Stop all’ecatombe dell’ambiente

Anche a rileggerla a mesi di distanza, la selezione di notizie curata da Alberto Castagnola, rende perfettamente l’idea della tragedia ambientale che incombe sul pianeta. Ci sono naturalmente anche buone notizie…

a cura di Alberto Castagnola (*)

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La furia selettiva di “Matthew”, ennesima ecatombe per Haiti. Nell’autunno scorso Matthew si è abbattuto sulla costa della Florida, l’entità del disastro dell’uragano – categoria oscillante tra 3 e 4 su una scala di 5 -, è stata quella della più violenta tempesta tropicale che abbia investito i Caraibi negli ultimi dieci anni, con venti oltre i 200 chilometri ora. Le stime, ancora parziali, viaggiavano verso il migliaio di vittime, ma al momento delle stime c’erano ancora molte zone, soprattutto nel sud de l paese, dove i soccorritori non erano ancora riusciti a mettere piede. (…) (Il Manifesto, 8 ottobre 2016, pag. 6)

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Oltre mille morti, l’uragano Matthew devasta Haiti, l’arrivo in Florida. (…) Il governo dell’isola ha chiesto aiuto all’Onu, specificando che sono almeno 350mila gli abitanti colpiti dall’uragano che hanno bisogno di aiuto. (…) Il bilancio delle devastazioni provocate da Matthew potrebbe poi essersi ulteriormente aggravato col suo passaggio sulle Bahamas, l’arcipelago situato a nord della regione caraibica, di fronte alle coste della Florida. Giovedì l’uragano lo ha attraversato dopo essere passato su Haiti, Repubblica Dominicana e Giamaica. Matthew ha sfiorato la capitale, Nassau, ma fin qui da queste isole non sono arrivate notizie particolarmente drammatiche. L’unica informazione che è stata fornita riguarda i turisti registrati nell’arcipelago: tutti in salvo. Anche negli Stati Uniti l’impatto di Matthew è stato meno violento del previsto: allagamenti e quasi un milione di abitanti rimasti senza elettricità in Florida, ma, per ora, due sole vittime. L’uragano sta  risalendo lungo la costa degli Usa alla velocità di 12 miglia all’ora, senza colpire direttamente una località I venti che si sono abbattuti sulla costa sono un meno violenti di quelli che hanno colpito Haiti, intorno ai 190 chilometri ora. (,,,) (Corriere della Sera, 8 ottobre 2016, pag. 21, con foto e cartina)

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La resilienza salverà anche l’Amazzonia? Gli scienziati hanno scoperto come rendere la giungla più forte ( e l’aria più pulita). 70% è la percentuale della biodiversità mondiale annoverata dall’Amazzonia. 6,5 milioni di chilometri quadrati è la superficie occupata dall’Amazzonia. Solo tra il 2000 e il 2007 la deforestazione ha cancellato un’area pari alla Grecia. 2,4°/ 6,4° Sta in questo intervallo l’aumento di temperatura atteso nel corso del secolo, secondo l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC) dell’Onu. Reagire, adattarsi al cambiamento. “La resilienza”, ovvero la capacità di resistere ai traumi senza rompersi, anzi diventando più forti, termine nato in metallurgia e poi allargato ad altri campi, psicologia in testa, è ora una parola chiave anche per l’ambiente. Quella dell’Amazzonia è stata misurata, con una simulazione al computer e ricerche sul campo in Ecuador, da un team di ricercatori tedeschi. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ha stabilito che, in uno senario di cambiamenti climatici moderati, un’accorta biodiversità può rigenerare l’80% dell’aria in una ampia zona, nell’arco di poche centinaia di anni. “Sostituendo piante oggi dominanti con altre si può correggere il livello dei cambiamenti climatici”, spiega Boris Sakschewski, che ha guidato la ricerca del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK). La resilienza dell’Amazzonia ci salverà? (Io Donna, 8 ottobre 2016, pag. 80)

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Un mondo a rischio obesità. Se non si ferma la tendenza all’aumento di peso, entro il 2025 il 18% degli uomini e il 21% delle donne sarà a forte rischio. Quarant’anni fa nel mondo c’erano 105 milioni di obesi certificati, che oggi sono diventati 641 milioni! Sono soprattutto gli uomini , rispetto al 1975, a risultare più grassi e, contemporaneamente, s’è ridotta di quasi un terzo la quota di persone che vivono in una condizione di sottopeso. Quindi è più facile incrociare una persona in sovrappeso o obesa, piuttosto che troppo magra. Noi nutrizionisti clinici da anni ci battiamo per combattere l’obesità, specie nei bambini, ma recentemente un lavoro pubblicato dalla Non- Communicable Disease, (NCD) Risk Factor Collaboration, sulla famosa rivista scientifica The Lancet, ci ha messo in allerta sulla bontà dei risultati ottenuti finora e soprattutto per l’allarmante proiezione futura nei prossimi dieci anni. Il gruppo internazionale di esperti ha raccolto, e continua ancora a farlo, i dati di quasi 1700 fra studi di popolazione, indagini e E’ stato calcolato che dal 1975 al 2014 la quota di uomini obesi è più che triplicata e la situazione non è molto migliore nel caso delle donne, tra le quali la percentuale di obesità è due volte e mezzo superiore. L’analisi ha coinvolto un totale di 19,2 milioni di individui di età minima pari a 18 anni, provenienti da 186 diversi paesi. Il parametro valutato nelle analisi è l’indice di massa corporea (BMI), cioè il rapporto fra il proprio peso diviso l’altezza al quadrato). Nonostante i suoi limiti circa la valutazione dell’obesità per ogni singolo individuo, rimane un buon parametro per valutare e studiare la popolazione.In questo caso, il BMI ha permesso di stimare un aumento del peso medio della popolazione mondiale  di 1,5 chili ogni dieci anni. In particolare, nel caso della popolazione maschile, il BMI (corretto in funzione dell’età) è aumentato di 3 punti dal 1975 al 2014; nel caso delle donne, invece, il BMI è aumentato di due punti. Procedendo a questi ritmi, entro il 2025 il 18% degli uomini e il 21% delle donne sarà obeso e quasi il 10% degli uomini e delle donne lo sarà addirittura a livelli gravi. Gli autori fanno notare che negli ultimi 40 anni si è passati da un mondo in cui la prevalenza di popolazione sottopeso era più che doppi rispetto alla popolazione obesa, ad una realtà ribaltata in cui ci sono più persone obese che sottopeso. (…) (SETTE n.41, 14 ottobre 2016, pag. 133)

