SUA GREVITÀ

di Mauro Antonio Miglieruolo

Spiegare non ha spiegato niente, però è risultata sicura di sé, capace dietro la cortina fumogena delle parole di nascondere i chiarimenti che ognuno si aspettava. Tanta abilità per nulla.

Parole decontestualizzate, sostiene la ministra; ma lascia aperto l’interrogativo su quale sarebbe il contesto in grado di giustificare frasi del tipo “manda i controlli e vaffanculo!”; ed altre che tendono a sottolineare “che un minimo di controllo sul territorio l’abbiamo”.  Non altro che puro esercizio di arroganza.

Addirittura si appunta una medaglia al petto, lei eroina della resistenza alle pressioni della casta, della quale è parte integrante e che per questa sua sordità alle sirene della corruzione sa che gliela stanno facendo pagare. A lei ma soprattutto a noi, utilizzatori finali, suoi elettori e non.

Ma c’è di molto peggio in Italia, lo sappiamo. C’è chi abusando della sua posizione nel governo, in ottemperanza alle richieste del suo ex capo di partito, fa rapire “legalmente” una cittadina nostra ospite tutelata dalle leggi sul diritto di asilo e la fa deportare, insieme alla figlia minore, nel paese di origine, in modo che possa essere usata come ostaggio nei confronti del marito oppositore del regime vigente in quello stesso paese. Il ministro è ancora là e lotta contro di noi.

22genn-ForzaGrevitaResta in ogni caso da censurare il linguaggio da trivio. E qui correttezza politica indurrebbe a evitare facili moralismi. Senonché la condizione nostra, il particolare stato d’animo che ci ha cacciati nell’immenso vicolo cieco in cui ci dibattiamo, insieme alla decennale delega in bianco data  ai dirigenti del Partito Democratico (e ora a Renzi), ci impedisce di accettare senza battere ciglio anche l’invasione della volgarità, che ormai dilaga anche tra i rappresentanti delle istituzioni. Volgarità di parola, volgarità d’animo; e l’animo non volgare che si volgarizza con la parola.

Bisogna pure in qualche modo reagire contro un combinato disposto che ci induce a accettare tutto, ma proprio tutto. Alla fine del processo non c’è che la barbarie, la caduta di ogni barriera etica, lo sfruttamento e l’impoverimento assoluto. Reagire dunque contro l’alleanza tra spirito gesuitico-cattolico e l’illusione mercatista, che ha paralizzato ogni velleità di protesta e continua a tenerla in secondo piano. Organizzarsi per lottare, non altro. Ma contro se stessi, anzitutto, per poter lottare contro i nostri mali e risolutamente finirli: le cose non si aggiusteranno da sole, nell’Aldilà del Dopodomani, ma subito, nell’attualità della volontà collettiva di riscatto.

Bisogna avere il coraggio di ammetterlo: se l’importante è tirare avanti, è arrivato il momento di capire che non è più possibile tirare avanti. Neppure nei confronti di una ministra che si descrive innocente, candida come giglio (e chissà, tutto è possibile, anche che tanto sporca non sia). È arrivato il momento di ammettere che sporco e cattivo sono io, siamo noi che tolleriamo tutto questo, le sceneggiate, l’arroganza, l’attaccamento alle poltrone e ai privilegi… cattivo sono io, l’io qualunque che sghignazzando ripete a voce alta (si diverte lui, l’incosciente, invece di piangere), l’ineffabile sconcio rosario di insolenze che, senza troppo licenze poetiche, può essere tratto dalla quotidianità della De Girolamo:

facciamolo capire a ‘sti stronzi… ora pro nobis

te ne vai affunculo…                       ora pro nobis

sei ‘na merda…                                ora pro nobis

‘chi t’è muort…                                ora pro nobis

Ammetto che da alcuni giorni lo ripeto instancabilmente, questo rosario, scoprendo in me uno spirito beghino che non credevo di possedere. Temo si tratti della inconscia consapevolezza che questa sia l’unica strada per, rieducandomi, passare dalla parte degli “innocenti”. Cioè, la voglia inconscia di diventare un italiano del tutto “normale” (alias istituzionale) che, come tanti, non soffre più, non si indigna più, ha abbandonato velleità di riscatto  e di decenza. Si vive meglio quando si sia accettato di vivere nel peggio.

Sperando però, qui è il difficile, di superare i severi criteri di ammissione che la diffidenza e dell’inclemenza delle loro Corti ha ritenuto necessario stabilire. Complicità, connivenza, bassezza e ingiustizia.

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