Splendori e miserie della realtà italiana, a partire…

… dal libro di Massimo L. Salvadori sulla storia italiana dall’Unità a oggi.

di Giorgio Riolo

È questa un’opera di sintesi per un argomento molto importante. Il bagaglio culturale minimo di un cittadino / una cittadina consapevole e attiva nella vita quotidiana richiede un minimo di coscienza storica e un minimo di conoscenza del corso storico. Questo in generale per la storia globale-mondiale. Ma ancor più per la storia del proprio paese. E ulteriormente se si vuole essere attivi nella società civile, nei movimenti, nel mondo culturale e nel complicato mondo politico italiano.

Quando un tempo in Italia, soprattutto a sinistra, esisteva la selezione dei gruppi dirigenti, compresi i quadri intermedi, si procedeva alla formazione di detti gruppi e di detti quadri. In questa formazione, un corso specifico sulla storia d’Italia dall’Unità a quel presente era tra le prime cose che si organizzavano. Con maggiore attenzione e approfondimento della storia del secondo dopoguerra, dalla Resistenza e dalla Liberazione alla realtà contemporanea.

Questo libro è pertanto un’occasione importante per rifarsi i fondamentali sulla nostra storia patria. Per capire e avere memoria, ma soprattutto per capire la dinamica contemporanea della realtà italiana.

Il valore di posizione di Salvadori è che in un solo volume ha reso una sintesi equilibrata ed esauriente di un arco storico piuttosto ampio. Con un giusto equilibrio di dati, riferimenti testuali, citazioni e interpretazioni e giudizi da parte dello storico. L’opera classica a cui sempre abbiamo fatto riferimento nel passato era la Storia dell’Italia moderna di Giorgio Candeloro, in 11 volumi presso Feltrinelli (vedi Bibliografia minima) e che copriva un arco temporale che andava dalla fine del Settecento alla fine degli anni cinquanta del Novecento.

Storico rigoroso, Salvadori parte da una prospettiva di sinistra moderata, molto “laica” e molto “piemontese”, e da qui in alcuni punti del libro giudizi improntati molto alla Realpolitik, di un realismo molto aderente alle condizioni effettive, oggettive, reali, dell’essere-proprio-così dell’Italia e dei caratteri nazionali italiani. Realismo politico che rimane spesso piuttosto “freddo” a proposito di correnti sociali e politiche radicali e degli impulsi rivoluzionari via via emersi in questa storia unitaria. Il rigore e la serietà dello storico tuttavia non vengono mai meno e molto è lasciato alla libera valutazione critica del lettore.

In questa nota non si ripercorrono i passaggi cruciali della storia unitaria. Si rimanda alla lettura diretta dell’opera. Si vuole solo dare un quadro molto per grandi linee delle premesse dell’Unità e dire qualcosa a proposito degli elementi permanenti oltre alle ovvie discontinuità di questa storia. Sono le grandi linee del corso storico e dei caratteri distintivi dell’Italia che si presentano alle soglie del Risorgimento e del fatidico 1861. Con qualche chiave interpretativa per comprendere i caratteri della nuova formazione dello Stato-nazione italiano.

I.

Engels, nella Prefazione al Libro III del Capitale (da lui edito nel 1894 a partire dai quaderni lasciati da Marx), espresse bene in un passo denso e fulminante il “segreto”, l’arcano, dell’Italia “L’Italia è il paese della classicità. Dalla grande epoca in cui apparve sul suo orizzonte l’alba della civiltà moderna, essa ha prodotto grandiosi caratteri, di classica e ineguagliata perfezione, da Dante a Garibaldi. Ma anche l’età della decadenza e della dominazione straniera le ha lasciato maschere classiche di caratteri, tra cui due tipi particolarmente compiuti, Sganarello e Dulcamara”. Splendori e miserie della storia patria. La dialettica storica di tendenze nobili e avanzate e di tendenze ignobili, addirittura infamanti.