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Incendi. Il cambiamento climatico ha fatto aumentare l’area vulnerabile agli incendi nell’ovest degli Stati Uniti. Secondo uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) , tra il 1984 e il 2015, è aumentato il rischio di incendi nelle foreste e sono raddoppiati gli ettari bruciati. E’ possibile che il cambiamento climatico contribuisca agli incendi facendo aumentare le temperature e diminuendo l’umidità della vegetazione. I roghi che hanno colpito la California (nella foto l’incendio detto Blue Cut al Cajon Pass) a giugno e a luglio hanno costretto quasi 90 mila persone ad abbandonare le loro case. (Internazionale n. 1175, 14 ottobre 2016, pag.98

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Un riparo per i semi di Aleppo. La banca dei semi agricoli Icarda di Aleppo si sta attrezzando per preservare la sua collezione di 141mila semi , tra cui varietà antiche di piante delle aree aride siriane resistenti al caldo. Metà del patrimonio è già stato messo in sicurezza in un deposito sotterraneo alle Svalbard, in Norvegia, che conserva esemplari di semi da tutto il mondo. Per renderli accessibili agli scienziati, Icarda sta allestendo due succursali in Marocco e in Libano, che potranno ospitare fino a un massimo di 60mila semi. Nel 2015, un gruppo di scienziati di Icarda ha ricevuto il premio Mendel per aver difeso la banca dei semi minacciata dalla guerra in Siria. (Internazionale n. 1175, 14 ottobre 2016 , 97)

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Il passaggio sui Caraibi dell’uragano Matthew. Il 4 ottobre 2016 l’uragano di categoria 4 (sulla scala da 1 a 5 della scala Saffir-Simpson) si è abbattuto sul sudovest di Haiti con una violenza che il paese caraibico non conosceva da più di cinquant’anni. (…) Sempre il 4 ottobre, i dati delle temperature raccolte da Modis a bordo del satellite Aqua rivelavano che alla sommità delle nubi intorno all’uragano c’erano 57 gradi sotto zero. Le nubi molto fredde causano intensa piovosità. Il National Hurricane Center statunitense ha registrato tra i 380 e i 500 millimetri di pioggia sul sud di Haiti e sul sudovest della repubblica Dominicana. (…) per proseguire a nord al largo della Georgia, dove ha provocato diverse alluvioni. Negli Stati Uniti il bilancio delle vittime è di 38 morti. Da quando sono cominciate le misurazioni una cinquantina di anni fa, Matthew è l’uragano atlantico del mese di ottobre che ha mantenuto più a lungo un intensità di categoria 4 o 5. Significa che i suoi venti hanno soffiato ad almeno 200 chilometri orari per più di quattro giorni consecutivi. Una intensità insolita per ottobre, poiché normalmente le temperature dell’acqua del mare sono più basse e non favoriscono la formazione di forti cicloni. Nasa-Cnn (Internazionale n. 1175, 14 ottobre 2016, pag.99, con foto da satellite).

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Non usatelo, può esplodere”. Samsung ritira lo smartphone, un difetto al Galaxy Note 7 fa incendiare la batteria. Il colosso coreano perde l’8% in Borsa. E i danni sono stimati in 19 miliardi di dollari tra mancate vendite, costi del richiamo del modello venduto e crollo in Borsa, mentre sono incalcolabili quelli legati alla mancata anticipazione dell’entrata sul mercato del modello concorrente della Apple. La fonte comprende una storia della grande multinazionale con mezzo milione di dipendenti e una scheda tecnica sulle batterie al litio, il cui surriscaldamento è causa del guasto (Corriere della Sera, 12 ottobre 2016, pag. 14 e 15)

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Lassù la Nasa veglia sulla grande barriera corallina. Un occhio hi-tech monitora dall’alto il fragile ecosistema delle coste australiane. 600.000 chilometri quadrati è l’estensione totale delle barrire coralline. Sono tre le aree in cui si trovano le più estese: i Caraibi, le isole occidentali dell’oceano indiano l’area indopacifica, che è la più ricca di specie di coralli. 109 è il numero di paesi in cui è presente la barriera corallina, ma in almeno 93 è gravemente danneggiata o distrutta. Per tenere sotto controllo la salute della Grande barriera corallina australiana – un ecosistema lungo 2300 chilometri che si estende fino a 300 chilometri dalla cosata – scende in campo persino la Nasa. Grazie a uno speciale spettrometro satellitare, il Prism, gli scienziati sono in grado di fotografare l’acqua da una altitudine di oltre 8000 metri con incredibile precisione: ogni pixel corrisponde a due metri quadri della realtà e riporta fedelmente colori e riflessi del mare. Permettendo di capire se in coralli sul fondale siano ancora vivi o già ricoperti di sabbia e alche: dagli ultimi dati risulta infatti che una porzione che va dal 33 al 50 % della barriera sia significativamente danneggiata a causa dell’aumento della temperatura e dell’acidità dell’acqua, dell’inquinamento e della pesca indiscriminata. Le ricerche saranno presto estese alle Hawaii, alle Isole Marianne e nello Stato-arcipelago di Palau. (Io Donna, 15 ottobre 2016, pag. 40, con foto).

