Senza ebrei e neri che rivoluzione è?

Un ricordo di Henri Grégoire: rivoluzionario e prete

di d. b. (*)  

«I re sono nell’ordine morale quello che i mostri sono nell’ordine fisico. Le corti sono il laboratorio del delitto, il focolare della corruzione e il covo dei tiranni. La storia dei re è il martirologio delle nazioni». Non ci andava leggero Henri Grégoire, più famoso come abbé Grégoire. Del resto fu tra i “capi” della rivoluzione francese.

Si batté contro la schiavitù e i privilegi, per il suffragio universale. Non piacque a tutti però che Grégoire difendesse i diritti degli ebrei e dei neri. Una storia che lo svedese Sven Lindqvist ha ricostruito con efficacia e passione nel suo libro «Diversi» (Ponte alle grazie, 2004).

Lindqvist mette Grégoire fra «uomini, donne e idee contro il concetto di razza 1750-1900»: 22 ritratti di antirazzisti che – taluni con qualche ombra e ambiguità – si sono efficacemente opposti al razzismo montante e anche (meno però, come conferma il fatto che solo 3 dei 22 sono donne) al sessismo. L’intento dichiarato di Lindqvist è recuperare alla memoria i passaggi storici importanti e dimenticati di una lunga “tradizione” antirazzista. Nel libro i nomi davvero noti sono quattro soltanto: Benjamin Franklin, Alexis De Tocqueville, lo storico Theodor Momsen e il romanziere Joseph Conrad.

Fra le storie meno note che Lindqvist recupera quella di Grégoire è una delle più intriganti, soprattutto perché si muove fuori dagli schieramenti stabiliti. Ecco alcuni passaggi ripresi appunto da «Diversi».

Nel pieno della rivoluzione «un piccolo prete cattolico di campagna della Lorena» difende nel nuovo Parlamento la causa degli ebrei: «Per 15 anni ho studiato gli usi di questo singolare popolo. Pertanto credo d’avere il diritto di affermare che molti di quelli che parlano contro gli ebrei lo fanno con vergognosa leggerezza». In Lorena e in altre zone di confine tra Francia e Germania «vivevano molti poveri straccivendoli e piccoli commercianti ebrei». Non potevano avere sinagoghe, tassati pesantemente e osteggiati a ogni livello. Applicando il vecchio motto «divide et impera» i nobili francesi tassavano pesantemente gli ebrei ma consentivano loro di prestare soldi mentre i contadini aspettavano i proventi del raccolto. «L’ira dei contadini non si indirizzava però sulla nobiltà, che si prendeva il denaro, ma sugli ebrei che lo raccoglievano».

Grégoire capì come funzionava il sistema e chiese i diritti di cittadinanza anche per gli ebrei. A chi lo contestava rispose così: «Si dice che gli ebrei non possono diventare cittadini perché […] mancano di patriottismo nei confronti della Francia. Forse è un po’ difficile per colui che non viene considerato appartenere alla propria terra natale nutrire per essa i dovuti sentimenti patriottici […] L’Europa ha creato 400 regole e divieti per erigere un muro divisorio fra ebrei e cristiani. […] voi avete dichiarato sacri i diritti dell’essere umano e del cittadino. Ricordate allora che i 50mila ebrei presenti nel nostro Paese sono esseri umani e pretendete che anche loro possono diventare cittadini».

Nei suoi scritti Grégoire mostra come i pregiudizi contro ebrei e neri siano analoghi: il ghetto da una parte e la schiavitù dall’altra impediscono di sentirsi ed essere sentiti come gli altri. Le battaglie di Grégoire non furono facili, i successi dì breve (e parziale) durata.

Fino agli ultimi anni restò un personaggio scomodo: attaccò Napoleone, come aveva criticato prima la Chiesa e poi il Terrore. Quando era sul letto di morte – racconta Lindqvist – gli fu chiesto di prendere distanza dalle idee della Rivoluzione. Disse un no inequivocabile.

Ai suoi funerali si raccolsero 20 mila persone. Il segno chiaro che la lotta contro i razzismi continuava. Del resto prosegue anche oggi e – ha ragione Lindqvist – «appare più necessaria che mai».

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