Siamo tutte/i composti di identità multiple
Una riflessione – in lieve ritardo – su «Il pericolo delle idee» di Edgar Morin e Tariq Ramadan (*)
Un libro importante e necessario. Che dopo una prima lettura andrò a rileggere (cioè a studiare) proponendomi di discuterne con altre/i.
«Il pericolo delle idee» è uscito a febbraio (da Erickson: 272 pagine per 17,50 euri; traduzione di Riccardo Mazzeo) e purtroppo ha avuto scarsa eco. Eppure i due autori/dialoganti non sono tizi che passano per strada (o in facoltà) senza lasciar segni. Edgar Morin è – la quarta di copertina stavolta non esagera – «fra i maggiori pensatori del nostro tempo» mentre Tariq Ramadan è «fra gli intellettuali più influenti dell’Islam occidentale». Entrambi vivono in Francia dove molti considerano Ramadan un estremista che strizza l’occhio ai fondamentalisti: fra quelli che così dicono i più sono probabilmente in malafede (se lui è un “fondamentalista” io sono un barile di aringhe) e probabilmente non lo hanno letto o ascoltato con un minimo di attenzione; altri invece considerano “estremista” chiunque (nativo o migrante) non trovi meeeeeeeeeeeeeraviglioso “il modo di vivere occidentale” – che per loro sarebbe il modello «lavora, consuma e crepa», non mettere in discussione l’ingiustizia sociale e pensare il meno possibile – e in questo secondo caso sì Ramadan è un “estremista” ma lo è anche Morin o Stefano Rodotà tanto per fare un nome italiano.
Il dialogo fra i due è piacevolissimo: sempre di alto livello culturale ma in termini comprensibili a chiunque non sia un analfabeta di ritorno o un autistico per quieto vivere. L’intervistatore (o per meglio dire lo stimolatore) cioè Claude-Henry du Bord è stato bravo a tirare i fili, considerando anche la fatica di concentrare tutto in due giorni. La conversazione si è svolta nel 2013 ma sulle grandi questioni qui affrontate l’attualità incide pochissimo e dunque potrebbe essersi svolta anche ieri o all’indomani di qualche sanguinoso attacco terroristico (state pensando a «Charlie Hebdo»? Giusto… ma perché non anche al fondamentalista cristiano Bush che distrugge l’Iraq?).
I temi-titoli dei 9 capitoli sono questi: «Dio e gli uomini… e le donne»; «Scienza e coscienza, fede e ragione, intuizione e sapere»; «Il senso delle parole: storia, identità, Riforma, etica, populismo»; «Ripensare il mondo: le disavventure della democrazia»; «Dall’intimo all’universale»; «La questione palestinese»; «Alla ricerca di nuove vie» ovvero i rischi e i piaceri di pensare e agire fuori dagli schemi; «Lei ha detto fondamentalismo?» e infine «L’integrazione, la legge, la trasgressione, il perdono».
Non mi azzarderò a riassumere i contenuti. Ma butto lì un paio di punti che mi hanno particolarmente colpito.
L’ottavo capitolo si apre a esempio con Du Bord (l’intervistatore) a ricordare che «senza alternativa l’orizzonte appare piombato» e questa porta chiusa favorisce il fondamentalismo (io avrei detto: i fondamentalismi). Al che Morin risponde subito così: «E’ certo che l’assenza di pensiero alternativo dipende da una crisi del pensiero politico e del pensiero in senso stretto, da una défaillance del pensiero che non ha i mezzi per affrontare i problemi fondamentali, palesemente complessi» e parla di un’Europa chiusa. Fascismi o populismi? Se ne può discutere ma in ogni caso su tutto – spiega Morin – domina la paura mentre «nel mondo islamico si osserva una crisi generale dell’occidentalizzazione e dei valori introdotti in diversi partiti dal socialismo». Guerre di religione in arrivo? E’ importante accordarsi sui termini: «definiamo provvisoriamente il fondamentalismo come l’interpretazione rigida e chiusa della società da parte dell’elemento religioso» (così Morin) ed è sottinteso che questa definizione non vale solo per il mondo arabo e/o islamico. La risposta di Ramadan è assai articolata. Fra l’altro ricorda che «il fondamentalismo religioso ha una storia. Il termine è dapprima servito a qualificare alcune correnti protestanti. Si intendeva che avessero un certo modo di leggere le fonti scritturali religiose […] non tenendo conto dell’evoluzione dei tempi» e subito dopo: «Questo tipo di pensiero è molto attraente in un’epoca in cui si perdono i propri riferimenti, come avviene ai nostri giorni. […] Tutte le civiltà, tutte le religioni e le spiritualità, così come tutti i partiti politici, si trovano di fronte questo potenziale pericolo». E qualche pagina dopo Ramadan sollecita un’altra riflessione: «Attraverso lo studio e sul campo, mi sono accorto che uno dei più grandi problemi dei cittadini occidentali o dei residenti di confessione musulmana, persino dei musulmani sparsi nel mondo, è una questione di percezione. Si trattava d’altronde della mia risposta sia a Samuel Huntington sia a Edward Said: il primo parlava di uno scontro di civiltà, il secondo di uno scontro di ignoranze; obietto che secondo me si tratta innanzitutto di uno scontro di percezioni, con la sua quota di errori e di pregiudizi nella comprensione dell’altro, del suo universo e delle parole che impiega».