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Il passaggio del tifone Sarika sull’isola di Luzon nelle Filippine, ha costretto più di 12mila persone a lasciare le loro case. Luragano Nicole ha lasciato 27mila persone senza elettricità alle Bermude. (Internazionale n. 1176, 21 ottobre 2016, pag. 106)

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Almeno 25 persone sono morte nelle alluvioni causate dalle forti piogge che hanno colpito il centro del Vietnam. Decine di migliaia di case sono state distrutte. (Internazionale n. 1176, 21 ottobre 2016, pag.106)

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Diecimila rane sono state ritrovate morte nel fiume Coata, vicino al Lago Titicaca, in Perù. Secondo gli esperti, potrebbero essere morte a causa dell’inquinamento . (Internazionale n. 1176, 21 ottobre 2016, pag. 106)

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Gas serra. E’ stato raggiunto a Kigali, in Ruanda, un accordo mondiale per la graduale eliminazione dei gas Hfc. Usati come refrigeranti soprattutto nei frigoriferi e nei condizionatori, gli idrofluorocarburi (Hfc) hanno un effetto serra estremamente potente. L’intesa è un emendamento al protocollo di Montreal, firmato nel 1987, che limitava l’uso industriale dei cloro fluoro carburi (Cfc) per proteggere lo strato di ozono. I paesi industrializzati saranno i primi a ridurre l’uso degli Hfc. Seguiranno poi gli altri, con una transizione che dovrebbe concludersi nel 2047. (Internazionale n.1176, 21 ottobre 2016, pag. 106)

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I segreti del litio. La prima regola per far durare a lungo le batterie al litio è non permettere che la carica si riduca a zero, scrive Grist. La rivista risponde ad un lettore che vorrebbe prolungare la vita del suo computer portatile ed è indeciso se lasciarlo sempre in carica oppure se ricaricare la batteria e poi e poi scollegarlo dalla rete elettrica. Poiché prolungare la vita degli apparecchi elettrici è un modo per renderli più sostenibili per l’ambiente, vale la pena di capire come usare al meglio le batterie. Tutte le batterie al litio tendono a degradarsi nel tempo. E si degradano soprattutto quando si scaricano completamente. Secondo Grist, se si porta la carica allo zero e poi al 100%, si hanno a disposizione tra i 300 e i 500 cicli di ricarica, mentre se si alimenta la batteria quando è solo parzialmente scarica si può arrivare a 4700 cicli di ricarica. Ma la batteria al litio si rovina anche quando è tenuta sempre al 100%. L’ideale sarebbe tenere la batteria carica tra il 40 e l’80%. In altre parole, si dovrebbe lasciare scaricare la batteria al 40%, poi ricaricarla all’80% e ripetere il ciclo. Se è troppo scomodo seguire questa procedure, è meglio lasciare la batteria costantemente in carica piuttosto che lasciarla scaricare del tutto. Un’altra regola da seguire è fare attenzione alla temperatura della batteria. Il calore infatti può danneggiarla. Per questo bisogna fare in modo che le ventole del computer funzionino bene ed evitare l’esposizione ai raggi solari. (Internazionale n. 1176, 21 ottobre 2016, pag. 106)

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Il freddo blocca i geni del sapore. I pomodori conservati in frigorifero perdono sapore perché le temperature sotto i 12 gradi bloccano alcuni enzimi fondamentali. Dopo sette giorni di esposizione al freddo i pomodori perdono il 65% dei composti volatili fondamentali per il gusto e un successivo periodo a temperatura più calda non riporta i composti ai livelli normali. Anche se il contenuto in zuccheri e acidi rimane sostanzialmente immutato, spiega Pnas, il freddo riduce l’attività dei vari geni legati alla sintesi dei composti volatili e alla maturazione dei frutti. (Internazionale n.1176, 21 ottobre 2016, pag. 105).

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I numeri della tubercolosi. La tubercolosi è più diffusa di quanto finora stimato, dichiara l’OMS. Si stima che nel 2015 i nuovi casi nel mondo siano stati 10,4 milioni. Il 60% delle infezioni è concentrato in sei paesi: India, Indonesia, Cina, Nigeria, Pakistan e Sudafrica. Le cifre sono state riviste al rialzo a partire da nuovi dati indiani. Nel paese sono stati registrati 2,8 milioni di casi nel 2015, contro i 2,2 milioni del 2014. I dati non dipendono da un peggioramento della situazione ma da sistemi di indagine migliori. Secondo The Lancet, l’obiettivo di fermare l’epidemia entro il 2030 è ancora raggiungibile. (Internazionale n. 1175, 21 ottobre 2016, pag.105, con grafi e dati )

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La fabbrica fantasma. India, Bengala. uno storico verdetto restituisce ai contadini espropriati i 400 ettari di terre volute dalla multinazionale Tata Motors per costruire la fabbrica che avrebbe dovuto produrre un’auto popolare. La zona di Singur, a quaranta chilometri da Kolkata è  in festa mentre sono già iniziate le restituzioni dei terreni. (Alias – Il Manifesto, 22 ottobre 2016, pag.5)

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Aziende, inizia la grande fuga dalla Co2. L’accordo di Parigi sul clima entra in vigore il 4 novembre 2016. Ora che l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto i due gradi centigradi diventa vincolante, le pressioni dei mercati si rivolgono all’industria, per spingerla a incorporare i nuovi parametri nelle strategie aziendali. BlackRock, ultimo in ordine di tempo, ha ammonito le società quotate a scoprire le carte, con uno studio sul peso delle emissioni di Co2 sui bilanci aziendali. Dopo gli interventi dei grandi fondi pensione, dal Government Pension Fund Global della Norvegia (il più grande fondo sovrano del mondo) al californiano Calpers, – che hanno già deciso di disinvestire dalle società troppo esposte ai combustibili fossili, nel timore che alla lunga si trovino zavorrate da crescenti stranded assets, oggi impossibili da quantificare-, anche  BlackRock invita gli investitori a incorporare i consumi di combustibili fossili e le emissioni delle singole società, in percentuale sulle vendite, nelle valutazioni su cui si basano per le proprie decisioni di acquisto titoli. BlackRock  spezza una lancia a favore  dell’attribuzione di un prezzo condiviso alle emissioni di C02, che sarebbe di grande aiuto per riconoscere meglio i rischi climatici nascosti in un portafoglio azionario. Il prezzo, inoltre, quantifica con precisione il peso della Co2 sulle strategie di business, stimolando la ricerca e lo sviluppo di tecnologie a basso impatto. Già oggi un migliaio di aziende , fra le più grandi società del mondo, includono nei loro conti anche questo dato, ma i prezzi variano enormemente da un settore all’altro, con il risultato di rendere impossibile qualsiasi paragone. I prezzi attribuiti da centinaia di società alla tonnellata di anidride carbonica sono stati resi noto recentemente da uno studio del Carbon Disclosure Project, dai 6,70 dollari della BMW ai 100 dollari della Novartis, passando per i 50 dollari di Statoil, i 40 dollari di ENI, Bp e Shell, i 30 dollari di E-on o i 12,29 di Enel. Black Rock consiglia agli investitori di imporre alle società delle valutazioni più omogenee, per renderle  più trasparenti e mettere meglio in evidenza questi rischi. L’ONU stessa ha fatto rilevare più volte che un prezzo della C02 concordato a livello globale sarebbe di grande aiuto nello sviluppo delle strategie  industriali low carbon. Paradossalmente, le società che si stanno attrezzando meglio di altre  sono proprio alcune compagnie petrolifere,  più consapevoli del rischio vendendo prodotti ad alto contenuto di carbonio. Sei compagnie europee, Eni, BP, Shell, Bg Group, Statoil e Total, hanno preso l’iniziativa di chiedere all’Onu l’attribuzione di un prezzo globale unico alle emissioni di C02, in totale disaccordo con le consorelle americane. (Corriere Economia, 24 ottobre 2016, pag.34)

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Scandalo Vw, il giudice approva il risarcimento da 14,7 miliardi di dollari. (…) Un tribunale federale degli Stati Uniti ha approvato l’accordo tra Volks Wagen e le autorità regolatorie e i proprietari di 475.000 diesel inquinanti, che prevede una transazione record da 14,7 miliardi di dollari. Lo ha reso noto la casa automobilistica tedesca, che procederà al riacquisto dei veicoli a metà novembre. La decisione del giudice distrettuale di San Francisco Charles Breyer è l’ultimo sviluppo dello scandalo scoppiato nel 2015, quando la Volkswagen ha ammesso di aver installato sui propri veicoli un software segreto per manomettere i risultati. In base all’accordo , Volkswagen verserà 10,033 miliardi di dollari per riacquistare i veicoli e risarcire i proprietari, e 4,7 miliardi di dollari per finanziare programmi volti a compensare le emissioni in eccesso. I proprietari di auto VW avranno la possibilità di rivendere la propria vettura al produttore oppure di farle modificare per riportare le emissioni entro i limiti di legge a spese di VW. In entrambi i casi gli acquirenti riceveranno un indennizzo in contanti fino a diecimila dollari. Duro il commento dell’Unione Nazionale Consumatori, secondo cui: ”Ancora una volta italiani ed europei vengono discriminati e snobbati rispetto agli americani e questo solo per colpa di una legislazione meno avanzata, una class action fasulla senza danno punitivo ed un codice del consumo non adeguato a situazioni di questo tipo”. (Corriere della Sera, 26 ottobre 2016, pag.27)

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La disfida dell’olio di palma. La guerra dell’olio di palma continua. Sull’argomento pensavamo di sapere tutto. Demonizzato perché conterrebbe troppi grassi saturi. Incriminato  perché un recente studio dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, aveva segnalato che a temperature elevate può sviluppare sostanze tossiche. E, infine, messo sul banco degli imputati perché la sua produzione intensiva nuoce all’ambiente. L’effetto? Di fronte all’inevitabile paura dei consumatori, molte aziende hanno cominciato a sostituire con altri ingredienti l’olio di palma, utilizzato nelle preparazioni industriali per la sua resistenza all’ossidazione e perché migliora la consistenza e la durata dei cibi. Ora, invece, l’ultimo atto. Scritto proprio da quell’azienda, Ferrero, contro la quale poco più di un anno fa si era scagliata Ségolène Royal, invitando a non mangiare più Nutella (poi, però, il ministro francese dell’Ecologia si era scusata via Twitter). (…) Gli ultimi studi citati al convegno consiglierebbero prudenza prima di continuare la crociata contro l’ingrediente. Lo stesso vice ministro dell’Agricoltura, che è intervenuto ai lavori, ha detto: “Dobbiamo evitare il terrorismo alimentare e la sostituzione dei prodotti ricchi a livello nutrizionale con quelli scadenti nella falsa idea che siano più sani”: E ancora: A oggi, ha spiegato Elena Fattore, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri di Milano – non è stata confermata l’associazione e quindi neanche una correlazione, tra l’assunzione di acidi grassi saturi e un maggior rischio di malattie cardiovascolari. La campagna denigratoria sull’olio di palma, basata sul fatto che quest’olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri olii vegetali, non ha alcun riscontro nell’evidenza scientifica”. Resta valida la regola del buon senso, cioè quella che raccomanda in generale di non assumere più del 10% delle calorie giornaliere in grassi saturi. Non solo. Qualsiasi alimento trasformato può contenere contaminanti di processo – ha ricordato Marco Silano, dell’Istituto Superiore di Sanità – cioè sostanze, quelle di cui ha parlato l’Efsa,  che si formano eventualmente durante la lavorazione”. Insomma, l’olio di palma di per sé – si è detto al convegno – non sarebbe tossico . “Ciò che è importante  è considerare ciascun elemento in una dieta complessivamente equilibrata, e garantire una trasformazione  corretta e sostenibile dell’ingrediente”. Punto sul quale alcune associazioni ambientaliste stanno lavorando. A causa dell’espansione indiscriminata di piantagioni di palma e cellulosa – attacca Chiara Campione di Greenpeace – , l’Indonesia, dal 1990 al 2014, ha perso una superfice di foreste ampia quanto il territorio della Germania. Inoltre, per la coltivazione e la produzione di olio di palma si emette moltissima anidride carbonica. D’altra parte, boicottare un intero settore importante per il Sud Est asiatico è sbagliato”. Come fare perciò? Dal 2013 Greenpeace ha promosso  il Palm Oil Innovations Group, (Poig), a cui hanno aderito marchi e organizzazioni come il Wwf, per provare a spezzare il legame tra la produzione dell’olio, deforestazione e negazione dei diritti dei lavoratori. A Poig nel 2015 ha aderito anche Ferrero, che già segnala di utilizzare soltanto olio certificato Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil) e di rispettare un proprio decalogo. In base alla carta l’azienda garantisce , per esempio, che i suoi fornitori non disboschino foreste , proteggano specie a rischio e rispettino i diritti umani. “Produrre olio sostenibile – conclude Campione – purtroppo non è ancora un trend mondiale . Ma è possibile E questa è la strada da seguire”. (Corriere della Sera, 28 ottobre 2016, pag. 25, con tabelle e grafici)

