Serbia: solidarietà cittadina senza frontiere

di Julia Druelle

Ripreso da Obc, «Osservatorio Balcani e Caucaso» (*)

Foto-MigrantiSerbia

Centinaia di migranti dormono ogni notte nelle strade di Belgrado, soprattutto nel piccolo parco adiacente alla stazione degli autobus. Le iniziative cittadine di solidarietà si moltiplicano, insieme ai presidi degli attivisti di “No borders”

Belgrado. Il parco adiacente alla stazione degli autobus è pieno di gente. Come sempre, dall’inizio della scorsa primavera, gruppi di migranti, soprattutto siriani ed afgani, ma anche iracheni, pakistani e sudanesi, cercando di riposarsi un po’ prima di continuare il proprio viaggio. Tra di loro anche donne e molti bambini. Aspettano la sera per poter prendere un bus o un taxi verso nord, e forse, riuscire ad attraversare la frontiera con l’Ungheria.

Un gruppo di siriani attraversa la strada, con zaini e sacchi a pelo. Sono appena arrivati in treno dalla Macedonia e cercano un posto dove passare la notte. Se sono fortunati, troveranno un albergo ad un prezzo abbordabile. Altri invece preferiscono dormire nel parco, quando la polizia non lo impedisce.

Secondo le autorità di Belgrado, più di 35.000 domande di asilo sono state depositate in Serbia a partire da gennaio 2015. Il doppio rispetto alle richieste ricevute durante tutto il 2014. Naturalmente questo numero non include i migranti che non fanno domanda in Serbia, e che sono in transito verso l’Unione europea.

Marija lavora in un ristorante libanese non lontano dal parco. Il ristorante, aperto da pochi mesi, è molto popolare tra i migranti. «Sono davvero dispiaciuta per loro» racconta Marija. «Ho sentito delle storie terribili. Anche qui abbiamo conosciuto la guerra e i bombardamenti, so cosa vuol dire».

A qualche decina di metri dal parco, un Internet-caffè ha appena aperto. Offre ai migranti la possibilità di usare Internet e di effettuare chiamate internazionali a prezzi bassi. Dispone anche di una cucina lasciata a disposizione. Alle pareti sono appesi degli acquerelli che rappresentano delle moschee. Il proprietario è un cittadino serbo di origini palestinesi. Qui come altrove iniziative cittadine spontanee hanno visto la luce per offrire aiuto ai migranti.

«La Serbia ha una lunga storia legata all’immigrazione» spiega Nikola mentre porta del pane al parco. «Ci sono state famiglie serbe sfollate a causa delle guerre degli anni Novanta, ed è per questo che oggi cerco di aiutare come posso».

No borders

Nel parco è attivo un gruppo di militanti giovani e meno giovani. Sono membri del gruppo “No Borders”, un collettivo transnazionale che si è mobilitato sulla questione migratoria e che chiede l’abolizione delle frontiere. Questa sera [24 luglio 2015, NdT], come tutti i sabato sera da diversi mesi, preparano tazze di tè su fornelletti a gas.

Il ramo serbo della rete “No Borders” è nato tre anni fa, quando i migranti internazionali hanno cominciato a frequentare in numeri sempre crescenti la rotta dei Balcani occidentali. Il numero dei migranti in transito nei Balcani è cresciuto drammaticamente negli ultimi mesi a causa del deterioramento della situazione in Siria e Iraq, ma anche in seguito ai numerosi incidenti mortali avvenuti in mare, nel Mediterraneo orientale.

Un attivista innalza dei cartelli colorati. «Freedom, not frontex» dicono le scritte che si riferiscono all’agenzia UE per il controllo delle frontiere europee. Nel parco, il Pasulj, zuppa di fagioli tipica dei Balcani, viene servito ai migranti. Sulla fontana qualcuno ha scritto con vernice rossa: «Welcome».