Vale a dire. La rivoluzione comunale, le Città-Stato italiane, la nascita della borghesia in senso lato, soprattutto rappresentata da mercanti e banchieri (ma anche da artigianato e piccole botteghe-manifatture) e gli albori quindi di quello che sarà qualche secolo dopo il capitalismo compiuto, l’Umanesimo e il Rinascimento ecc. ponevano l’Italia sul fronte della storia. In senso economico e in senso culturale. Ma le stesse condizioni che resero molto “mobile”, molto sviluppato e vivace il quadro italiano, resero dialetticamente e al contempo la sua debolezza politica.

A causa della frammentazione politica, di continue lotte fratricide tra queste Città-Stato, e tra le Signorie che in seguito ne prendono il controllo, a causa della presenza condizionante del potere temporale e ambiguamente ed eufemisticamente “spirituale”, in realtà corrotto e corruttore, del Papato, a causa del ricorso all’aiuto delle potenze straniere, soprattutto Francia e Spagna, l’Italia sprofonda da paese-guida a paese dominato, servile, arretrato.

La dominazione straniera a partire dal Cinquecento, il servilismo e lo “spagnolismo”, quest’ultimo così ben descritto da Manzoni e da Sciascia, la non compiuta Riforma protestante e piuttosto l’azione nefasta della Controriforma, con annessa azione devastante dell’Inquisizione (non solo come repressione delle eresie, degli eretici ecc. ma come repressione di ogni eresia sociale, di ogni possibile minaccia al potere costituito, vedi Morte dell’Inquisitore di Leonardo Sciascia) le impressero i caratteri storici della “arretratezza”.

L’Italia e la Germania, rispetto alle potenze europee, monarchie nazionali e stati nazionali già realizzati, non avevano ancora compiuto l’unità politica, premessa indispensabile per la costituzione del “mercato nazionale” e quindi premessa per lo sviluppo del capitalismo. Vi giungono tardi, nella seconda metà dell’Ottocento, a opera di due monarchie improntate al militarismo. Non trascurabile in quella sabauda, esasperato in quella prussiana.

Questi due paesi, proprio per queste premesse, anche per la presenza di ampi strati di piccola borghesia, condivideranno in seguito, per vie peculiari di ognuno e non semplicemente speculari, il destino di due regimi ferocemente autoritari come il fascismo e il nazismo.

II.

Le campagne napoleoniche in Italia di fine Settecento, la nascita delle Repubbliche napoleoniche, le speranze suscitate in esigui, ma molto attivi e presenti, strati di intellettuali, di aristocratici e di borghesia, influenzati dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione Francese, risvegliarono le coscienze che aspiravano alla fine della dominazione straniera e al compimento dell’Unità. Ancor più nel quadro del romanticismo rivoluzionario (la libertà individuale unita alla riscoperta del momento collettivo, comunitario, del popolo, della nazione, della storia nazionale ecc.) e non reazionario (legittimismo e unione trono e altare ecc.).

Il moto storico impresso costituì quello che verrà denominato Risorgimento. In cui agirono tanti soggetti. In primo luogo le correnti democratiche e rivoluzionarie, nelle varie tendenze, soprattutto ispirate al pensiero e all’azione di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi (i “democratici”) e le correnti moderate, liberali e monarchiche, soprattutto ispirate al pensiero e all’azione di Camillo Benso conte di Cavour (i “liberali”).

Antonio Gramsci, nel solco del socialismo risorgimentale, in primo luogo di Gaetano Salvemini, nei suoi Quaderni del carcere argomenterà ampiamente che l’Italia uscita dall’Unità presenta varie “questioni”, vari problemi proprio a causa del prevalere dei liberali-moderati sui democratici. Egli in carcere sta studiando e analizzando quali dinamiche, quali processi storici, sociali, culturali e politici, hanno condotto al fascismo e alla sconfitta del movimento operaio.

