Stat sua cuique dies

Sequel di «Tempus fugit», pubblicato nel volume «Fuga da Mondi Incantati» (*)

un racconto, sin qui inedito, di Francesco Troccoli

Il professor Marco Zavoli gridò a squarciagola nel sonno e si destò massaggiandosi le membra. Si ritrovò in stato confusionale ma non si trattava di quel tipo di annebbiamento che al mattino è accettabile, per non dire fisiologico. Si trattava bensì di uno stato di nauseabondo spaesamento, simile a una sbronza delle peggiori, e per di più, non era affatto la prima volta che gli capitava, negli ultimi giorni.

Poteva davvero chiamarli “giorni”?

Poco prima che aprisse gli occhi aveva sognato un enorme orologio che rideva a crepapelle di sue ineffabili sventure, poi lo afferrava con artigli coperti di scaglie, e faceva di lui un sol boccone. L’orologio, un’alta pendola ottocentesca dal carattere cinico, faceva sfoggio di una lenta masticazione del suo corpo e infine lo ingoiava, davanti a una torma di studenti che ostentavano indifferenza per il suo destino.

Dopo una doccia che non lo svegliò e un caffè che non gli piacque, sedette alla finestra a contemplare il rossore dell’alba, alla vana e inconsapevole ricerca di sensazioni che aveva smarrito da tempo.

Com’era grigia e arida la sua città, quel giorno.

Marco viveva nella stessa casa della gioventù. Un periodo del quale, in effetti, non ricordava poi molto. E non tanto per il tempo trascorso, quanto al contrario per gli ampi frammenti di esso che, in qualche inspiegabile modo, sentiva vuoti, come tasselli mancanti di un puzzle millenario. I lavori per la costruzione del nuovo aeroporto sopraelevato gli toglievano gran parte della vista d’un tempo; il suo sguardo scandagliò le basse nubi che si libravano fra piazza Venezia e il galoppatoio di Villa Borghese, sulla quale esitava sempre a lungo senza sapere il perché. In cielo c’era un andirivieni di velivoli che assemblavano pezzi delle piste d’atterraggio in costruzione a mezz’aria.

L’inerzia di quel grigio mattino fu spezzata da un sibilo cui dovette suo malgrado attribuire natura umana.

-Marco!

Il professore sobbalzò, scattò sull’attenti senza sapere il perché e si lasciò trafiggere da due occhi invecchiati e inaciditi.

In rapida sequenza comprese innanzitutto che l’inspiegabile fenomeno che lo tormentava, e di cui solo in quell’istante rammentò la spaventosa natura, doveva essersi ripetuto, e in secondo luogo che quella donna rozza, informe e pingue, era… sua moglie.

Rammentò il rammentabile, vale a dire le poche informazioni rimaste integre in una memoria perseguitata da un Tempo cinico e frastagliato; era nato cinquantasette anni prima, eppure ne aveva vissuti, complessivamente, poco più di un paio. Tre, forse. A tanto corrispondeva il tempo derivante in concreto dalla somma di eventi a cui era stato realmente presente, giacché soffriva di qualche strana alterazione che lo faceva balzare in avanti nel futuro, e in una maniera tale che ogni volta il salto era più lungo. Quando era giovane si era trattato solo di qualche ora, al massimo un giorno, e in qualche caso non se n’era nemmeno accorto. Poi i giorni erano divenuti settimane, quindi mesi, e alla fine, addirittura anni.

«E’ come se lei stesse seguendo una linea retta che taglia tutte le curve della sua vita; lei vive solo i punti di intersezione ma perde tutti i segmenti intermedi».

Chi diavolo gli aveva riferito quelle parole? Gli sembrava fosse stato un signore elegante e anziano ma non riusciva a ricordare in quale delle epoche precedenti della sua esistenza spezzettata lo avesse incontrato. In realtà non era nemmeno certo che fosse avvenuto. Che assurdità!

