Sì alla carbon tax e…

… via i sussidi ai combustibili fossili: da qui 23 miliardi di euro per l’Italia

di Luca Aterini (*)

Un nuovo studio pubblicato su “Nature” analizza cosa accadrebbe se gli aiuti pubblici alle fonti fossili, che valgono 5.300 miliardi di dollari nel mondo, venissero cancellati

Che cosa accadrebbe se tutti i sussidi ai combustibili fossili ancora erogati da Stati di tutto il mondo – secondo i calcoli del Fondo monetario internazionale si parla (nel 2015) di 5.300 miliardi di dollari, 10 milioni di dollari al minuto – venissero di colpo cancellati? Le emissioni di CO2 diminuirebbero drasticamente? Con quali effetti indiretti sui lavoratori e sulla popolazione, soprattutto nei Paesi più poveri? La risposta a tali quesiti non è così scontata, e a prendersi la briga di approfondirla è stato il team di ricercatori che ha appena pubblicato su “Nature” lo studio Limited emission reductions from fuel subsidy removal except in energy-exporting regions.

Alla ricerca hanno partecipato anche Massimo Tavoni e Johannes Emmerling del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc). Secondo quanto emerso dalla ricerca – come informano proprio dal Cmcc – la rimozione di sussidi alle fonti fossili a livello globale produrrebbe, entro il 2030, una diminuzione delle emissioni di CO2 compresa tra l’1 e il 5%, pari a una quantità compresa tra 0,5 e 2 miliardi di tonnellate di CO2, un numero inferiore agli impegni dell’accordo di Parigi che richiede una diminuzione di 4-8 miliardi di tonnellate di CO2, e che comunque non permetterebbe di rimanere sotto i 2°C.

Bisogna fare però distinzioni tra diverse aree geografiche: Medio Oriente e Nord Africa, Russia e America Latina raccoglievano nel 2015 i due terzi dei sussidi mondiali che, se fossero eliminati, porterebbero in quest’area geografica a tagli di emissioni uguali o maggiori a quelli stabiliti a Parigi. Il discorso è invece diverso per altre realtà, come l’India e regioni africane dove l’eliminazione dei sussidi avrebbe un impatto immediato sulle bollette e sui bilanci familiari, andando ad interessare le fasce di popolazione a reddito più basso. In simili situazioni, e in assenza di misure compensative, il risultato potrebbe essere il taglio dei consumi energetici e l’orientamento verso il più economico carbone come fonte di energia.

Quindi eliminare i sussidi è una scelta sbagliata per raggiungere gli obiettivi di Parigi? «No – chiarisce Tavoni – vuol dire piuttosto che eliminare i sussidi è una misura che da sola non basta. Intanto sappiamo che in alcune regioni produrrebbe effetti di riduzione sulle emissioni, per non parlare del miglioramento della qualità dell’aria conseguente a una riduzione dell’uso delle fonti fossili, con beneficio per la salute pubblica. Ci sono regioni dove invece gli esiti possono essere negativi, ma in questi casi bisogna fare attenzione a tutte le ripercussioni che una singola misura può avere e integrarla in una serie di iniziative che ne bilancino gli impatti sociali ed economici. La tassazione della CO2 rimane uno strumento fondamentale».

Prendiamo il caso italiano. Secondo il ministero dell’Ambiente ammontano a 16,1 miliardi di euro i sussidi ambientalmente dannosi erogati ogni anno, e il comparto energetico riveste un ruolo di primo piano nella partita, tanto che – stima Legambiente – i sussidi (diretti e indiretti) garantiti ai combustibili fossile ammontano a 15,2 miliardi di euro nel 2016. Cancellarli forse non farebbe calare drasticamente le emissioni di CO2 del Paese, anche se potrebbe aiutare – un aiuto che non farebbe male, dato che nel frattempo sono tornate a crescere, nonostante l’Accordo di Parigi – e certamente libererebbe risorse economiche importanti da destinare allo sviluppo di efficienza energetica e rinnovabili, e/o a scopi di sostenibilità sociale.

Al contempo, inaugurare una carbon tax (ovvero la tassazione della CO2 auspicata anche dal Cmcc) pari a 20 €/t, come recentemente ipotizzato dal direttore scientifico del Kyoto club Gianni Silvestrini, permetterebbe di ridurre l’emissione di gas serra e al contempo recuperare gettito per altri 8 miliardi di euro – anch’essi reinvestibili nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.

Una strategia concreta che ha già case history d’eccellenza da poter vantare, come quello della Svezia: nel Paese scandinavo dall’introduzione della carbon tax negli anni ’90 il Pil è cresciuto del 58% mentre le emissioni di gas serra sono calate del 23%, tanche che adesso la Svezia ha già approvato una legge che impegna la nazione a divenire carbon neutral entro il 2045. Una strada che potrebbe percorrere anche l’Italia se solo lo volesse: in fase di campagna elettorale non sarebbe un obiettivo da poco da avanzare.

(*) ripreso da http://www.greenreport.it/

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