Gli risponde Morin che «navighiamo in zone oscure che il nostro vocabolario non riesce sempre a coprire. Mi piacerebbe talvolta trovare, in mancanza di una parola nuova, l’immagine, la metafora che permettesse di rendere conto di tali nozioni. […] I cattivi dialoghi dipendono dal fatto che ciascuno si trincera sulle proprie definizioni». Più avanti Ramadan osserva che «molte persone di sinistra, alquanto progressiste sul piano sociale, politico o rispetto ai costumi, sono nei fatti profondamente colonizzate sul piano dei rapporti con la diversità culturale e religiosa. Possono essere condiscendenti, sprezzanti, pronti a dare lezioni. Ne sono stato testimone in prima persona. Si vede allora nascere un modello politico di uomo molto singolare, che si è battuto e si batte politicamente ed economicamente per la decolonizzazione, che inoltre si batte per la giustizia sociale, restando però un colonizzatore culturale […] Fra le persone che potevo considerare come alleati politici mi sono reso conto che molte di esse rientravano in questo schema».
Assai netta la risposta di Morin: «E’ vero».
Nel capitolo finale Ramadan torna sulle questioni identitarie: «La denominazione esclusiva è pericolosa, in effetti lei (cioè Morin) ha ragione. Tutti dobbiamo accettare il fatto di essere composti di identità multiple».
C’è poi un esempio – concreto e molto chiaro – su ciò che pensa Ramadan della legge francese del 15 marzo 2004 (“il velo a scuola”) e subito dopo Morin ricorda che persino i nazisti si sono giustificati «in nome della legge» (o dei risultati elettorali); è un complesso groviglio di questioni… Ma su, comprate «Il pericolo delle idee» e leggetelo.
Se dovessi oggi consigliare un libro a chi vuole iniziare a riflettere sulla necessità di dialogare fra diversi … decisamente direi «Il pericolo delle idee». Se avessi un po’ di soldi lo regalerei ad almeno 3-4 persone con (perfido?) quiz iniziale: «in questo libro parlano Morin e Ramadan, ti leggo 4 lunghe frasi, vediamo se indovini chi di due l’ha detta».
(*) Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente in blog di alcuni bei libri pur letti e apprezzati. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro, dai banali impicci del quotidiano +1, +2 e +3… o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimaneva sospesa per molti mesi fino a “morire di vecchiaia”. Ogni tanto rimedio in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. Però, visto che fra luglio e agosto ho deciso di recuperare un bel po’ di queste letture e di aggiungerne altre, mi sa che alla fine queste recensioni recuperate e fresche terranno un ritmo “agostano” quasi quotidiano, così da aggiornare in “un libro al giorno toglie db di torno” quel vecchio detto paramedico sulle mele. D’altronde quando ero piccino-picciò e ancora non sapevo usare bene le parole alla domanda «che farai da grande?» rispondevo «forse l’austriaco (intendevo dire “astronauta” ma spesso sbagliavo la parola) oppure «quello che gli mandano a casa i libri, lui li legge e dice se van bene, se son belli». Non sono riuscito a volare oltre i cieli, se non con la fantasia; però ogni tanto mi mandano i libri … e se no li compro o li vado a prendere in biblioteca, visto che alcuni costano troppo per le mie attuali tasche. «Allora fai il recensore?» mi domandano qualche volta. «Re e censore mi sembrano due parolacce» spiego: «quel che faccio è leggere, commentare, cercare connessioni, accennare alle trame (svelare troppo no-no-no, non si fa), tentare di vedere perché storia, personaggi e stile mi hanno catturato». Altra domanda: «e se un libro non ti piace, ne scrivi lo stesso?». Meditando-meditonto rispondo: «In linea di massima ne taccio, ci sono taaaaanti bei libri di cui parlare perché perder tempo a sparlare dei brutti?». (db)