriche neocolonialiste e amanti del tecnoblabla: anime di opere che andavano allora per la maggiore e che affliggono ancora oggi la fantascienza levandole spessore, mordente e attrattiva.

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La copertina della prima edizione italiana, uscita per una collana di gialli, con un claim che parla di “fantasy” e “amore”

Nuovo è anche il profilo del personaggio protagonista. Femminile, africana, potente ma non quanto vorrebbe. In un contesto nel quale la narrativa del femminismo si concentrava sul potere femminile dal punto di vista della conquista di libertà individuale, con discorsi limitati a donne bianche e occidentali, l’eroina tribale di Butler accetta di subire un ricatto, si presta alle pretese del razziatore, per proteggere la sua comunità: si muove negli interstizi di libertà per limitare i danni, per guarire, per preservare anche e soprattutto gli altri.

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Octavia Estrelle Butler. La scrittrice è morta nel 2006, a soli 58 anni, lasciando numerosi e racconti e uno sterminato archivio di note, diari, lettere e ricerche, oggi di patrimonio pubblico.

Vogliamo parlare dei corpi? Corpi diversi, le particolarità dei quali segnalano dei poteri e delle caratteristiche speciali; corpi rubati da Doro che se ne impossessa brutalmente “cancellandone l’anima”, un atto questo che è il centro delle descrizioni più disturbanti e spaventose del libro. Corpi che mutano, si trasformano, cambiano per poter vivere, come quello di Anyanwu, che replica istintivamente ciò che vuole imitare e diventa tigre, uccello, delfino, è accettata dalle altre creature e con loro genera cuccioli.

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E la politica: lo schiavismo, il colonialismo, la distruzione delle tribù africane, il turpe commercio di esseri umani che penetra nelle tribù e mette i popoli l’uno contro l’altro, l’uno razziatore dell’altro. Visto da una prospettiva assolutamente africana, parlando per bocca dei capi tribù, entrando in catene nei mercati, una vera sofferenza. Fino al Nuovo Mondo, una terra promessa che non è altro che una collezione di enclave che non hanno nulla della rete e molto da cui difendersi.

Il messaggio

Le caratteristiche fin qui illustrate rendono Wild Seed un romanzo di pura fantascienza sociale, sia perché posto nel contesto della sua saga, sia perché dotato dello sguardo peculiare del genere che traspone la visione di una società in un’allegoria fantastica, allo scopo di trasmettere al lettore una critica, e il messaggio: non dovrebbe andare così.

Lo stile di Octavia Butler conferma la forza del suo messaggio: semplice, immediato, narra con naturalezza un susseguirsi di difficoltà e colpi di scena, e costruisce dialoghi pieni di tensione, che ben rappresentano la relazione tra Doro, il terrificante body snatcher saccheggiatore, e Anyanwu, la guaritrice immortale shape shifter capace di amare gli altri nonostante debba perderli.

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Wild Seed“, dell’artista afro Odera Igbokwe

La sopraffazione, come ho accennato in apertura, è il nucleo del romanzo. Una sopraffazione individuale, di Doro sulla protagonista. Ma anche una sopraffazione sociale, quella delle comunità contro i diversi e quella tra diversi con differenti poteri. Una sopraffazione politica e storica: la vergogna del colonialismo schiavista. Una sopraffazione di genere: dove un maschile rapace, produttore di figli, ne ricatta le nutrici. In ultimo, una sopraffazione reale: quella di uno stato di cose che ci espone alla perdita, al lutto, allo stupro, alla violenza. A volte la dobbiamo subire. Ma possiamo almeno scegliere di non accettarla, di respingerla, di tentare di eluderla, invece di considerarla normale e diventare aguzzini a nostra volta.

“Spesso si pensa alla fantasia come frivola, indulgente, egoista. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Octavia Butler ci ha presentato una sfida […]: siamo abbastanza coraggiosi per affrontare la realtà del mondo in cui viviamo? Possiamo far crescere sogni da tale realtà, come fiori selvatici fra le crepe dei marciapiedi? Siamo forti abbastanza per rendere reali quei sogni?”

Walidah Imarisha, attivista, storica, docente e scrittrice, tradotta da Maria G. Di Rienzo, nel post La prole di Octavia – Lunanuvola’s blog]

Non dovrebbe andare così. È un messaggio del romanzo, e di molte altre opere di Octavia Butler: una scrittrice pluripremiata, che fu orfana povera e dislessica, e poi mentoressa e insegnante generosa; madre dell’afrofuturismo e anticipatrice del crossover tra i generi, e narratrice di grande talento, dalla quale possiamo ancora imparare tanto.

Giulia Abbate

Editor e coach di scrittura, Giulia è cofondatrice di Studio83 – servizi letterari, dal 2007 specializzata nel sostegno agli autori esordienti.

Ha esordito nel 2011 con Lezioni sul domani, antologia di racconti di fantascienza, al quale è seguito il romanzo ucronico Nelson (Delos Digital, 2015) e l’antologia SF Stelle Umane (self, 2016). Ha pubblicato racconti apparsi in antologie collettive (RiLL, Crisis, Canti d’abisso, Terra promessa, Occhi di Tenebra, La cattiva strada, Le Variazioni Gernsback, Urania, Oltre Venere, Sarà sempre guerra e altre).

Nata a Roma nel 1983, dal 2004 vive a Milano. Ha due figlie. Il suo sito personale è giulia-abbate.it

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(*) RIPRESO – con le immagini – da www.tomshw.it

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