“Siamo nati curdi, vogliamo convivere ma dovete accettare la nostra identità”

Un’intervista (del 2008) a Leyla Zana che aiuta a capire l’oggi

di Gianni Sartori

In questi giorni è in atto l’ennesimo tentativo del governo turco di estromettere la voce dei curdi dal parlamento. E ancora una volta assistiamo a un attacco diretto contro Leyla Zana.

In questa antica intervista – realizzata a Venezia verso la fine del 2008 – emerge tutta la determinazione e la volontà di una soluzione politica dell’esponente politica curda. Un utile “ripasso” per comprendere quale sia la sostanziale continuità delle repressione operata da Ankara contro le legittime istanze del popolo curdo.

L’8 dicembre 1994 veniva pronunciata la sentenza di condanna contro otto parlamentari curdi, sette dei quali membri del Partito democratico DEP, messo fuorilegge. Accusati di collaborazione con il PKK e di “attentato all’integrità dello Stato”, cinque imputati – fra cui Leyla Zana – furono condannati a 15 anni di carcere. Gli altri a 3 anni e sei mesi. La corte aveva lasciato cadere le accuse di “alto tradimento” evitando quindi ai condannati la pena di morte. Presumibilmente grazie alle pressioni internazionali – fra cui un appello dal presidente francese Mitterand – esercitate sul governo di Tansu Ciller (“donna dell’anno” 1993 secondo i telespettatori di Euronews).
Intanto proseguivano le attività anti-curde, sia quelle ufficiali (secondo l’agenzia Anatolia l’ultima offensiva dell’esercito nella provincia di Tunceli aveva causato la morte di una cinquantina di presunti guerriglieri) sia quelle “coperte”: qualche giorno prima era stato colpito il giornale “Ozgur Ulke”, un morto e una ventina di feriti.

Nel 1995 il Parlamento Europeo assegnava a Leyla Zana il premio Sakharov per la libertà di espressione; nel 1996 riceveva il premio internazionale Rose dell’organizzazione del Movimento operaio danese per la difesa dei diritti umani. Mentre era ancora detenuta nel carcere speciale di Uculanlar (Ankara) le è stata accordata la cittadinanza onoraria di Roma. Per molti anni l’ex prigioniera politica è stata la “bestia nera” delle unità speciali turche, responsabili di una durissima repressione nei territori curdi. La sua immagine veniva usata come bersaglio nei poligoni di tiro. A Leyla Zana stava per essere attribuito anche il premio Nobel per la Pace ma poi la candidatura venne accantonata per le proteste della Turchia.
Giovedì 30 ottobre 2008, presso l’Ateneo di Venezia, si svolse un incontro-dibattito con Leyla Zana. Vi presero parte anche Hevi Dilara, Tiziana Agostini, Orsola Casagrande, Baykar Sivazliyan e Luana Zanella. Un’occasione per conoscere “non solo la sua storia di donna curda, ma la storia di una comunità, di una nazione senza Stato” commentò Tiziana Agostini.

I curdi sono un popolo che “dall’antica Mesopotamia ha saputo arrivare fino ai nostri giorni per la sua forte identità, forza morale, generosità”. Attualmente smembrato in quattro stati, il Kurdistan “galleggia” su un mare di petrolio. Nel Kurdistan “iracheno” (Kurdistan Sud) i bombardamenti ordinati da Saddam – sulla città di Halabja e sui villaggi del nordest – sono stati un disastro per un popolo in buona parte di agricoltori. Il cianuro è penetrato nel terreno e gli effetti durano ancora a venti anni di distanza. Se qui oggi i curdi possono parlare la loro lingua, altrove il “diritto alla parola” viene ancora negato. In particolare nel Kurdistan “turco” (Kurdistan Nord, 20-25 milioni di curdi) dove le tensioni sono maggiori. La giornalista Orsola Casagrande ha ricordato che “sono ormai passati diciotto anni da quando Leyla Zana venne eletta pronunciando poi nell’aula del Parlamento parole di pace e speranza in lingua curda. Successivamente arrestata e condannata per separatismo, ha trascorso 11 anni in carcere e decine di altri processi nei suoi confronti restano ancora aperti”.
“Nel Kurdistan turco c’è la guerra” ha continuato Casagrande, “e anche in questi giorni proseguono i bombardamenti da parte dell’esercito e dell’aviazione. Inoltre la Turchia si è arrogata il diritto di bombardare il Kurdistan iracheno. Per aver tradotto in curdo (oltre che in inglese, tedesco, francese) gli opuscoli turistici, alcuni sindaci sono ora sotto processo. Nelle scuole la lingua ufficiale è quella turca. Si può scegliere di studiare l’inglese o il tedesco come lingua straniera ma non il curdo. Quest’anno lo stand dei curdi a Francoforte è stato assalito da estremisti turchi per aver esposto la bandiera del Kurdistan e le emittenti curde in Europa sono minacciate di chiusura”.
Un panorama desolante.

