Steele in blues e altri Urania

Piacevolmente avventuroso, mai stupido, sempre ben scritto con molte punte frizzanti: «Galassia nemica» (304 pagine per 4,20 euri) di Allen Steele non passerà alla storia della fantascienza però merita un salto all’edicola. Il protagonista si chiama Jules Truffaut e sapremo poi che il fratello si chiama Jim: ovvio dedurne il titolo del film preferito di chi li ha così battezzati.

L’inizio (anzi l’incipit, per farvi vedere che da piccolo ho studiato) è assai intrigante: «Questa è la storia di come ho redento la razza umana […] Accadde più che altro per un incidente. Almeno, non era una cosa che intendessi fare. Ma così è la vita, a volte». Truffaut non ci deluderà. Anche i riassuntini all’inizio dei capitoli sono sfiziosi. Il traduttore è – ancora una volta – Fabio Femino e le galassie cantino la sua gloria. Ma chi è il capoccione che ha deciso di cambiare il bel titolo «Galaxy blues» – oltretutto con precisi riferimenti al testo – in un asettico e pigro «Galassia nemica»? La quarta di copertina è stereotipata e sciapa. Fossi stato redattore di Urania avrei puntato magari sugli inediti collegamenti, scovati dal ghignante Steele, tra la fantascienza, il baseball e la marijuana.

Breve sintesi. Il nostro Jules, figlio di cinefili e uomo di spazio, passa rapidamente dallo status (ripetooooooo: ho studiato) di clandestino a quello di passeggero e poi disertore, cambia tre nomi e inevitabilmente viene arrestato. Dovrà fare i conti con uno strano «prurito mentale», con il losco Goldstein, con la razza aliena degli Hjadd, con il ponte stellare e più avanti con una pudica fanciulla, con lo gnosh (un amplificatore di emozioni), con un dolcetto dal retrogusto erbaceo, con «sua rana suprema», col buco nero segreto e perfino con una questione teologica.

Salvato l’universo (un po’ anche per suo merito, via) Jules perde con la pudica fanciulla. E simpaticamente ammette che non c’era partita sin dall’inizio. «E’ questo il guaio con le donne: sono più in gamba degli uomini e quindi godono di uno sleale vantaggio. E la cosa peggiore è che lo sanno». Una originale dichiarazione d’amore.

Mi ero ripromesso, qualche martedì fa, di rubare spazio a Kronos per parlarvi di alcuni Urania interessanti e in particolare di «35 miglia a Birmingham» di James Braziel. In un lungo (da maggio a oggi, mica noccioline) e sudato braccio di ferro con Kronos ho perso. Con gli Urania il problema è soprattutto trovarli: sono pochi (e mi pare mal distribuiti) e – a compensare che costano poco e che di solito la qualità è discreta con punte di buono – spariscono dalle edicole entro un mese. Così posso solo invitare a recuperare Braziel sulle bancarelle dell’usato. Accenno rapidamente quattro ragioni.

In primo luogo questo dopo-olocausto (poco fantascientifico) è scritto stra-bene. Tanti libri hanno mescolato i fantasmi della mente con altri “reali” ma Braziel sa farlo come pochi. Terzo pregio (almeno per chi ama la buona musica americana) è la straripante presenza di Billie Holiday e di Nat King Cole nonchè un bell’omaggio a Woody Guthrie (ssl, sempre sia lodato) e alla sua canzone sulla «polmonite della polvere». Infine mentre Braziel ci invita a dubitare che il «Mondo salvo» sia molto migliore di quello devastato e conferma che è inutile cercare i diamanti in Alabama… regala un finale sospeso, fra amore e misteri, che dovrebbe scuotere anche i più corazzati.

Occhio alle date. Secondo Braziel – che ne scrive 30 anni dopo – è «nel 2014-15 che i venti hanno cambiato direzione una volta per tutte, il cielo si è spalancato e ha distrutto ogni forma di vita alle nostre latitudini».

Se zigzagando sulle bancarelle in cerca di Braziel vi imbattete nei libri di Robert Sawyer (qui più volte stra-lodati) ma anche in «Engine City» di Ken Macleod o in «Lazarus» di Alberto Cola fate manbassa. Non ve lo dico perchè sono sovvenzionato da Urania (anzi mi sa che da quelle parti chi mi conosce… mi evita) ma perchè nella relativa penuria di fantascienza comunque la collana mondadoriana resta un buon riferimento.

Per finire in leggerezza segnalo che in «Engine City» potete trovare tre singolari liste delle «pratiche consentite che potreste disapprovare», di «pratiche proibite che potreste approvare» e di «crimini atroci». Nel primo elenco – molto statunitense (anche se Macleod è scozzese) si mettono sullo stesso piano «possedere e portare armi» con «leggere libri in pubblico» e «scrivere ai margini dei libri»… due attività che (rigorosamente disarmato) in effetti pratico e approvo.

 

 

Redazione
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