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Il passaggio del tifone Haima sul nord delle Filippine ha causato la morte di otto persone nella provincia di Cagayan. Decine di migliaia di case sono state danneggiate. Il tifone ha poi provocato danni anche a Hong Kong. (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag. 124)

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Almeno 50 persone sono morte dall’inizio di giugno nelle alluvioni causate dalle forti piogge che hanno colpito il Niger. Circa 120mila persone sono rimaste senza casa. Cinque persone sono morte negli allagamenti nel nordovest di Haiti. (Internazionale n.1177, 28 ottobre 2016, pag.124)

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Il bucero dall’elmo, specie che vive sull’isola del Borneo, in Indonesia, è a rischio di estinzione a causa del bracconaggio. Gli uccelli vengono uccisi per impadronirsi del loro becco color ocra, che è venduto ad un prezzo cinque volte più alto dell’avorio degli elefanti. L’allarme è stato lanciato dall’organizzazione non governativa Traffic. (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag. 124)

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I pochi leopardi della neve. Ogni settimana almeno 4 leopardi delle nevi sono uccisi illegalmente sulle montagna asiatiche. Dal 2008 sono stati uccisi tra i 221 e i 450 esemplari all’anno. La maggior parte per rappresaglia agli attacchi sul bestiame o per prevenirli, e non, come si pensava, dai bracconieri che ne fanno commercio. Si stima che in natura rimangano tra i quattromila e i settemila leopardi delle nevi. Per proteggerli bisognerebbe prima di tutto aiutare gli allevatori. I motivi per cui sono uccisi, in percentuale sul totale: Rappresaglia o prevenzione: 55; commercio illegale: 21; catture accidentali: 18; ragioni sconosciute: 6. (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag.123)

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Aumentano i campi di oppio. Le condizioni meteorologiche favorevoli, il peggioramento del livello di sicurezza e il calo dei fondi internazionali sono le principali cause dell’aumento della produzione di oppio in Afghanistan, che nel 2016 è salita del 43%. Lo afferma l’ultimo rapporto dell’Ufficio dell’Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc)”E un’inversione di rotta preoccupante, il terzo aumento più consistente in vent’anni”, secondo l’Unodc. Il 93% della produzione avviene nelle regioni controllate dai taliban. Non ostante i miliardi di dollari spesi , gli effetti sulla produzione di oppio sono stati minimi e la dipendenza dall’oppio tra gli afghani è aumentata. (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag. 32)

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L’eredità di Fukushima. I costi dello smantellamento dell’impianto nucleare di Fukushima 1, danneggiato dallo tsunami del 2011, saranno molto superiori agli 80 milioni di yen (706mila euro) all’anno previsti per i prossimi trenta anni. Lo afferma un rapporto del ministero dell’economia giapponese pubblicato il 25 ottobre , scrive il Japan Times. Il rapporto ha rivelato che la Tepco, proprietaria dell’impianto e in parte nazionalizzata dopo il disastro, dovrà spendere centinaia di milioni di yen all’anno. Intanto, scrive l’Asahi Shimbun, un azienda subappaltatrice ha ammesso di aver mandato più di cento operai non addestrati a svolgere il lavoro di decontaminazione nella città di Fukushima, raggiunta dalle radiazioni. (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag. 32).

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I temporali sul Lago Vittoria. Con i suoi 70mila chilometri quadrati di superficie, il lago Vittoria è il più grande lago africano. Come sanno bene i 200mila pescatori di Uganda, Kenya e Tanzania, che di notte pescano nelle sue acque, è un lago molto pericoloso. Ogni anno, infatti, molti di loro perdono la vita durante i violenti temporali. I temporali sono causati dalla circolazione atmosferica della zona; di giorno i venti soffiano dalla superfice relativamente fresca del lago verso la terra surriscaldata dal sole. Di notte avviene il contrario, con i venti di terra che convergono sull’acqua. E a questo si aggiungono l’evaporazione dell’ampia superficie e la convezione dell’aria calda nell’atmosfera. Secondo gli studi di Wim Thiery e di un gruppo internazionale di climatologi, il riscaldamento del pianeta aggraverà il fenomeno. Il gruppo ha analizzato le immagini satellitari raccolte ogni 15 minuti tra il 2005 e il 2013, catalogando l’attività temporalesca vicino al lago e concentrandosi soprattutto sull’aspetto e e la posizione di alcune nubi: i cumulonembi a incudine con estese protuberanze verso l’alto, indotte dalle intense correnti ascensionali. Le due cartine mostrano l’attività temporalesca , di giorno e di notte, osservata dai satelliti meteo. I colori più chiari e accesi corrispondono alle zone in cui gli scienziati hanno rilevato più nubi associate a forti temporali. “Di giorno gran parte delle perturbazioni infuria sulla terraferma, ma, soprattutto nel pomeriggio per il brusco aumento d’aria calda. Di notte, i temporali si spostano sul lago”, spiega Thiery. I ricercatori hanno anche simulato al computer il probabile cambiamento della circolazione atmosferica dovuto all’aumento del riscaldamento globale e hanno stimato che le precipitazioni sul lago raddoppieranno rispetto a quelle sulle terre circostanti.. “A causa del possibile aumento di forti temporali, e per la vulnerabilità e l’esposizione crescente dei pescatori dovute alla rapida urbanizzazione delle rive, il lago Vittoria resterà probabilmente la distesa d’acqua più pericolosa del mondo”, ha scritto l’equipe di Thiery su Nature Communications. Nasa (Internazionale n. 1177, 28 ottobre 2016, pag. 125, con due foto da satellite).

