Stragi xenofobe e omicidi

In Italia troppe leggerezze sulle armi. Intervista a Giorgio Beretta.

La strage del 20 febbraio scorso in Germania, in cui Tobias Rathien, un “lupo solitario” tedesco di 43 anni, ha ucciso nove persone e ne ha ferite quattro nel quartiere frequentato da immigrati turchi e curdi di Hanau, ha riportato all’attenzione il problema delle stragi di matrice xenofoba e razzista. Nell’intervista al giornalista Giovanni Tizian, abbiamo approfondito le questioni collegate al diffondersi, in Germania ma anche in Italia, di atti di violenza da parte di gruppi neonazifascisti che inneggiano al suprematismo razziale e al clima politico che li alimenta. Per approfondire ulteriormente il tema ne parliamo con Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) di Brescia.

Lei ha evidenziato una serie di elementi che accomunano le recenti stragi di stampo xenofobo e razzista. Quali sono?

E’ importante, innanzitutto, ricordare almeno le principali stragi degli ultimi anni. La strage di Hanau in Germania (9 morti), è stata preceduta da quelle di El Paso in Texas (22 morti), della moschea di Christchurch in Nuova Zelanda in Nuova Zelanda (51 morti), della sinagoga di Pittsburgh in Pennsylvania (11 morti), della moschea di Quebec City in Canada (6 morti) e da numerose altre fino alla strage del 2011 nell’isola di Utoya in Norvegia (69 morti). Quattro sono gli elementi che accomunano queste stragi. Innanzitutto la matrice: sono ispirate da odio razziale e religioso di stampo suprematista, da antisemitismo e antislamismo e da fascinazioni di tipo nazifascista. In secondo luogo, la tipologia dell’esecutore: sono compiute da singoli, solitamente “lupi solitari” che non sempre fanno parte di gruppi suprematisti e neonazisti, ma che si ispirano alle loro istanze ed intendono diffonderle. In terzo luogo, il messaggio: nella gran parte di queste stragi, l’esecutore ha messo in rete un testo o dei video per diffondere la sua ideologia, il suo credo e i suoi ideali. Al riguardo va segnalato, positivamente, che la “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza” pubblicata qualche giorno fa, riporta per la prima volta l’elenco dei gravissimi attentati del neonazismo globalizzato. La relazione evidenzia al riguardo anche in Italia “l’emergere di insidiosi rigurgiti neonazisti, favorito da una strisciante, ma pervasiva propaganda virtuale attraverso dedicate piattaforme online, impiegate per veicolare documenti, immagini e video di stampo suprematista, razzista e xenofobo”. E’ un fenomeno, quindi, che viene giustamente attenzionato.

Diceva anche di un quarto elemento. Qual è?

Si tratta delle modalità di esecuzione. Queste stragi sono state compiute con armi regolarmente detenute e i perpetratori erano tutti dei legali detentori di armi. I primi tre elementi pongono all’attenzione il problema della diffusione dell’odio razzista anche da parte di partiti politici, delle ideologie di tipo nazifascita e suprematista, del controllo dei gruppi che le propagandano e dei loro simpatizzanti. La quarta dovrebbe porre all’attenzione il problema dell’accesso legale alle armi.

Perché la questione delle armi è così rilevante?

Per tre motivi. Innanzitutto per il tipo di obiettivo di queste stragi: l’utilizzo di armi da fuoco consente di fare una strage non solo all’aperto ma anche in luoghi chiusi, in spazi prestabiliti, in ambienti prescelti come una chiesa, una moschea, una sinagoga. In secondo luogo per l’efficacia: l’arma a fuoco, anche quella cosiddetta “comune” di non di tipo militare, permette di ammazzare un gran numero di persone in breve tempo, consente cioè al killer di compiere una vera e propria strage. La differenza si è notata, ad esempio, nell’attentato dello scorso ottobre nei pressi della sinagoga di Halle in Germania: il simpatizzate neonazista tedesco, Stephan Balliet, ha utilizzato armi che si era fabbricato artigianalmente che si sono inceppate e l’attentatore, che aveva ucciso due passanti, ha dovuto desistere. In terzo luogo per il significato, il simbolismo che veicolano le armi legalmente detenute. Compiere una strage con un’arma legalmente detenuta significa, per lo stragista, non solo differenziarsi da altri terroristi che usano armi illegali e strumenti impropri, ma ribadire di essere nella legalità e anzi contribuire a ristabilire quella legalità e quell’ordine che sente minacciato da fattori estranei alla “vera cultura”, alla “vera tradizione” della sua nazione e dell’Occidente.

L’accesso alle armi è un problema che riguarda solo gli Stati Uniti o anche l’Europa e l’Italia?