La frase rimbalzava da un angolo all’altro della sua scatola cranica come la pallina impazzita di un flipper… Una domanda balenò nella sua testa: esistevano ancora i flipper? E molte altre ne scaturirono: quanto avanti era precipitato stavolta? C’erano i computer, i telefoni cellulari… e le automobili? Con quelle poteva verificare subito: sotto lo sguardo annoiato della donna che gli era apparsa, si affacciò in strada e vide sfrecciare modelli ignoti, con un numero impensabile di pneumatici. Una sportiva a tre ruote quasi si cappottò sulla curva del Gianicolo in cui era entrata a tutta birra, ma si salvò staccandosi dal suolo e procedendo a qualche metro da terra. Ma erano davvero ruote, quelle sfere che aveva visto? Per non parlare degli abiti femminili. Trasparenti persino nelle parti intime.

Be’, ogni tanto andarsene a spasso nel tempo portava anche qualcosa di buono. Ma temette che non sarebbe rimasto in quell’epoca tanto a lungo da riuscire a goderne.

E ancora, chi governava? La sinistra ce l’aveva fatta (in questo non sperava troppo)? Barak Obama era sopravvissuto? E l’Italia era sempre il solito disastro? L’editoria era ancora in crisi? Aveva avuto figli? E soprattutto, il decaffeinato aveva ancora il sapore dell’acqua sporca?

Non era certo di voler conoscere tutte le risposte ma non poteva far a meno di porsi le domande.

– Ccara… moglie mia?- farfugliò in direzione della donna.

– Buongiorno, tesoro!- proruppe lei in risposta con istintiva e genuina sguaiatezza. – Cosa c’è, hai fatto un brutto sogno? Senti bello, io devo uscire. Oggi il semaforo tocca a te. Io sono alla fontana. Avanti, pezzo d’idiota!

Schizzò in piedi rimandando la comprensione a un momento successivo. Era abituato a prender ordini da lei? Sembrava di sì.

La donna uscì. Marco si affacciò e la vide zoppicare sin dal momento in cui varcò il portone. Eppure poco prima gli era parsa più che mai sana. Poi un’auto a tre ruote rallentò e una mano altera e generosa fece tintinnare qualche moneta.

– Devo essere sul lastrico. E sono sposato con una stracciona con cui organizzo truffe e raggiri.- mormorò afflitto.

Fra i pochi ricordi della situazione precedente l’ultimo balzo, riaffiorò l’immagine di un’aula universitaria che accoglieva qualche decina di studenti. Finché era durata, quell’esperienza era stata piacevole, benché Marco non avesse idea di come fosse iniziata; del resto, giunto a questo punto, era evidente che era finita. Il che valeva per qualunque situazione riuscisse a ricordare della sua breve e multiforme esistenza. Come era potuto accadere che uno stimato accademico fosse precipitato in una simile disgrazia? Stavolta, pensò amaramente, doveva esser saltato di almeno otto o nove anni. Se non altro, il suo bell’appartamento aveva attraversato indenne le pieghe del tempo e a quanto poteva vedere era ancora di sua proprietà. O così sperò.

Dopo un’ora qualcuno suonò alla porta, anche se gli ci volle un po’ prima di riconoscere lo squillo del campanello. Dinanzi a lui, sull’uscio, si parò un ometto dallo sguardo saccente e dalla loquela instancabile, per nulla preoccupato di nascondere un accento tedesco. Il suo aspetto gli era familiare.

– Guten morgen, sono il Doktor Andreas Kronos Zeit, e lei è il signor Marco Zavoli. Noi dovremmo conoscerci fra circa… Drei und vierzig jahre. Ventitré anni. Ma questa volta, abbiamo fatto prima. Ha-ha.

Marco sentì che in quelle parole c’era del vero. E ripensò a quella frase sibillina sulle intersezioni e i segmenti intermedi della sua vita. Ecco da chi poteva averla udita!

– Mi lasci entrare, prego.

Sedettero l’uno davanti all’altro. Il dialogo che seguì era destinato ad entrare di diritto nelle cronache del surreale.

– Io so che lei sta, come dire, procedendo a passi sempre più lunghi verso la fine, ehm, del suo cammino.

Dare credito alla vocina stridula che scaturiva dalle labbra sottili poste sotto quel naso puntuto, sormontato da spesse lenti da miope, gli riusciva del tutto naturale; lo lasciò continuare. Qualunque cosa l’uomo intendesse dirgli, Marco sapeva in anticipo che sarebbe stata la verità.

– E so anche che lei, senza rendersene conto, sta rivivendo in circolo una serie di eventi già vissuti. In parte, devo confessarle, la colpa di tutto ciò è mia.

Marco faticò a deglutire.

– Quello che forse lei rammenta, ma solo vagamente, è la causa di tutto ciò.

Le pupille di Marco si dilatarono.

– Tanya. La ragazza di Bucarest.

– La notte… che passaste assieme. Liebesnacht. Zusammen.

Marco mugolò.

– Per via della quale, tutto ebbe inizio.

Marco imprecò.

– Perciò, fra ventitré anni lei verrà da me, per risolvere la situazione, e io la rispedirò indietro nel tempo, prima di quella notte, dandole precise istruzioni su come evitare quella ragazza una volta tornato alla sua giovinezza. Ma alle volte il Tempo è testardo come una mucca tirolese. Ehm, purtroppo il ciclo ricomincerà ancora: lei farà di nuovo l’amore con la sua bella romena e ricomincerà a volare attraverso il tempo, e poi tornerà da me, e così via. La ciclicità rischia di essere infinita. Un tipico caso di cortocircuito spazio-temporale, anche se in quest’epoca nessuno ha ancora scoperto il fenomeno. Per inciso, sarò io a farlo ma soltanto fra cinque anni. Tutto ciò, nel suo caso, è stato determinato da un mio piccolo… errore, di cui preferirei evitare di rivelarle la natura.- disse Andreas arrossendo.

Marco lo fissava impietrito.

– Si starà chiedendo come io possa ricordare tutto ciò, visto che deve ancora avvenire. In effetti, proprio come lei, io non ricordo nulla. Ma a quanto pare, l’ultima volta in cui ci siamo incontrati, io ho trovato il modo di “avvertirmi”. Ja, ja. In altre parole, nel nostro incontro futuro, le ho consegnato, anzi le consegnerò, a differenza delle altre volte, una lettera, nella quale tutto è spiegato, e le fornirò precise istruzioni su come spedirla a me nel ciclo successivo. Nel messaggio identificavo (o, se vuole, identificherò) il presente momento, frutto di equazioni quantistiche, come l’ideale per un incontro anticipato fra noi due. Ja. Vede, io ho ricevuto quella lettera e so che sarei capace di tutto ciò, pertanto ho dato credito a quanto vi era scritto, e ora sono qui da lei, per evitare che questo nostro circolo si ripeta all’infinito. Verstanden, herr Zavoli?

– Da quante volte la storia si sta ripetendo?- domandò Marco con un filo di voce.

– Chi può dirlo, mein freund, chi può dirlo? Molte, probabilmente. Infinite, anzi. Ma questo è un concetto che difficilmente lei potrebbe capire. Io stesso non ho grande simpatia per i paradossi dello spazio-tempo. E in questa storia, mi creda, il Tempo è scardinato alla grande.

– Ma ecco la soluzione, Herr Zavoli!- riprese il Dottore con entusiasmo, -Secondo i miei calcoli, senza procedere in ulteriori, inutili viaggi all’indietro, lei deve incontrare la sua Tanya nel presente. Ma deve farlo immediatamente. Domani stesso! Secondo la congiuntura spazio-temporale, ho calcolato che se lei la incontrerà esattamente domani mattina alle dieci in Strada Traian, nel pieno centro di Bucarest, questo processo si arresterà! Mi creda, questo è il solo modo per chiudere la falla aperta nello spazio-tempo. Se attenderà oltre, il prossimo balzo nel futuro le impedirà il ricongiungimento con la sua dolce metà, e il cortocircuito si protrarrà all’infinito.