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Obama “usa” l’uragano. La Casa Bianca approfitta di “Matthew” per confezionare una legge pro-immigrati. Repubblicani furiosi con Barack Obama per la gestione degli aiuti dopo l’uragano “Matthew”. Non lo criticano per i ritardi, come avvenne, nell’era Bush, per i soccorsi a New Orleans dopo l’uragano “Katrina”. La destra Usa, contraria a ogni sanatoria per gli immigrati clandestini, accusa la Casa Bianca di aver approfittato del disastro meteorologico per confezionare una amnistia per le zone più colpite. In effetti Obama ha fatto rientrare le persone colpite da “Matthew” nelle misure definite di “immigration relief”. Tra esse rientra la concessione di permessi di lavoro per gli immigrati clandestini che non si sono recati alle udienze relative al loro rimpatrio forzato a causa delle avverse condizioni atmosferiche o che, per via del maltempo, non sono riuscite a raccogliere la documentazione necessaria per giustificare la loro permanenza negli Stati Uniti. Cancellata anche la tassache deve essere normalmente versata all’agenzia federale per l’immigrazione (Uscis), se il clandestino ha perso il suo reddito a causa della tempesta. Non è la prima volta che Obama – costretto a governare coi soli poteri esecutivi presidenziali, visto che il Congresso a maggioranza repubblicana l’ha bloccato su tutto il resto – usa anche il maltempo per cercare di aggirare la paralisi legislativa. L’aveva fatto, ad esempio, quattro anni fa a New York e in New Jersey per l’uragano “Sandy”. A volte il presidente ha approfittato anche di calamità avvenute all’estero per giustificare allentamenti di norme che il Congresso si è rifiutato di modificare. Quando, ad esempio, ci fu un devastante terremoto in Ecuador, Obama autorizzò i clandestini di quel paese a restare negli Stati Uniti come misura umanitaria di aiuto al popolo colpito dal sisma. (SETTE n. 43, 28 ottobre 2016, psg.43)

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La spesa senza. Niente zuccheri, grassi, e nemmeno glutine o lattosio. Così un italiano su due cerca “i cibi della rinuncia”. Attratti da ciò che non c’è. Tra gli scaffali dei supermercati non cerchiamo più i prodotti che hanno qualcosa in più, ma quelli “senza”. Niente grassi o zuccheri, niente sale o glutine, niente lattosio o ogm. Un mercato che nei primi sei mesi del 2016 hha sfiorato i due miliari di euro, (+5,7%) secondo l’ultimo rapporto Coop. Tre volte tanto quanto abbiamo speso (670milioni) per acquistare invece prodotti con”, come probiotici e pro vitaminici.(…) (Il testo integrale, con tabelle e grafici, sul Corriere della Sera, 29 ottobre 2016, pag.22-23)

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Un Eden in Antartide. Nasce il parco marino più grande del mondo, unico sistema ancora incontaminato, è un santuario per le balene e i pinguini. La più grande riserva marina del mondo nascerà a dicembre 2017 in Antartide, in acque internazionali. Dopo cinque anni di promesse, compromessi e trattative fallite, l’Unione Europea e i 24 paesi che formano la Commissione per la conservazione delle risorse marine viventi dell’Antartide hanno finalmente raggiunto ieri in Australia uno storico accordo: il “parco” si estenderà su una super ficie di 1,55 milioni di chilometri quadrati nel Mare di Ross, di cui1,1 milioni (pari a Francia e Spagna messe insieme) saranno “zona di protezione generale” con divieto assoluto di pesca. La riserva avrà però una “scadenza”: cedendo alle pressioni di Russia e Cina, le parti hanno convenuto che il trattato durerà 35 anni e non 50 come inizialmente chiesto da Stati Uniti e Nuova Zelanda. Le profonde acque del mare di Ross , su cui si affaccia anche la base italiana ”Mario Zucchelli”, a Baia Terra Nova, sono per gli scienziati l’ultimo ecosistema marino ancora incontaminato del pianeta. Un laboratorio a cielo aperto per studiare i cambiamenti climatici e la vita in questo ambiente estremo, ma anche un santuario per balene e pinguini-qui vive un terzo della popolazione dei pinguini Adelia -, e il più prezioso deposito al mondo di nutrienti e di krill, l’insieme dei piccoli organismi invertebrati che compongono lo zooplancton, il cibo primario di mante, balene, pesci, uccelli acquatici. L’ecosistema globale degli oceani, insomma, dipende moltissimo dal benessere di quest’ultima frontiera. (…) (Il testo completo sul Corriere della Sera, 29 ottobre 2016, pag. 19).