Per Gramsci, liberali e democratici hanno tenuto fuori i contadini. Il Risorgimento ha investito soprattutto gli strati urbani. La “questione contadina” è profondamente intrecciata alla “questione vaticana”, essendo i contadini classe sociale peculiare, potenzialmente rivoluzionaria (vedi la tragica vicenda della rivolta di Bronte in Sicilia nel 1860 e la dura repressione a opera dei garibaldini di Nino Bixio), ma in realtà manovrata e manovrabile. Sicuramente la più numerosa, ma dispersa, disgregata, incolta, soprattutto analfabeta, e sotto la costante influenza del clero e delle correnti reazionarie. Il sanfedismo e il tragico epilogo della Repubblica partenopea del 1799 e il tragico epilogo della spedizione di Carlo Pisacane e dei patrioti del 1857 sono esempi storici impietosi (si veda il film Allonsafan dei fratelli Taviani e, con diversa impostazione, Quanto è bello lu murire acciso di Ennio Lorenzini).

La questione contadina è un altro aspetto della vera “questione nazionale” del giovane stato unitario. Si tratta della annosa “questione meridionale”, permanente, dal 1861 a oggi. Efficacemente Guido Dorso definirà il processo unitario, l’Unità d’Italia, con la netta formula senza appello di “Piemonte allargato” e di “conquista regia”.

Il rapporto che si configurerà da allora in avanti tra Nord e Sud avrà i caratteri tipici del rapporto Centro-Periferia, Metropoli-Colonie. E “guerra coloniale interna” può essere considerata la guerra contro il cosiddetto brigantaggio meridionale, in realtà disperata rivolta contadina meridionale repressa nel sangue dal giovane stato unitario.

Il centralismo politico e amministrativo, sul modello piemontese del Regno di Sardegna, prevarrà sul federalismo democratico auspicato da nobili figure delle correnti democratiche, da Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari al socialismo risorgimentale. Carlo Levi descriverà molto bene, nella parte centrale di Cristo si è fermato a Eboli, di cosa si trattava. Di contro al lontano e ostile stato centrale, il possibile federalismo democratico a favore dei contadini poveri della Lucania con i quali visse nel suo confino a causa del suo antifascismo.

III.

I caratteri che possiamo anticipare, quale filo conduttore e quali generali chiavi interpretative, da verificare comunque nel corso delle alterne vicende di questa storia unitaria sono:

1. Una “continuità dello Stato”. Malgrado i numerosi, spesso caotici, cambiamenti di governanti e di governi, di regimi politici (unitario monarchico e liberale, crispino, giolittiano, fascista, repubblicano postfascista ecc.). Essendo questa continuità assicurata dal centralismo di cui sopra. Con apparati e funzionari dello Stato, spesso inamovibili, impuniti. La vera e propria “casta”.

2. L’Italia presenta lunghi periodi di stasi sociale e politica, di acquiescenza dal basso, ma con improvvise e violente esplosioni di malcontento, di agitazione rivoluzionaria ecc., di brevi periodi di grande fermento e di grande protagonismo diffuso.

3. Gramsci definirà il fascismo come “sovversivismo delle classi dominanti”. Questa nozione è e sarà valida per il permanere del “segreto”, delle trame occulte, della “strategia della tensione” con il coinvolgimento degli apparati dello Stato di cui sopra (dalla strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, alla strage di Piazza Fontana nel 1969 e alle stragi successive, Brescia, Italicus, Bologna ecc, e prima ancora Gladio, Stay Behind, con la presenza e il condizionamento Usa e Nato ecc., fino a oggi).

Il ricorrere al sovversivismo ogni qual volta i dominanti si sono sentiti minacciati o semplicemente incalzati dalle lotte popolari, dal basso, dal pericolo del prevalere delle sinistre. Anche semplicemente quando si trattò dell’avvio del pallido centrosinistra dei primi anni sessanta, con il Piano Solo, il golpe fallito del generale De Lorenzo del 1964.

4. Connubio mafia-politica. La presenza di organizzazioni della criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta ecc.) non sono fenomeni marginali, bensì sono aspetti strutturali, permanenti. Sono caratteri peculiari della nostra triste realtà italiana. Come “accumulazione feroce e sanguinaria del capitale”, come aspetto del più vasto contesto dell’intreccio politica e affari e delle trame del potere. Essendo fondamentali il controllo e la vasta fenomenologia degli appalti e dei rivoli di spesa pubblica, del denaro pubblico controllato dagli apparati e dai funzionari dello Stato di cui sopra. Altro importante aspetto del suddetto “sovversivismo delle classi dominanti”.

