Storie di nuovi migranti – 2 (e fine)

I giovani italiani nel mondo: un’inchiesta di Murat Cinar (*)

Il rapporto Istat 2014 afferma che, negli ultimi cinque anni, quasi 100mila giovani, per l’esattezza 94mila, hanno scelto di emigrare. Alcuni

 

li conosco anch’io. Persone con le quali ho condiviso una parte del mio percorso o che hanno incrociato il mio cammino, con le quali ho condiviso momenti felici, tristi, lavorativi e legati a un senso di appartenenza politica. Sarà per questo, oppure perché ho provato anch’io, sulla mia pelle, l’idea di abbandonare un Paese e con esso tutti gli affetti, che sono qui a parlare di loro in questo secondo articolo.

Un vecchietto berbero che ho conosciuto in terra piemontese durante un incontro pubblico sulla Tav e sull’immigrazione spiegò: «Si dice in continuazione che se non realizziamo la Tav perdiamo una grande occasione, ma non ci si rende conto che l’Italia sta perdendo i suoi migliori figli ogni giorno a causa di queste politiche che sprecano le energie e le risorse del Paese».

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Alessandra, laurea specialistica in Architettura, prova a lavorare per un anno facendo un tirocinio, senza contratto e con pagamento “in nero”. Nel 2013 decide di partire per la Cina. Adesso lavora nel suo ambito dopo aver trovato lavoro rispondendo ad un annuncio su internet. Nonostante le difficoltà iniziali, Alessandra parla di quella che sta vivendo come di un’esperienza affascinante: «Dal punto di vista contrattuale, finanziario e dell’esperienza, sia professionale che personale, la mia scelta è risultata più ricca di quanto avrei mai immaginato». Alessandra non pensa di tornare in Italia per il momento.

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Un’altra persona che ha scelto di andare in Estremo Oriente è Nunzio. Dopo aver finito il master proprio in Cina, ha trascorso un annetto facendo tirocini fra Cina, Italia e Germania. Immaginando che avrebbe trovato più occasioni lavorative nella terra del Tai Chi nel 2011 ha deciso di trasferirsi lì. Ora insegna part-time la lingua italiana, per mantenersi durante il dottorato in Social Policy e guadagna ben più di quanto gli sarebbe possibile fare in Italia. Nunzio non fa programmi a breve termine sul suo rientro in Patria: «Non saprei, sicuramente non nel futuro prossimo. Vedo poche prospettive di impiego al momento in Italia».

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Luisa ha lasciato l’Italia nel 2003 ed è andata direttamente a Londra. Dopo la laurea specialistica in Architettura ha provato a lavorare nel suo settore, ma troppo spesso si trattava di prestazioni gratuite o senza contratto e non adeguatamente retribuite. Quindi «per la lingua, per il suo aspetto multiculturale, per le opportunità lavorative impensabili in Italia e per il fatto che in Nord Europa il lavoro viene retribuito correttamente in base al livello di conoscenza ed esperienza» ha deciso di atterrare nel Paese di Ken Loach. Per i primi tempi ha lavorato come cameriera in alcuni hotel e in un pub. Per poco tempo però, perché dal 2004 lavora nel suo settore. Intanto ha seguito un master in interior design. Luisa trova frenetica la vita di Londra e nonostante questo per il momento non pensa di ritornare in Italia, perché la vita di Londra le permette di vivere indipendentemente dalla sua famiglia, di pagare un affitto e risparmiare; le opportunità lavorative sono molto più ampie e riesce a lavorare su progetti molto grandi e interessanti sia in Inghilterra che all’estero. E’ felice di vivere fuori d’Italia anche perché questo le ha dato la possibilità di diventare bilingue.

 

Maria, dopo il Master in interpretariato in Italia, ha provato a lavorare nel proprio settore, ma ha trovato solo lavori che non avevano a che vedere con le sue competenze e che non erano abbastanza stimolanti. Per questo, con la voglia di rimettersi in gioco, con qualche piccola esperienza universitaria effettuata all’estero e con lo scopo di migliorare le lingue da lei studiate nel corso degli anni, è partita, nel 2009, per Berlino. Maria definisce faticosa, ma stimolante la propria esperienza: «La ricerca della casa, del lavoro… tutto è successo in modo abbastanza naturale e rapido secondo la mia esperienza. Berlino è una città viva e all’avanguardia, anche se purtroppo sta un po’ cambiando negli ultimi anni». Maria all’inizio pensava di ritornare in Italia prima o poi, ma sembra aver cambiato idea, almeno per il momento: se non a Berlino, le piacerebbe cambiare destinazione, fare nuove esperienze e, perché no, imparare una nuova lingua! «Viaggiare, uscire dal proprio Paese di origine, apre la mente, è un’esperienza che consiglio a tutti».

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Lorenzo dopo aver finito la specialistica in Italia ha lavorato per 4 anni nel suo campo. L’ultimo impiego persino con un contratto a tempo indeterminato. Pur non avendo mai pianificato di andare a vivere all’estero, Lorenzo ora vive in Irlanda. Per un’occasione di crescita migliore, per guadagnare di più, per il suo amore per quell’isola verdeggiante, per il desiderio di mettersi alla prova e di uscire dalla sua “comfort zone” personale e professionale e perché aveva raggiunto “il limite di sopportazione per l’Italia e per le sue vicende”. «Sapere che le mie tasse foraggiavano la classe politica di cui ben conosciamo le gesta, avere quotidianamente a che fare con inciviltà, disorganizzazione, servizi inefficienti, clientelismo, gerontocrazia… A un certo punto, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era andarmene. Se a questo aggiungiamo il clima generale da “moriremo tutti” legato alla devastante crisi economica e del lavoro, la scelta è stata quasi obbligata». Così spedisce un curriculum inviato per candidarsi a una posizione lavorativa aperta e inerente alle sue caratteristiche e nell’arco di un mese aveva già firmato il contratto a tempo indeterminato. Lorenzo è molto soddisfatto della propria esperienza e quando gli domando se ha idea di ritornare in Italia, mi risponde: «Non escludo che, in vecchiaia, mi verrà voglia di “tornare al Paese”. Ora come ora però non ho nessuna intenzione di tornare indietro: la mia vita è qui ed è decisamente più serena di quella che avevo in Italia. Non so se mi fermerò in Irlanda o se, in futuro, mi sposterò, magari negli Stati Uniti, ma, per il momento, intendo vedere l’Italia solo come meta turistica».

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Elena, dopo una laurea specialistica in Antropologia Culturale ed Etnologia, con qualche supplenza a scuola via via sempre più breve e saltuaria, aveva difficoltà a mantenersi. «Professionalmente poi, lavorare così è denigrante, non consente di crescere come si vorrebbe. Non sono riuscita a trovare un altro lavoro adeguato. Spesso sono stata scartata ai colloqui perché sono laureata, conosco le lingue e ho esperienze all’estero o perché si ricercava personale ancora più giovane. Ho deciso di partire per cercare nuove opportunità, una chance che in Italia non sembra esserci più da tempo». Così, attraverso un programma di vacanza-lavoro, nel 2012 è partita per il Canada. L’esperienza nelle periferie di Toronto è stata dura per Elena. Il freddo, la lingua un po’ arrugginita, la geografia urbana ben diversa da quella europea. Dopo un periodo di disorientamento ha scoperto che aveva fatto una scelta eccitante, proprio perché stava mettendosi alla prova, sfidando se stessa e quel senso di inutilità che in Italia la affliggeva. «Il fatto di avere qui in Canada dei familiari, mi ha aiutato a non sentirmi sola a livello affettivo, anche se la mancanza della famiglia e degli amici te la porti dietro dall’inizio alla fine». Per Elena l’unico grande problema è ottenere i documenti per rimanere e lavorare perché è difficilissimo, oneroso e stressante. Lei definisce paradossale questa situazione perché in Italia si hanno i documenti per lavorare ma non si trova lavoro. In Canada ci sono molte offerte di lavoro ma se non hai i documenti non le puoi prendere in considerazione. Elena vuole lasciare una porta aperta sul suo ritorno in Patria: qui non riesce a vedere un futuro, ma la situazione incerta che ha con i documenti, senz’altro, potrebbe spingerla a rimpatriare anzitempo.

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Alberto vive a Barcellona e sta seguendo un dottorando in Storia contemporanea. Si trova in Catalogna a seguire gli studi grazie a una borsa lavoro che è sempre in calo. Abituarsi ai ritmi frenetici e dispersivi di Barcellona non è stato facile per lui che tuttavia è contento di trovarsi lì, perché ha avuto opportunità professionali che in Italia non sarebbe stato così scontato trovare. «Problemi spesso etichettati come “tipicamente italiani” (ostracismo sul lavoro contro i giovani, scarsa dinamicità etc.) sono senz’altro meno presenti qui, ma non del tutto assenti». Alberto non riesce a dare una risposta alla domanda sull’eventuale rientro definitivo in Italia. Si sente legato alle sue radici familiari e sociali nel suo Paese d’origine. Per motivi professionali e affettivi, che si è creato nel tempo, tornare sarebbe un salto nel buio.

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Quando ho intervistato Francesco si trovava a Berlino. Attualmente vive in Inghilterra. Dopo aver finito anche lui la Specialistica ha fatto un anno di servizio civile nella città in cui viveva, poi ha iniziato a lavorare come libero professionista, anche in diverse parti del mondo. Nel 2010 anche per restare vicino alla sua “dolce metà” si è trasferito a Berlino. Poi entrambi hanno scelto l’Inghilterra, per via delle opportunità lavorative che sembrava offrire. Francesco ha trovato tutti i lavori tramite internet, contatti, conferenze ed eventi di settore. Definisce estremamente positiva, per quanto dura, la propria esperienza. Nel Belpaese tornerà «prima o poi…».

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Federica è partita per il Paese dello Zio Sam nel 2013. Laurea magistrale in Scienze Politiche, lavori a tempo determinato, contratti a progetto e tirocini (sia retribuiti che non retribuiti) e, ad un certo punto, vince il Master dei Talenti e vola verso New York. Federica pensa che sia stata la scelta giusta dal punto di vista professionale, per la propria formazione e per migliorare la conoscenza della lingua. Inoltre, negli ultimi anni, ha avuto estrema difficoltà a trovare un lavoro accettabile in Italia: fare le valigie e partire non poteva che essere la sua scelta. In Italia per mantenersi Federica ha lavorato come commessa in libreria, promoter, hostess e cameriera. Per la prima volta ha un lavoro nel suo settore, con uno stipendio che le permette di essere completamente indipendente. Sul suo possibile ritorno nello Stivale, Federica afferma: «Non ne sono sicura. Per il momento fare piani a lungo termine non è la cosa che mi stia riuscendo meglio. Sicuramente a un certo punto mi piacerebbe tornare in Italia, per una lunga serie di motivi: amo il mio Paese, mi manca e vorrei poter tornare per fare la mia parte contribuendo davvero a migliorarlo. Ma non tornerei a ogni costo, e, sicuramente, non per ritrovarmi nella stessa desolante situazione di prima. Credo che la mia risposta sia: spero di sì, ma non nell’immediato futuro».

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Diego invece ha deciso di lasciare il proprio lavoro autonomo, che ha portato avanti per 10 anni. Dopo aver conosciuto la sua attuale fidanzata ha deciso di sposarsi ed andare a vivere nel Paese di origine di lei, l’Ecuador. Diego valuta questa come una naturale tappa della propria vita e ha le idee ben chiare sul suo ritorno in Italia: «Massimo 2 volte all’anno!».

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Da poco si sono tenute le elezioni per il Parlamento Europeo. Il voto italiano ha un profilo confuso: tra un forte bisogno di speranza, che vale 80€ in busta, e un netto rifiuto delle politiche di austerità che ogni giorno che passa mette nuovi Paesi nella ragnatela della povertà. Intanto, qualcuno, un gruppo di centomila persone, ha deciso di non fare la fine della mosca.

(*) La prima puntata era in blog ieri. I due testi erano usciti nel giugno 2014 su «Prospettive altre» (http://www.prospettivealtre.info/2014/06/storie-di-nuovi-migranti-i-giovani-italiani-nel-mondo-parte-1) con una piccola presentazione dell’autore. Eccola.  Murat Cinar nasce nel 1981 a Istanbul, frutto dell’amore di una coppia immigrata nella ex città ottomana, lei da Sebastia (Turchia) lui da Batum (Georgia). Cresciuto fra le culture armena ed ebrea. Appassionato di fotografia, cinema, politica e, inevitabilmente, di giornalismo. Scrive in Turchia per la rivista nazionale «KaosGL», per il quotidiano nazionale «Birgun» e vari portali di notizie indipendenti come «Bianet», «Sol» e «Sendika». In Italia ha scritto per «il manifesto» ed «E-il mensile». E’ uno dei fondatori del freepress mensile «Glob011» e collabora tuttora con «EastJournal».

 

Redazione
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  • bozidar stanisic

    l’articolo di cinar, frutto della sua ricerca e degli incontri con dei giovani italiani che hanno lasciato il paese, rivela di nuovo la profondità della fossa sociale dei nostri tempi.
    non è scavata solo dai fattori esterni (finnanze in primis) ma pure dai parassiti, dagli incapaci, dagli insaziabili di vario genere compreso il silenzio quasi generale di chi non vede più lontano dal proprio dito (tutte le categorie medie e medio basse addormentate dalla “sicurezza” del primo del mese che li porta la pensione o lo stipendio pubblico), che stanno trascinando l’italia verso l’invivibile.
    alcuni giorni fa un amico mi chiese: che fare se la gente non capisce a che punto siamo arrivati? il 12 dicembre non dovevano uscire tutti in piazza e dire basta per sempre?
    personalmente vivo il peso della tragedia jugoslava, ma, beh – si avvicina il natele – ho soltanto farfugliato un semplice e non sincero ‘speriamo
    al meglio’.
    certamente, il caso jugo non è paragonabile con la tragedia della crisi in italia e in una parte dell’europa, ma è significativo (oltre che significativo!) il periodo della crisi jugoslava prebellica, in cui si scrosciava tutto, lentamente, l’una cosa dopo l’altra, la gente si abituava a ciò che accadeva pensando che un’altra via non potesse esistere.
    purtroppo, è lo stesso fenomeno che da alcuni anni vivo nel paese del mio esilio in cui sento addosso la miseria degli ultimi e la miseria dell’egoismo di chi possiede 9000 miliardi della ricchezza.
    un quarto della somma indicata potrebbe salvare il paese dai debiti e risvegliare delle speranze.
    certamente, cio’ non basterebbe – ci vorrebbe un’altra e diversa cultura sociale, che rispetta interessi di tutti, non solo dei cetti politici e dirigenziali cui le responsabilità maggiori sono più che evidenti.
    e per la rinascita di questa cultura servira l’energia positiva dei saperi e dell’etica di tutti i giovani di questo paese.
    a chi tocca la risposta?

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