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Elettricità. Il grande freddo finirà nella nostra bolletta. Sarà un autunno caldo per le bollette elettriche. Da due settimane il prezzo all’ingrosso del megawattora in Borsa elettrica è schizzato dai 45 euro di inizio ottobre ai 55-60 euro della seconda metà del mese, fino a un picco di 70 euro raggiunto il 25 ottobre: un livello del tutto anomalo rispetto alle medie stagionali degli ultimi anni. La spiegazione stavolta non va cercata nel caro-greggio, ma nel fatto che la Francia ha dovuto fermare – in parte per normale manutenzione e in parte per controlli straordinari – oltre un terzo del suo parco nucleare: 21 reattori su 58. Per l’Italia, che importa 40 terawattora all’anno di energia elettrica da Oltralpe, (su una domanda complessiva di 335 terawattora nel 2015) , questo blocco rappresenta un problema non da poco. Importazioni. “In Francia sei centrali  nucleari lavorano solo per dare energia ellettrica a noi italiani – spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia – Il nostro prezzo dell’energia, quindi, è legato alle loro condizioni di mercato”. Un mercato molto tirato,  in caso di fermo prolungato proprio quando l’accensione dei riscaldamenti in Francia, in buona parte elettrici, fa schizzare in alto la domanda.  fa schizzare  in alto la domanda. Il prezzo all0’ingrosso francese, è già più alto del nostro e tenderà ad aumentare ancora, spingendo i rincari a cascata in tutti i paesi che dipendono dalle importazioni per mantenere i prezzi bassi.: Italia, Belgio, Gran Bretagna e Spagna.  “Una situazione molto preoccupante, soprattutto in prospettiva, visto che i problemi emersi sulla tenuta dei reattori francesi possono solo aumentare con l’età”, precisa Tabarelli.  I fermi attuali dipendono dalla scoperta , nella nuova centrale Epr in costruzione  a  Flamanville, di un eccesso di carbonio nella composizione dell’acciaio del guscio del reattore, che potrebbe quindi essere più fragile di quanto previsto dai severi standard di sicurezza francesi. In seguito a questa scoperta, l’Autorité de Suretè Nucléaire ha imposto una rapida verifica su 18 impianti potenzialmente interessati allo stesso rischio e il blocco immediato di cinque di essi. Di conseguenza, Edf, (maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia) ha comunicato che la produzione elettrica nucleare quest’anno scenderà dai 408 terawattora programmati a 390, con tutto il calo concentrato nell’ultimo trimestre dell’anno. Cantieri. Questo blocco potrebbe costarci oltre un miliardo di euro, calcolando un aumento medio di 20 euro a megawattora spalmato su un trimestre. Senza contare le ripercussioni più vaste nel caso si trovassero davvero i difetti strutturali alle centrali controllate. Ma a preoccupare è la progressiva  obsolescenza del nucleare francese, composto da cinquantotto reattori che soddisfano il 76% della domanda elettrica nazionale, caso unico al mondo di dipendenza da una sola tecnologia. Ben 42 di questi reattori hanno trent’anni o più, con un paio che sfiorano i 40. Il governo ha deciso di allungare loro la vita fino a cinquanta anni, con una spesa di almeno 55 miliardi di euro per il decennio a venire. Il parco nucleare francese è quindi destinato a diventare un immenso cantiere. “Data la quantità di energia elettrica che l’Italia importa da Oltralpe, il problema del futuro energetico della Francia è anche nostro”, commenta Tabarelli. Non si vedono svolte almeno fino a metà gennaio, in base al calendario dei controlli straordinari pubblicato da Edf: il peso nelle nostre tasche si sentirà a partire dalla prossima revisione del prezzo in bolletta. Ma si tratta anche di un campanello di allarme sulla sicurezza del sistema elettrico nazionale. L’Italia, infatti, è un caso unico in Europa per la quantità di energia elettrica che importa dall’estero, il 15% del suo fabbisogno , “Un retaggio degli anni Ottanta, quando fu deciso con il referendum di spegnere le centrali nucleari che avevamo appena costruito”, rileva Tabanelli. Da allora, i prezzi dell’energia all’estero sono sempre stati molto più bassi dei nostri, così questo modello, partito come una soluzione d’emergenza si è perpetuato nel tempo. Nel frattempo, il parco elettrico italiano si è arricchito di centrali a gas  e poi di impianti di generazione da fonti rinnovabili, ma il prezzo interno continua a rimanere alto, per cui si tende a preferire l’importazione dall’estero dell’elettricità piuttosto che della materia prima , il gas, molto più cara, anche a costo di mantenere spente le centrali appena costruite. A scapito della sicurezza elettrica del paese. (CorriereEconomia, 31 ottobre 2016, pag. 37, con lista paesi produttori e bilancio energetico italiano e altro testo sulla geotermia).

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Energia: Addio petrolio, è (finalmente ) l’ora del sorpasso. La conservatrice Iea rialza le previsioni : “Effetto Parigi”. Il progresso tecnologico e i costi sempre più competitivi, anche per il solare. Il boom di eolico e fotovoltaico: nel 2040 il 60% dell’elettricità sarà pulita. (…) La crescita della domanda elettrica mondiale registrata l’anno scorso è stata interamente soddisfatta dalla nuova capacità da rinnovabili, che ha consentito in cinque anni di aumentare di un terzo la produzione. Nel frattempo, i costi continuano a calare. Nel 2015, a parità di investimenti, si è installato il 40% in più di potenza rispetto al 2011, ottenendo il 33% in più di produzione aggiuntiva. All’origine del boom c’è l’evoluzione tecnologica, che permette alle rinnovabili di diventare sempre più competitive. Per Bloomberg New Energy Finance, (Bnef), ad esempio, una delle chiavi di sviluppo del settore è l’impiego delle batterie, che nei prossimi 25 anni farà crescere in Europa del 400% l’energia auto prodotta, grazie alla diffusione in molte abitazioni del fotovoltaico abbinato agli accumuli. (…) (Corriere Eonomia, 31 ottobre 2016, pag. 34, con altre previsioni e tabelle).