5. In politica si è sottolineato il fenomeno del “trasformismo” come dinamica peculiare italiana, parlamentare e in senso lato della classe politica ecc. Dall’Unità a oggi. In realtà, caratteri permanenti sono rappresentati dal voto di scambio (politica e affari, mafia e politica, clientelismo politico-elettorale ecc.) e il consenso politico ottenuto con le leve della spesa pubblica, dei favori concessi a taluni strati sociali dai quali ottenere voti e consenso elettorale, dei favori concessi agli enormi, elefantiaci, parassitari spesso, strati di lavoro dipendente pubblico, dai managers profumatamente pagati, anche in presenza di evidente gestione fallimentare del loro operato, al pletorico strato dei “dirigenti” ai semplici impiegati e dipendenti.

Fermo restando tuttavia che apparati efficienti e produttivi, anche con numerosi addetti, di amministrazioni statali e locali, della sanità e dell’istruzione sono presenti e svolgono il loro dovere e sono indispensabili per avere un paese socialmente, civilmente ed economicamente avanzato.

6. Il capitalismo italiano, giunto tardi nella rivoluzione industriale e nel suo sviluppo in senso moderno, dopo l’Unità, ha conservato il carattere di “capitalismo assistito”. Con lo Stato che ha assicurato commesse e facilitazioni per il suo normale funzionamento. Detto capitalismo, molto familistico, a guida di grandi famiglie, ha cercato sempre di evitare il cosiddetto “rischio d’impresa” per mezzo del legame con la politica, dell’intreccio politica e affari, del voto di scambio ecc. Da qui la debolezza strutturale del capitalismo italiano. Malgrado la vivacità, l’innovazione, la forza di alcuni suoi settori, nel passato e oggi, dagli imprenditori ai tecnici e soprattutto ai lavoratori coinvolti. Il declino industriale italiano ha qui una delle sue cause.

7. Il vero “compromesso storico” dello stato unitario nei confronti delle classi dominanti. La tassazione privilegiata è stata quella indiretta, con tasse applicate su generi e merci consumate da ricchi e poveri, indiscriminatamente. Non dimentichiamo la vergogna della tassa sul macinato del 1868-1884 prima e quella grottesca, per non dire tragica per la realtà meridionale, sulla capra durante il fascismo. La tassazione diretta sulle ricchezze (patrimoniale o meno) è stata variamente attenuata, se non elusa.

8. La presenza di una così estesa piccola borghesia, a mezzo tra solida borghesia vera e propria e classi subalterne, timorosa di cadere nella condizione delle classi popolari, ha favorito in Italia il vagheggiamento del, se non il ricorrere al, cosiddetto “uomo forte”. In questo influenzando anche ampi strati popolari, alle prese con conflitti, difficoltà, crisi economica, smarrimento culturale e morale ecc.

Crispi, Mussolini, Craxi, Berlusconi, Salvini, in varia misura e pericolosità sociale, sono figure di tale moto irrazionale e passionale di trasferimento subalterno di consenso in presenza di personalità arroganti, più che di personalità esercitanti una autorevole, forte leadership. Renzi rientrerebbe in questa fenomenologia, in questa dinamica, nel suo ambito politico, più di centro-centro che di centro-sinistra.

Ricordiamo qui comunque uno dei caratteri peculiari di sempre della piccola borghesia, semplificato nella locuzione “Forti con i deboli e deboli con i forti”.

La svolta nel capitalismo mondiale degli anni ottanta, e ancor più con la fine del socialismo reale, denominata “epoca del neoliberismo e della nuova globalizzazione-mondializzazione” (in politica, da Margaret Thatcher e Ronald Reagan) ha ulteriormente accentuato questa dinamica. Esecutivi forti, democrazia parlamentare sempre più indebolita e sminuita, leggi elettorali maggioritarie ecc.

Essendo comunque il retroterra sociale di questa svolta la frammentazione del lavoro dipendente, la potente svalorizzazione del lavoro stesso, la flessibilizzazione e la solitudine delle lavoratrici e dei lavoratori.

