Sul referendum Fiat

Un commento di Gian Marco Martignoni della Cgil di Varese

Rossana Rossanda, commentando su “il manifesto” del 22 gennaio la degenerazione culturale e morale che ha investito non da oggi il nostro Paese, ha annotato che “fino agli anni Sessanta e in alcune code degli anni Settanta pareva il laboratorio più interessante d’Europa”.

Dagli inizi degli anni ’80 prima con il craxismo e poi il berlusconismo, unitamente al leghismo, il nostro Paese è diventato il laboratorio politico più reazionario d’Europa.

Credo si debba partire da questa valutazione per discutere della vicenda Fiat, chè non si spiegherebbe il ricatto decisionista di Marchionne, prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, prescindendo da un contesto mai così favorevole ad un mutamento autoritario delle relazioni sindacali, se si considera che con il Collegato al Lavoro del novembre 2010 il governo tenta addirittura di smantellare quel diritto del lavoro figlio delle lotte operaie degli anni ’50 e ’60.

Infatti, nel gennaio del 2009 è stato siglato un accordo separato a proposito del nuovo modello contrattuale, contemplante le cosiddette deroghe al contratto nazionale, non siglato dalla Cgil, mentre successivamente Fim e Uilm hanno firmato nel settore dei metalmeccanici un contratto nazionale “bidone”, pur essendo la Fiom l’organizzazione maggioritaria in termini di iscritti.

In entrambe le occasioni è stata preclusa ai lavoratori la possibilità di votare su questi accordi, giacchè non vi è una legge sulla democrazia sindacale che lo preveda, considerato che Cisl e Uil hanno dichiarato da subito la loro indisponibilità a un voto certificato nei luoghi di lavoro, forti del sostegno del governo, che tenta in tutti i modi di emarginare la Cgil.

A Pomigliano e a Mirafiori invece si è votato non per libera scelta delle organizzazioni sindacali, ma perché le decisioni imperative prese da Marchionne – o siete d’accordo o altrimenti sposto le produzioni all’estero – necessitavano della legittimazione di un voto formalmente teso a chiudere la partita, in quanto la costituzione delle newco si fonda sulla individualizzazione di rapporti di lavoro.

Pertanto, a Pomigliano e a Mirafiori non sono stati siglati dei liberi accordi tra contraenti dotati di una indiscutibile autonomia negoziale, ma i sindacati collaborativi, Cisl e Uil, cancellando la nozione di autonomia sindacale insieme ai cosiddetti sindacati gialli (il Fismic e l’Associazione dei quadri), hanno apposto una firma ai testi predefiniti della Fiat.

Testi che, come ha fatto rilevare il segretario della Fiom Maurizio Landini, prevedono: 1) la Fiat non si associa più a Confindustria; 2) non esiste più il contratto nazionale; 3) si limita il diritto di sciopero; 4) si cancella la contrattazione perché non esistono più i delegati eletti dai lavoratori, ma nominati (dalle organizzazioni firmatarie degli accordi); 5) esistono i sindacati che decide Marchionne; 6) siamo in presenza di un aumento dell’orario di lavoro e di mano libera nella gestione da parte dell’impresa della forza-lavoro.

Formalmente, dunque, i due referendum svoltisi sono illegittimi, poiché i diritti indisponibili e costituzionali non possono essere sottoposti a votazione.

Ma dalla conta i lavoratori individualmente non si possono sottrarre, e dopo il buon risultato di Pomigliano, il 46% di NO a Mirafiori sancisce che non si è verificato quel plebiscito che si attendevano Marchionne, le organizzazioni sindacali firmatarie, il quadro politico, se si escludono l’IdV e le formazioni della sinistra radicale e comunista fuori dal Parlamento.

Sulla Repubblica del 18/1 Marchionne ha sostenuto in un’ intervista dai toni decisamente antisindacali: “che la Fiom ha costruito un capolavoro mediatico, mistificando la realtà. Noi, che siamo presenti in tutto il mondo, dal punto di vista culturale siamo stati una ciofeca”.

In un contesto politico dove la Fiom ha avuto contro tutti, dal governo più irresponsabile della storia repubblicana ai trasformisti social-liberisti del Partito Democratico, che scambiano per modernizzazione il feudalesimo aziendale di Marchionne, è l’ammissione esplicita di una caporetto culturale e morale, poiché non si governano le fabbriche peggiorando le condizioni di lavoro in nome di una astratta e feticistica competizione globale, nonché cancellando la rappresentanza di chi non si omologa all’assolutismo di Marchionne.

Detto in altri termini, si possono vincere uno, due referendum, ma non convincere i lavoratori e l’opinione pubblica, in quanto il consenso estorto con il ricatto è di per sé in contraddizione con la logica democratica.

Tanto che anche in casa Cisl sindacalisti della statura di Adriano Serafino hanno evidenziato le carte truccate dell’accordo, attraverso un ottimo intervento su “il manifesto” del 31.12.2010 titolato non casualmente “La firma di Bonanni è anche contro la Cisl”.

Il 46% di NO a Mirafiori è pertanto il segnale che la dignità e la resistenza operaia non si possono cancellare con un colpo di spugna, e che le organizzazioni sindacali che tentano di legittimarsi negando gli interessi di chi dovrebbero rappresentare si separano dai lavoratori uomini in carne ed ossa, perché come scrisse Antonio Gramsci su “L’ordine nuovo” dell’8 maggio del 1922 “Nulla è perduto se rimane intatta la coscienza e la fede, se i corpi si arrendono ma non gli animi”.

Quindi, che la maggioranza dei lavoratori della Fiat sulle linee di montaggio non si siano piegati al ricatto di Marchionne, poiché senza il voto degli impiegati non sarebbe passato il Si, è da leggersi come un messaggio di non rassegnazione e di lotta a tutti i lavoratori e le lavoratrici del Paese.

Un messaggio che solo la Cgil può nell’immediato ed in una prospettiva futura raccogliere, stante che i ceti salariati, per una serie di concause sono oggi privi, e ne sono drammaticamente consapevoli, di una rappresentanza politica in questo parlamento, se è vero che è toccato all’onorevole Casini sostenere “che il 46% di NO dice alla Fiat che non può tirare troppo la corda”.

Infine, resta il dubbio se la multinazionale Fiat-Chrysler che, non dimentichiamolo, è la somma di due “debolezze”, riuscirà a sopravvivere, soprattutto con quali modelli, nella brutale concorrenza tra gruppi multinazionali in lotta per la spartizione dei mercati dell’auto, a fronte di un ciclo depressivo dell’economia e di una crisi evidente da sovrapproduzione di merci.

 

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