Riguarda tutti i paesi, Italia compresa. Come noto, la questione è fortemente dibattuta negli Stati Uniti dove le stragi e i mass-shooting sono stati commessi con armi legalmente detenute e dove la lobby delle armi, ed in particolare la National Rifle Association (NRA), si oppone tenacemente a politiche di controllo sull’accesso e la diffusione delle armi. Ma riguarda anche l’Europa: la direttiva europea che, dopo le stragi di Charlie Ebdo e del Bataclan, avrebbe dovuto mettere al bando i fucili d’assalto (tipo Ak-47 e  AR-15, quelli più usati nelle stragi negli Stati Uniti), di fatto ha messo al bando quasi niente. Anzi, dirò di più: in Italia è stata utilizzata per allargare le maglie sulla detenzione di armi. Nell’estate del 2018, il governo Conte, su pressione della Lega e con il consenso del M5s, ha recepito, unico in Europa, in senso estensivo la direttiva europea 853/2017: il numero di “armi sportive” (tra cui i fucili semiautomatici tipo AK-47 o AR-15) è stato raddoppiato portandolo da sei a dodici ed è stata raddoppiata anche la capacità dei caricatori acquistabili senza denuncia (da cinque a dieci colpi). Un autentico regalo ai produttori di armi che, come noto, sono molto vicini alla Lega e ai partiti di destra. Così, oggi, con una semplice licenza per il tiro sportivo, per la caccia o per mera detenzione (nulla osta), è possibile tenersi in casa tre pistole con caricatori fino a 20 colpi, dodici “armi sportive” (cioè fucili semiautomatici) con caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da caccia. Un autentico arsenale, perfetto per fare una strage.

In Italia, però, a parte Macerata, non vi sono stati attentati di matrice xenofoba e razzista. Significa che da noi le norme sulle armi e i controlli sono efficaci?

Ha fatto bene a ricordare l’attentato di Macerata innanzitutto perché quella compiuta da Luca Traini è stata – come ha riconosciuto la Corte d’Assise di Macerata e ha confermato la Corte d’Appello di Ancona – una “strage aggravata dall’odio razziale”: la matrice xenofoba e razzista è quindi evidente ed è accertata. In secondo luogo perché, come noto, il suprematista bianco autore della strage di Christchurch, Brenton Tarrant, si è ispirato anche all’attentato di Macerata scrivendo il nome di Luca Traini su uno dei suoi caricatori. Ma soprattutto perché il militante nazifascista Luca Traini deteneva le armi legalmente. E’ vero che in Italia non siamo negli Stati Uniti dove le armi si possono acquistare al supermercato. Ma anche da noi non è affatto difficile prendere una licenza per armi. Oggi in Italia, a qualunque cittadino incensurato, esente da malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è infatti generalmente consentito di ottenere una licenza dopo aver superato un breve esame di maneggio delle armi. Questa facilità sommata ai controlli troppo blandi sui legali detentori di armi è all’origine di un problema spesso sottovalutato.

A cosa si riferisce?

Mi riferisco al problema degli omicidi familiari e dei femminicidi. Tutti gli studi – tra cui il rapporto Istat pubblicato ieri evidenziano una costante contrazione dagli anni novanta del numero di omicidi attribuibili sia alla criminalità organizzata di tipo mafioso sia alla criminalità comune. Diminuiscono molto meno e anzi sono sostanzialmente costanti gli omicidi di tipo familiare e i femminicidi: lo evidenzia un dettagliato rapporto diffuso l’estate scorsa dal Centro di Ricerche Economiche e Sociali Eures dal titolo “Omicidi in famiglia” (qui una mia recensione). C’è un aspetto particolarmente preoccupante. Nel 2018 quattro vittime su dieci in famiglia sono state uccise con armi da fuoco e, in almeno 42 casi (pari al 64,6%), negli omicidi familiari l’assassino risultava in possesso di un regolare porto d’armi, in 10 casi per motivi di lavoro. Il confronto con il numero di omicidi di tipo mafioso (19 nel 2018, dati Istat) e per “furti e rapine” (12 nel 2018) mette in luce un’evidenza inequivocabile: oggi in Italia le armi nelle mani dei legali detentori uccidono più dei rapinatori e della mafia. E ammazzano soprattutto le donne.

Ritiene, quindi, che l’accesso alle armi sia un problema sottovalutato in Italia?

Sì, fortemente sottovalutato e anzi volutamente e abilmente messo ai margini. Mi riferisco, innanzitutto, al tipo di informazione che viene divulgata soprattutto dai organi specializzati del settore armiero dai quali ci si aspetterebbe una sensibilizzazione adeguata circa i problemi relativi al possesso di armi in riferimento alla sicurezza pubblica. Ma c’è anche una propaganda mirata a minimizzare il problema ed anzi a legittimare la diffusione delle armi. E’ ciò che ha fatto, ad esempio, Matteo Salvini mostrandosi ripetutamente con armi in mano quando era ministro degli Interni e anche di recente: durante la visita alla fiera delle armi HIT Show di Vicenza, Salvini non ha mancato infatti di dire che “le armi ad uso sportivo e per le persone perbene non devono far paura a nessuno” (qui il video). Si tratta non solo di un’evidente sottovalutazione del problema gravissimo delle armi da fuoco negli omicidi in famiglia e nei femminicidi, ma rappresenta una pericolosa legittimazione della detenzione di armi nelle case e nelle famiglie. Le stragi di matrice razzista, il diffondersi di pulsioni xenofobe e l’espandersi di gruppi di ispirazione nazifascista dovrebbero indurre, invece, ad un’ampia revisione delle norme introducendo maggiori restrizioni sulle armi che si possono detenere e controlli più frequenti e accurati sui legali detentori di armi. L’Osservatorio Opal ha da tempo avanzato varie proposte ed alcune iniziative di legge sono depositate in Parlamento: mi auguro che vengano presto esaminate.

(*) Fonte: confini.blog.rainews.it (testo e foto)

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