In Italia da Craxi in avanti questo è il quadro nell’agone politico.

8. Il Sud d’Italia. Mezzo paese lasciato allo sbando, alla “disgregazione sociale e culturale”. Non solo nel rapporto di dipendenza di cui sopra. Ma soprattutto come responsabilità principale dei sedicenti “gruppi dirigenti” dello stesso Sud. Classe politica, l’esiguo strato di borghesia e soprattutto l’ampia e parassitaria “piccola borghesia impiegatizia e professionistica”, sempre antipopolare e anticontadina (Salvemini e Gramsci). Il Sud svuotato e impoverito delle sue migliori energie con l’emigrazione di sempre, dalla fine dell’Ottocento a oggi.

IV.

In questo quadro, la storia politica della sinistra italiana, dai democratici e mazziniani al movimento operaio, socialista e comunista, ai movimenti della società civile e, nei tempi più recenti, ai movimenti della giustizia sociale e della giustizia ambientale, rappresenta sicuramente una parte importante di questo stato-nazione.

L’alto livello morale, culturale e politico, di questa parte del paese tuttavia non è messa a valore. Anche per cause endogene, della sua eccessiva frammentazione e della concorrenza tra le sue componenti e della sua conseguente debolezza, malgrado la consistente presenza nella realtà italiana.

Le “cause esogene” sicuramente sempre presenti. Per l’agire di una borghesia poco illuminata (qualcuno l’ha definita becera) e di classi dominanti particolarmente arroccate a difendere privilegi e status (vedi rapporto Oxfam al Forum Economico Mondiale di Davos 2020, in generale e in particolare riguardo alla distribuzione della ricchezza in Italia).

Privilegi, status, potere “con qualunque mezzo possibile”. Todo modo, evocato da Leonardo Sciascia, e “Io so, ma non ho le prove” negli Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini.

BIBLIOGRAFIA MINIMA

Retroterra storico

Un manuale di storia di grande valore per i licei, oggi fuori catalogo, Bontempelli-Bruni, Storia e coscienza storica, Trevisini Editore, Milano (in tre volumi), nel terzo volume, la storia del Risorgimento italiano, dello stato unitario, del socialismo e del fascismo, della Resistenza e dell’Italia del secondo dopoguerra. Altro manuale scolastico molto sintetico e preciso è Rosario Villari, Storia contemporanea, Laterza (nella solita trilogia).

Una sintesi datata (1968), ma ancora valida, è quella di Giuliano Procacci, Storia degli italiani, Laterza. È un vasto affresco per un pubblico non di specialisti e va dai regni romano-barbarici, e quindi dal medioevo, fino agli anni sessanta del Novecento.

Naturalmente punto di riferimento obbligato è l’opera di Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, in 11 volumi, dalla fine del Settecento agli anni cinquanta del Novecento.

Monografie di approfondimento

Nell’arco temporale considerato, fondamentale è l’approfondimento della storia d’Italia del secondo dopoguerra. Pertanto si indicano due sintesi molto ben fatte, Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi (fino ai primi anni ottanta del Novecento) e Silvio Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana, Marsilio editore (fino ai primi anni novanta).

La letteratura italiana tra Ottocento e Novecento accompagna in modo piacevole ma profondo, con grandi squarci illuminanti, questo cammino. Da I promessi sposi di Manzoni a Ippolito Nievo, a Verga, a Pirandello, a Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e poi Elio Vittorini, Ignazio Silone, Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi, Carlo Levi, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Elsa Morante, Natalia Ginsburg, Luciano Bianciardi ecc. ecc.

E il grande cinema italiano non è da meno, con film di grande valore, estetico e interpretativo. Da Allonsànfan dei fratelli Taviani a Novecento di Bernardo Bertolucci, al grande neorealismo del dopoguerra, alle commedie di ambiente, da Il marchese del Grillo di Mino Monicelli a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri. Solo a titolo di esempio. Ampia, enorme scelta.

Massimo L. Salvadori, Storia d’Italia. Il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Einaudi

Redazione
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