Sto leggendo un libro (di Pabuda)

sto leggendo un libro molto interessante.

si vede subito, anche dalle pagine: tante.

e per dirne un’altra: è un libro in prestito,

ma mica preso colla tessera annonaria

del razionamento

in una qualsiasi biblioteca del Comune

o del decentramento:

è proprio di una precisa persona,

che conosco io.

che poi mica che gliel’ho “preso”:

io non prendo i libri alla gente:

manco per niente!

difatti, è proprio lei che di testa sua

autonomamente

ha deciso

di affidarmelo per un po’:

il tempo di leggerlo, penso.

me l’ha dato in cambio di niente:

cioè, sì, magari, alla fine,

quando che l’ho letto e tutto quanto,

– già me l’aspetto, dio santo! –

questa bella persona

che mi presta i libri

– cioè: uno me n’ha prestato:

questo qui che fino a poco fa

stavo sfogliando con tanto

interesse –

mi chiederà se m’è piaciuto,

la mia opinione e qualche

commento intelligente.

ma questo non è

un “in cambio”:

è più che altro

un “può darsi di sì,

può darsi di no”:

prima di leggerlo non lo so.

la lettura, oltretutto, per il momento,

è interrotta,

visto che ora sto scrivendo

‘sta roba qua.

ho tutte le buone intenzioni

di questo mondo

riguardo all’interessante libro

ricevuto in affidamento

ma, come si vede,

la vera e propria lettura

è ostacolata

da duemila distrazioni:

carezzare ogni tanto

le pagine sottili,

lisce – se non faccio troppa confusione

nel paragone –

come l’interno delle cosce

della bella amica

che m’ha concesso

di trastullarmi col suo libro.

oppure: annusare la carta e l’inchiostro,

verificare con occhio critico

la fattura e la robustezza

della rilegatura.

ricontrollare, ogni due per tre,

l’immagine

scelta per la copertina:

come temessi di non essermela

stampata

con sufficiente cura nella memoria.

o, viceversa: perchè io

quella foto l’ho già vista da qualche altra parte,

quella faccia l’ho già incontrata…

poi, una volta addentratomi nel contenuto,

basta poco per divagare ancora:

perdendo il segno, perché le pagine sottili

saran anche belle e lisce e via discorrendo

però mi sfuggono dalla dita

in men che non si dica….

come volassero.

allora debbo cercare un segnalibro:

sarà meglio questo?

di bel cartoncino

e di precisa dimensione?

sembra fatto apposta da ficcare tra le pagine

a marcare la posizione…

oppure quest’altro, che – grosso modo –

è della stessa misura ma d’un materiale più nobile

e prezioso?

sembra cuoio lavorato a martellate,

con pazienza artigianale,

però, più probabilmente,  è soltanto

pellaccia artificiale,

inodore prodotto industriale.

infine: proviamo gli occhiali:

questi no, ché non ci vedo manco per caso,

e questi? peggio che andar di notte:

quando rifletto

pigiando il mento sul petto

mi scivolano oltre la punta del naso!

ecco! trovato:

se mantengo questi inforcati

a una certa altezza

e se riesco, senza slogarmi il collo,

a tener la testa inclinata proprio di quei determinati gradi

– e, di conseguenza, il mio mezzo sguardo

in una specifica, perfetta angolazione –

della pagina posso avere almeno

una mezza visione, il resto me lo immagino e,

di solito, ci azzecco.

mah! non so se oggi è proprio il giorno più adatto

per cominciare davvero ‘sto libro… ecco.

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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