Mentre in Ungheria, Fidesz, il partito del Premier Viktor Orban cerca di strumentalizzare la paura dei migranti a fini politici, il fenomeno resta un tema minore in Serbia. Se alcuni militanti nazionalisti sono già venuti a protestare nel parco, «l’aumento del numero dei migranti è troppo recente perché il movimento nazionalista possa aver avuto il tempo di organizzarsi sulla questione». Sono ancora «troppo occupati alle prese con i vecchi rancori delle guerre jugoslave» spiega un attivista di “No Borders”.

«Le reazioni della popolazione locale sono miste, alcuni si mostrano più generosi, mentre altri sono più ostili, come accade un po’ ovunque» spiega Sahid, giovane insegnante di inglese che racconta di essere fuggito dal Pakistan dove è stato minacciato di morte per il suo impegno nelle campagne di vaccinazione portate avanti da organizzazioni occidentali. Ma se è vero che una parte della popolazione si mobilita in solidarietà con i migranti, la miseria e la disperazione in cui si trovano attirano anche profittatori e trafficanti.

Sono molti i migranti a denunciare il racket, a volte organizzato dalla polizia, e il pessimo trattamento subìto durante il viaggio. A Belgrado, la polizia sgombera regolarmente il parco, ma i migranti ci tornano instancabilmente. Dove potrebbero andare? Nessuno vuole restare qui; Belgrado non è che una tappa verso l’Ungheria e l’Ue.

«La repressione della polizia in Serbia ha il solo scopo di far ripartire i migranti il più in fretta possibile» spiega un militante. «Alcuni poliziotti accompagnano i migranti direttamente in Ungheria. Fino ad ora la Serbia ha adottato la politica dello struzzo, ma temiamo che le autorità inizino presto a fare controlli più duri».

Il muro ungherese

Oltre alla pressione della polizia e al racket organizzato, è il muro ungherese a preoccupare i migranti. Budapest ha iniziato la costruzione di una recinzione alta quattro metri lungo tutti i 175 km di confine con la Serbia al fine di arrestare il flusso di migranti in transito verso l’Ungheria.

Gli attivisti serbi temono la creazione di un blocco a nord del Paese in quanto la Serbia non potrebbe fronteggiare una grave crisi umanitaria. Durante una visita a Preševo lo scorso 15 luglio, il premier Aleksandar Vučić ha sollevato la questione, dichiarando che la risposta all’afflusso di migranti nei Balcani «non può essere la costruzione di muri, ma una politica comune e di concerto con l’Unione europea e i paesi di transito» e ha sottolineato che «il sostegno dell’Ue è essenziale».

Nel frattempo, le reti criminali dei trafficanti reclutano nei pressi della stazione ferroviaria di Belgrado. Questa sera, Sahid e i suoi amici hanno un appuntamento con un taxi che ha proposto loro un servizio per 1.300 euro a testa. Se sono fortunati, Inshallah, domani Sahid e i suoi amici saranno in Ungheria.

(*) Migranti in Serbia: solidarietà cittadina senza frontiere 3 agosto 2015. Foto di Julia Druelle/CdB. (Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 24 luglio 2015 e tradotto da Osservatorio Balcani e Caucaso).

OBC – «Osservatorio Balcani Caucaso» – è uno dei soci fondatori dell’European Centre for Press and Media Freedom (Ecpmf) di Lipsia, un centro per la tutela della libertà di stampa e dei media in Europa. Per saperne di più, vai alla pagina dedicata al progetto

Tutti i contenuti disponibili sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso sono distribuiti con licenza Creative Commons, se non diversamente indicato. Se vuoi ripubblicare questo articolo sul tuo blog o sito internet puoi farlo utilizzando la dicitura “Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso” includendo un link attivo diretto alla pagina dell’articolo e indicando il nome dell’autore. E’ gradita una e-mail di segnalazione alla redazione dell’avvenuta ripubblicazione: redazione@balcanicaucaso.org

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *