Sindromi

di Maria G. Di Rienzo

La vera compassione non è un responso emotivo, ma un fermo coinvolgimento basato sulla ragione. Consideriamo i fatti seguenti: che le altre persone ti piacciano o meno, che siano amichevoli o distruttive, sono in ultima analisi esseri umani. Come te, vogliono essere felici e non vogliono soffrire. Inoltre, il loro diritto di sconfiggere la sofferenza e di esseri felici è lo stesso diritto che tu hai. Quando tu riconosci che tutti gli esseri umani sono eguali sia nel desiderio di felicità, sia nel diritto di ottenerla, automaticamente provi empatia e vicinanza per essi. Mano a mano che la tua mente si familiarizza con questa sensibilità, tu sviluppi un senso di responsabilità verso gli altri. E questa responsabilità non è selettiva. Poiché le altre persone sono esseri umani che fanno esperienza di piacere e dolore esattamente come te non c’è base logica per discriminarne alcuni”: liberamente tratto da “Compassion and the Individual” (traduzione mia) del Dalai Lama.

La vicenda del bimbo padovano trascinato via a forza dal padre affidatario e dalla polizia è incresciosa sotto diversi aspetti. Il principale è la motivazione dell’affido, e cioè la diagnosi di “Sindrome di alienazione parentale” (conosciuta come PAS) fatta al minore. Questa cosiddetta “sindrome” è stata sconfessata – come l’idiozia che è – dalla comunità scientifica internazionale e non capisco perché in Italia continuiamo a traumatizzare bambini e nel contempo a renderci disprezzabili e ridicoli dandole credito. Capisco invece benissimo a cosa serve: a mettere in croce le madri. La “sindrome”, infatti, si manifesta quando un figlio o una figlia di genitori separati che vive con la madre esprime giudizi negativi sul padre o dice di temerlo. Dal momento che nessuno si prende la briga di verificare se il/la minore abbia motivi e riscontri effettivi per quel che dice, ne consegue logicamente che la madre maligna e pazza scatenata gli impedisce di avere un armonioso rapporto con l’altro adamantino genitore. Perciò la creatura deve essere allontanata dalla strega Grimilde, sua madre, e “resettata” dei propri affetti e convinzioni. Posto che sia possibile “resettare” un essere umano: a me più che terapia sembra tortura. Qualche anno fa abbiamo cercato di togliere alla madre una figlia con queste argomentazioni (e anche allora la vicenda assurse agli onori delle cronache) e di darla al padre più volte denunciato per violenza domestica e notoriamente svelto di mano anche al di fuori dall’ambito familiare. I tribunali dei minori vogliono farsi qualche domanda?

L’altro aspetto della storia che mi ha colpita è l’atteggiamento della funzionaria di polizia che tratta da scarafaggio la zia del bambino, ma solo perché voleva dire – come specificano dalla Questura – che “secondo quanto previsto dalla legge il provvedimento riguardante il minore può essere comunicato solo al padre e alla madre”. E se era così, perché non lo ha detto e ha detto invece “Io sono un ispettore di polizia, lei non è nessuno”? A parte la mancata identificazione con il proprio genere (la poliziotta è un’ispettrice, il termine italiano esiste e nominarsi al maschile non la rende diversa dalla donna che è) ho il vago sospetto che potrebbe essere in gioco un’altra PAS, o SAP nel nostro idioma: la Sindrome di Arroganza Poliziesca. Pare agisca a livello dell’ego, potenziandolo a dismisura sino a che le altre persone, paragonate al proprio status, sono vissute come inesistenti, “nessuno”.

Eppure, sapete, io ho fiducia nel genere umano. Sono convinta che anche se si soffre di questa SAP si possa gradualmente passare ad altre. In esse l’atteggiamento dell’ispettrice sarebbe stato diverso e più accettabile. Per esempio:

SAP – Staccato atteggiamento professionale – Sono un’ispettrice di polizia e sto eseguendo gli ordini della magistratura.

SAP – Scuse almeno plausibili – Capisco le sue preoccupazioni, ma in questo momento non è possibile intervenire, avrà modo di farlo in seguito.

SAP – Sentirsi ancora persone – Colleghi, non è questo il modo. Non siamo aguzzini e il bambino non è un criminale.

Compassione”, “empatia”, significano “sentire insieme”. Chi maneggia armi, situazioni difficili, esecuzione delle leggi, ha a che fare direttamente con le vite di altri esseri umani. Può coltivare un grano di questa attitudine e rendere migliori le esistenze altrui e la propria. Oppure può cercare di “resettarsi” dalla propria umanità: ma questo non lo renderà migliore ne’ come investigatore, ne’ come giudice, ne’, appunto, come essere umano.

UNA BREVE NOTA

Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue traduzioni – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/.  Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)

 

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