– E come farò a sapere di non aver fallito?

– Semplice, Herr Zavoli. Se domani sera il tempo avrà ripreso a scorrere normalmente, lei inizierà a percorrerne il flusso a velocità costante. Und… niente più balzi!

Marco prese nota delle istruzioni: il giorno successivo, alle dieci del mattino, Tanya sarebbe stata a passeggio per la Strada Traian e sarebbe entrata nel negozio di fiori al numero 90. Poi offrì un caffè al Doktor che lo accettò a patto che venisse corretto con del buon schnaps; infine i due si strinsero la mano augurandosi buona fortuna. Secondo i calcoli di Andreas non si sarebbero incontrati mai più, né in quella né in altre vite.

Poiché il fine giustificava i mezzi, la sera stessa Marco utilizzò una delle numerose carte di credito false che trovò disseminate in casa, per prenotare un biglietto nella sola classe di viaggio disponibile; poi si precipitò in aeroporto e volò a Bucarest.

Mentre il sole tramontava sulla sagoma buia dei Carpazi, il Boeing si appoggiava delicatamente sulla pista numero uno dell’aeroporto Coanda.

Dopo una notte insonne trascorsa nell’hotel Vremea, Marco uscì di buon’ora. Per qualche istante ricordò il mattino in cui aveva incontrato Tanya la prima volta, a Villa Borghese. A Bucarest, quel giorno, sembrava ci fossero lo stesso lieve profumo di fiori appena sbocciati e lo stesso timido sole di primavera. Marco pensò che l’amore non conosceva epoche, né frontiere. Svoltò un angolo e finalmente imboccò la Strada Traian, seguendo la numerazione civica, alla ricerca del luogo che gli era stato indicato. Al numero 90, come previsto, trovò una bottega di fioraio. Entrò.

Tanya gli dava le spalle. Si voltò e prima che lui potesse parlarle lo riconobbe e gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte a sé, e poi lo baciò sulle labbra. Non era più la ragazza della sua giovinezza, eppure era sempre affascinante e sensuale come la ricordava.

– Ti ho aspettato per tutta la vita.- gli sussurrò in un orecchio.

Uscirono abbracciati come se il tempo non fosse trascorso. Per Marco questa era in effetti una buona approssimazione della realtà. Si recarono in un bar italiano poco distante e davanti a un buon caffè si raccontarono le loro vite.

Marco rimase sconvolto nell’apprendere che anche a Tanya, da allora, stava capitando la sua stessa disgrazia: dal giorno del loro incontro anche lei continuava a balzare nel tempo, ed era ormai rassegnata all’ineluttabile e sempre più vicino epilogo della propria esistenza. Ma Marco la tranquillizzò, spiegandole che probabilmente tutto ora sarebbe finito. Il solo modo per esserne certi era rimanere insieme e aspettare gli eventi, prospettiva che lui trovava in realtà molto allettante.

Seguirono giorni di pura felicità. Benché fosse un uomo ormai maturo, Marco aveva giocoforza conservato l’energia di quando era un ragazzo e con la mano di Tanya nella sua sperò che il Tempo, che fino ad allora lo aveva così maltrattato, gli stesse finalmente rendendo qualche goccia di giustizia. Tanya lo portò in giro per tutta la Romania, mostrandogliene le bellezze naturali e non passò giorno senza che facessero l’amore. Presero un piccolo chalet in montagna e vi si trasferirono per passare l’estate.

Erano ormai due mesi che non avveniva più alcun balzo. Forse l’inferno era davvero finito per sempre. Leggendo un quotidiano italiano, Marco apprese fra le altre amenità riguardanti il suo Paese che la donna che risultava sua moglie aveva sbancato un nuovo casinò svizzero aperto in territorio vaticano e, tutto sommato, ne fu felice.

Dopo qualche tempo iniziò a sperare che avrebbe vissuto in pace quanto gli restava. Per lui anche pochi anni sarebbero sembrati una meritata eternità.