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La forza del vento raddoppia in cinque anni. Spinge la Cina e la Germania. Vento in poppa per l’eolico mondiale. Mentre le pale italiane arrancano, la potenza eolica globale potrebbe triplicare entro il 2030, dai 433 gigawatt di fine 2015 almeno a 1260 gigawatt. Ma si intravede anche la possibilità di superare quota 2000 gigawatt, nel caso la comunità mondiale decidesse di impegnarsi seriamente sui target climatici e le politiche nazionali fossero fortemente orientate in questa direzione. In ogni modo l’eolico al 2030 soddisferà almeno l’11% della domanda elettrica mondiale, in base all’ultimo rapporto del Global Wind Energy Cuncil, dal 4,7 %attuale. Un bel salto anche nell’ipotesi minimale. Già oggi, del resto, il vento corre. Per la World wind energy association quest’anno la potenza eolica globale crescerà di circa 65gigawatt, per toccare, a fine anno, quota 500 gigawatt, il che equivale ad un raddoppio dell’installato in poco meno di cinque anni (+16,1% su base annuale). Risulta dunque pienamente realistica la previsione di triplicare la capacità nei prossimi 14 anni, delineata dal Gwec. Negli ultimi 24 mesi i mercati che hanno registrato la crescita maggiore sono il Brasile (+106%), la Cina (+60%), la Turchia (50%) e la Polonia (42%). Nella prima metà del 2016 ben quattro paesi hanno installato più di un gigawatt: la Cina (10gigawatt di nuova potenza), che ormai è al primo posto nella graduatoria mondiale del vento, l’India (quarto posto), e la Germania terzo posto dopo gli Stati Uniti), con 2,4 gigawatt e il Brasile, che ha superato l’Italia, piazzandosi al nono posto con 1,1 gigawatt in più. L’Italia scende così al decimo posto su scala mondiale. La crescita dell’eolico mondiale è basata sul calo dei costi di generazione, che continua grazie alla crescente efficienza delle turbine. In uno studio coordinato dai Berkeley Labs, i stima che i costi dell’energia eolica caleranno del 24-30% al 2030 e del 35-41 per cento al 2050, rispetto  ai livelli del 2014, nelle tre diverse applicazioni: sulla terraferma, offshore su fondamenta fisse e offshore galleggiante. L’eolico sulla terraferma, in termini assoluti, rimarrà il più economico, arrivando a un costo medio di circa 50 dollari per megawattora  generato nel 2050. Ma è nelle installazioni offshore che si vedrà la discesa più marcata nei costi di generazione, da oltre 150 dollari al megawattora nel 2014 a circa 100 dollari al megawattora nel 2050, senza grandi differenze fra parchi marini  con fondamenta fisse o galleggianti. Tra le tendenze più marcate  previste per i prossimi anni c’è il gigantismo delle turbine: il tipico parco offshore nel 2030 utilizzerà macchine da ben 11 megawatt di potenza, con la navicella posta a 125 metri dal livello del mare. Sulla terraferma, invece, la tipica pala eolica avrà una potenza poco superiore a tre megawatt e sarà alta 115 metri. L’obiettivo è realizzare turbine più efficienti , aumentando il loro fattore di capacità, cioè il numero di ore effettive di funzionamento. Già oggi, l’efficienza aumenta con le dimensioni: passare da 70 a 170 metri significa incrementare il rendimento medio del 35% circa. (Corrierecomia , 31 ottobre 2016, pag. 35, con tabella)

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Inceneritori, otto nuovi impianti: l’ambiente divide in due gli italiani. Lo “Sblocca Italia”, il decreto di fine 2014, li considera strategici per il Paese, mentre l’Europa spinge per la raccolta differenziata. (Corriereconomia, 31 ottobre 2016, pag. 16, risultati di un sondaggio)

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Traguardi globali, la Cina investe cento miliardi nella lotta per i nuovi poveri. Tra i meriti unanimemente riconosciuti al governo di Pechino c’è quello di aver fatto uscire in trent’anni 700 milioni di persone dalla “povertà assoluta”. La Cina è il paese che ha meglio sfruttato i vantaggi del mercato globalizzato e infatti in questa fase di ripensamento e critica feroce del fenomeno che , che percorre l’Occidente e lo scuote, il presidente XiJinping guida il fronte di una “riglobalizzazione” più sostenibile. Ma se questi grandi numeri vengono citati come esempio virtuoso nei rapporti statistici delle grandi organizzazioni internazionali, dall’Onu alla Banca Mondiale, un Libro Bianco appena pubblicato a Pechino ha suonato l’allarme per il futuro: ci sono ancora almeno 55,7 milioni di persone che sopravvivono con 2300 yuan all’anno, un dollaro al giorno. La statistica governativa è probabilmente inferiore alla realtà, perché la linea della povertà insostenibile secondo la World Bank è di 1,25 dollari al giorno e si calcola che con questo criterio sarebbero più di 70 milioni i cinesi in pericolo: anche a Pechino qualche volta si parla di 70 milioni di indigenti, citati ad esempio nel Piano quinquennale 2016-2020, con l’obiettivo di riscattarli. Ad aggravare il problema però c’è la circostanza che questa massa di disperati, equivalenti all’intera popolazione italiana, è dispersa in località remote, troppo lontane dai percorsi di industrializzazione. Il Libro Bianco ha individuato 832 aree ad altissima concentrazione di poveri assoluti, zone spesso colpite da calamità naturali dove non sembra possibile portare lo sviluppo. (…) Ma anche il fenomeno degli operai migranti, che ha costruito il boom economico cinese e ha fatto crescere una classe media di consumatori (acquirenti di una montagna di prodotti occidentali) ha un retroscena tragico: ci sono 61 milioni di bambini e ragazzi sotto i 17 anni rimasti nei villaggi senza la cura di un genitore. Troppo spesso chi trova lavoro in città non si può permettere di portare i figli con sé: gli affitti sono troppo cari e ci si accontenta di stanze di 10 metri quadrati: e poi senza lo hukou, il permesso di residenza urbana, non si ha diritto a niente, ne alla scuola ne all’assistenza sanitaria. Sessantuno milioni significa un quinto dei figli minorenni della Cina. Li chiamano liushou, che vuol dire “lasciati indietro”. Un terzo di loro hanno la fortuna di essere seguiti dai nonni, l’11% dai vicini del villaggio o altri parenti. Ma almeno due milioni di bambini vengono semplicemente abbandonati in casupole dove non c‘è un adulto. Non sono tecnicamente poveri, perché i genitori mandano a casa dei soldi con regolarità, ma sono soli. Il 75% secondo i sondaggi governativi vede i genitori appena una volta all’anno, per il Capodanno lunare, quando tutti tornano a casa in Cina. Venti milioni di liushou soffrono di depressione acuta. (…) Il governo ha costituito un fondo speciale dia cento miliardi di yuan, per sradicare la povertà estrema entro il 2020. E per soccorrere i bambini liushou ha stanziato 14 miliardi di yuan per costruire alloggi per trecentomila insegnanti nelle zone più disagiate. Ci sono piani per spostare  due milioni e mezzo di persone dalle aree giudicate senza speranza di riscatto. Misure mirate, assicurano a Pechino. (Corriereconomia, 31 ottobre 2016, pag.14, con tabella e foto)

SCHEDE PRECEDENTI

(*) ripreso, con la foto da «Comune Info»

 

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