Siamo forse i custodi dei nostri fratelli?

di Daniela Pia

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Mentre mi passavano fra le mani le immagini datate dei miei bimbi – una vita fa – cercavo di ricordare cosa significasse stringere un/una figlio/a fra le braccia. E anche se non si fosse trattato di figli miei, figli comunque che si affidassero a me.

C’è un istinto che ci spinge alla protezione, alla cura, alla tutela di chi sentiamo più fragile, di chi deve essere sottratto alle brutture del mondo.

Un istinto e una consapevolezza che ci rendono madri e padri, non solo fisiologici, disposti a tutto: a solcare mari e varcare confini inospitali; persino reporter, gentildonne-infami capaci di sgambettare un uomo che fugge stringendo fra le braccia il proprio figlio, per farlo cadere e – possibilmente – filmarlo mentre striscia nella fatica della diaspora.

Fatico a parlarne ma so con certezza assoluta che sarei fuggita come fuggono i profughi siriani ai confini di questo continente incartapecorito. Avrei giocato a testa o croce tutto, la mia stessa esistenza, per una manciata di possibili giorni senza guerra, pur senza garanzie, con la sola illusione di un qualche futuro per la generazione stretta fra le braccia alla quale riconoscere il diritto alla vita. Non sono capace di reggere le barriere di filo spinato che vengono erette. Trovo disumano che chi fugge dalla guerra sia costretto a strisciarvi sotto. Avverto come indegno che questa finta Europa consenta, oltre a tutte le altre turpitudini, a un corpo speciale ungherese, formato da più di 2 mila uomini armati, di reprimere con la forza i migranti sfiniti. Mi ripugnano le cervellotiche elucubrazioni su quote umane da attribuire alle stelline in campo blu della bandiera bugiarda.

Credo fermamente che non si possa fermare la marea. Che sia necessario calzare i mocassini spaiati di chi fugge, per non cancellare la storia, per poter scorgere il bisogno che annaspa nella violenza che dilaga.

Abbiamo un compito ineludibile, a scuola , a casa, per la strada: riconoscere e far riconoscere, nel volto di fugge, il volto di chi amiamo.

Dobbiamo essere capaci di arginare la pancia della xenofobia più becera e virulenta: quella che si sta diffondendo come un’epidemia impestante intorno a noi.

Per questo abbiamo bisogno di riconoscerci umani fra gli umani.

Ci avvisava Primo Levi:

«Meditate che questo è stato

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

stando in casa andando per via,

coricandovi, alzandovi.

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

la malattia vi impedisca,

i vostri nati torcano il viso da voi».

Lo ricorda Zygmunt Bauman in un suo articolo, citando l’antico testamento: «Quando Dio domandò a Caino dove si trovasse Abele, Caino, adiratosi, replicò con un’altra domanda: “Sono forse il custode di mio fratello?”. Il maggiore filosofo morale della nostra epoca, Emmanuel Levinas, osservò: da quella rabbiosa domanda di Caino ebbe inizio ogni immoralità. Certamente sono io il custode di mio fratello; e sono e rimango un essere morale fin tanto che non chiedo un motivo speciale per esserlo. Che io lo ammetta o no, sono il custode di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue. Nel momento in cui metto in discussione tale dipendenza domandando ragione — come fece Caino — del perché dovrei prendermi cura degli altri, in questo stesso momento abdico alla mia responsabilità e non sono più un essere morale. La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme, o non si danno».

Temo che se non saremo capaci di responsabilità verso il fratello pagheremo lo scotto di esserci perduti e di aver perduto i nostri figli.

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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