Al primo mattino di un giorno d’agosto, mentre l’aria fresca dei monti entrava dalla finestra alla fine di una notte indimenticabile, Tanya si alzò dal letto, baciò Marco ancora assopito e si recò in cucina. Preparò un caffè italiano, sedette al tavolo, prese carta e penna e si mise a scrivere.

Egregio Dottor A. K. Zeit

Corso degli Eventi, 1

Roma – Italia

Stimato dottore e carissimo padre mio,

grazie al tuo intervento, è dunque giunto il momento che ho sempre aspettato.

Marco ed io stiamo vivendo una vita felice. Ho mentito, raccontandogli che anch’io avevo il suo stesso problema ma l’ho fatto solo perché non si sentisse troppo diverso da me, e forse per attutire il mio insopprimibile senso di colpa. Per una vita intera ho atteso questo giorno. Il giorno in cui avrei potuto comunicarti che tutto si è risolto.

Ripenso al passato.

Ricordo bene il momento in cui mi convincesti ad aiutarti per organizzare il tuo “esperimento”. Avevi bisogno di una cavia e dicevi che era necessario che fosse un ragazzo onesto e senza troppe preoccupazioni. Un “soggetto emozionalmente puro”, lo avevi chiamato.

Non dimenticherò mai il sorriso di Marco dopo che bevve l’aperitivo nel quale, a Villa Borghese, avevo sciolto la dose di Cronoblastina che mi avevi consegnato con la raccomandazione di fare poi l’amore con lui, perché solo dalla combinazione delle due cose il fenomeno avrebbe avuto inizio.

Chi lo avrebbe mai detto, che l’azione maligna di una sostanza chimica potesse essere innescata dall’amore fra un uomo e una donna? In quel preciso istante iniziai a sentirmi in colpa, oltre a scoprirmi innamorata di lui. Fu la mia colpevolezza a farmi nascere quel sentimento o era il sentimento già nato a causare il senso di colpa? Rispondere, oggi, non ha più alcuna importanza.

Una volta tornata a casa, qui a Bucarest, tu mi rassicurasti che dopo qualche breve balzo tutto sarebbe rientrato nella norma, ma per il mio Marco fu invece l’inferno che sai, e io ho vissuto una vita di tormenti e di angoscia, e per di più, lontano da lui.

Ricordo la tua espressione corrucciata all’idea di dover lasciare Berlino e trasferirti a Roma per far qualcosa per aiutarlo.

Ora finalmente abbiamo posto rimedio al nostro peccato di presunzione, all’onnipotenza che ci ha spinto a tanto. Un brillante scienziato tedesco e la figlia della sua compagna venuta dall’Est, entrambi colpevoli e vittime del proprio cinismo.

Il giorno stesso in cui Marco e io ci siamo rivisti, qui in Romania, ho sciolto nel suo caffè l’antidoto che hai speso la vita a mettere a punto. E come allora abbiamo fatto l’amore poco dopo.

E stavolta, non abbiamo più smesso.

Il cortocircuito spazio-temporale è spezzato per sempre.

E adesso il minimo che possa fare per quest’uomo che amo è fargli dono di tutto ciò che mi è rimasto: me stessa.

Non so, forse un giorno troverò il coraggio di confessargli tutto. Ma se non lo farò sarà solo nel suo interesse: non è forse più giusto che io continui a pagare il mio debito, tenendo per me sola il pesante fardello di questo segreto?

C’è un’ultima cosa che voglio dirti, padre mio.

Non voler essere un dio.

Qualunque cosa facciamo, non riusciremo a riportare in vita la mamma. Né lei, né nessun altro.

Ti prego, smetti di giocare con il Tempo e cerca anche tu di essere felice, come lei avrebbe voluto che tu fossi.

Tanya.

(*) Il titolo significa “A ciascuno è dato il suo giorno” (da Virgilio, “Eneide” X, 467).

Redazione
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