Baykar Sivazliyan, autore del libro Ospiti silenziosi – I curdi in Italia, ha ricordato che “ormai un quarto di secolo fa l’Ateneo Veneto aveva organizzato a Venezia, insieme alla Fondazione Lelio Basso e alla Lega per i diritti e la liberazione dei popoli, un incontro analogo dedicato al genocidio armeno di cui oggi almeno si comincia a parlare anche in Turchia”. Una nazione moderna, coraggiosa dovrebbe affrontare alcune questioni come il fatto che “in Turchia non esistono solo turchi, quasi un terzo della popolazione è costituito da curdi”.

Per la prima volta in Italia, Leyla Zana raccontò: “quando ieri sera sono arrivata a Venezia era buio, ma oggi non riuscivo a staccare gli occhi dalle infinite bellezze della città”. In mattinata c’era stato l’incontro con il sindaco Massimo Cacciari e con l’assessore alla cultura Luana Zanella che ha paragonato la situazione dei curdi a quella del Tibet. Leyla Zana ha ringraziato soprattutto “Tiziana e Orsola per aver raccontato quello che sta subendo il mio popolo”.

Ecco una breve intervista a Leyla Zana, realizzata in quell’occasione.

In Turchia per il vostro popolo la situazione resta difficile. Rifiuto da parte del governo di riconoscere l’identità curda e dura repressione. Ce ne può parlare?
Penso che nessun popolo al mondo altrettanto numeroso come i curdi (circa 40 milioni) sia rimasto senza un proprio Stato. Quando venne fondata la Repubblica di Turchia i parlamentari curdi eletti andarono nel Parlamento, ma poco tempo dopo molti furono impiccati. Eppure Mustafa Kemal, Ataturk, aveva detto che era “la repubblica dei turchi e dei curdi”. Anche nel 1991 siamo stati eletti come curdi, 22 maschi e io, la prima donna eletta dal mio popolo a cui avevo promesso “sarò la vostra lingua”. Ho giurato in curdo, nella mia madre lingua e quasi tutti i parlamentari mi hanno attaccato. Io dicevo: perché non ascoltate le mie parole che parlano di pace? Loro sostenevano che dovevo parlare in turco, ma noi siamo nati curdi, abbiamo la nostra cultura, storia, lingua. Noi vogliamo convivere con voi, dicevo, ma voi dovete accettare la nostra identità. Ma per loro noi siamo “i turchi rimasti sulle montagne” e così ci hanno incarcerato per molti anni. Oggi, a causa della lotta di liberazione, riconoscono l’esistenza dei curdi ma non i loro diritti. E tutto il mondo sembra ascoltare il governo turco quando dichiara che non sta violando i diritti umani. Ovviamente gli Stati fanno i loro interessi e chiudono gli occhi sulla condizione dei curdi. Noi non siamo contro i rapporti economici ma chi vende armi alla Turchia dovrebbe sapere che verranno usate contro i villaggi curdi. Molti curdi sono venuti in Europa, anche qui a Venezia. Però vorrei precisare che il mio popolo non è scappato per un pezzo di pane. Se avessero potuto continuare a vivere nella loro terra, a lavorare nella loro terra, i curdi non sarebbero venuti all’estero. Il Kurdistan non è ricco soltanto di petrolio e giacimenti minerari ma anche di acqua, la principale fonte di vita. Se si avviasse un dialogo la ricchezza della nostra terra ci basterebbe per vivere.

Vien da chiedersi come possano i curdi continuare a vivere in questa situazione…
Vivono male infatti. Nel Nord Kurdistan più di 3500 villaggi sono stati evacuati. Molti curdi sono fuggiti in Europa, altri nelle metropoli turche. Soprattutto questi ultimi incontrano grandi difficoltà, il loro tasso di disoccupazione è altissimo. Nelle città turche i bambini curdi di sei-sette anni vendono fazzoletti e altri oggetti per la strada, mentre i loro coetanei vanno a scuola, fanno sport, imparano altre lingue. Molti bambini curdi figli di sfollati devono lottare per un pezzo di pane. Noi diciamo che “il peso della vita ha bloccato la schiena”. Nel mio caso, anche la mia famiglia è spezzata in quattro, come il mio popolo.

Esiste qualche Stato disposto a riconoscere l’indipendenza del Kurdistan?
Il Kurdistan è diviso in quattro Stati, due arabi, uno persiano e uno turco che hanno stretto alleanze per non riconoscere uno Stato curdo. Dopo la caduta di Saddam la repressione è aumentata sia in Iran (dove molti curdi sono stati impiccati) sia in Siria, dove attualmente i curdi non hanno diritti. Ogni volta che i curdi, divisi dalle frontiere statali, riprendono a dialogare tra loro, gli Stati intervengono attaccandoli, creando difficoltà. Da quando nel Kurdistan Sud (la parte irachena) esiste una certa autonomia, la Turchia attacca militarmente perché non accetta questa realtà. Nessun governo aiuta i curdi. Naturalmente noi non chiediamo aiuti agli Stati; ci basterebbe che almeno non sostenessero quelli che ci bombardano. Ogni popolo ottiene la libertà con le proprie mani, ma l’amicizia tra i popoli può avvicinare questo momento.

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