«The Silver Rope», legame da non recidere

Una pillola cinematografica di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

Nei prossimi giorni, nelle sale, verrà proiettato un film con Johnny Depp dal titolo molto significativo, «Trascendence», storia di uno scienziato il cui cervello viene travasato in un computer per salvarlo dalla morte corporale.
Un vecchio episodio del fumetto «Martin Mystère» affrontava in maniera magistrale proprio questo argomento, con il “Buon Vecchio Zio Marty” che si ritrova la mente travasata nel corpo di un barbone alcolizzato, il quale finisce per morire investito da un’automobile. Il cattivo di quella storia (il perfido Mr. Jinks) ne sa una più del diavolo ma commette l’errore di non distruggere il corpo del Martin Mystère originale.
Poiché non credo alle coincidenze (o alle combinazioni come direbbero due casseforti che s’incontrano) proprio per caso è arrivata una mail dove un certo db (ignoro chi sia) mi notificava l’indirizzo YouTube di un cortometraggio classificato come “fantascienza”. Aperto incautamente tale link, eccomi precipitare in un abisso di pazzia e dolore, nemmeno avessi preso in mano le pagine perdute del famigerato «Necronomicon» o mi fossi addentrato nella visione del documentario perduto di Alfred Hitchcock, riguardo a una misteriosa isola perduta nel Pacifico, che riapparirebbe dagli abissi ogni volta che una voce torna a farsi sentire alle menti delle persone più predisposte.
La pellicola (del 2006) che andai con ben poca accortezza a visionare si intitola «The silver rope»: regia di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, Fabio&Fabio come amano farsi chiamare questi giovani registi. Il film dura appena 33 minuti; forse non un caso come gli anni di Cristo?
«Nel 2024 un gruppo di scienziati localizzò per la prima volta l’anima di un essere umano, e ne identificò le caratteristiche fisiche. In soli tre anni, il sistema endo-spirituale venne decodificato completamente, dando origine a una vera e propria ingegneria dell’anima. La scoperta scientifica diede luogo a una crisi culturale di massa, in seguito alla quale si perse la secolare convinzione della sopravvivenza dello spirito alla morte del corpo. L’anima dimostrò di possedere una propria fisicità, e di essere quindi indissolubilmente legata al corpo. Questo legame venne ribattezzato La Corda d’Argento»: così recita l’incipit della pellicola.
Il cortometraggio parte da questa premessa: tratta vite, emozioni, misteri e conflitti personali di alcune persone che s’intrecciano in un mondo per sempre cambiato dalla incredibile scoperta scientifica di localizzare dell’anima, cioè dalla nascita di un’ingegneria dello spirito, la morte concettuale di Dio.
Molto vicino anche a certi “anime” giapponesi quali «Ghost in the shell» (in cui un programma senziente prende il controllo degli esseri umani ormai ridotti a cyborg senza anima a causa dell’eccessiva chirurgia robotica) «The silver rope» sorprende in anticipo per la sapiente regia, l’uso perfetto del montaggio alternato, in cui flashback e flashforward (visioni in avanti della pellicola) si alternano a narrare una storia di morte di Dio e della redenzione, ma più che altro narrano della morte del “senso”, del “tendere verso” qualcosa, del non sentirsi preda di un circolo vizioso senza scopo alcuno.
Nietzsche ma soprattutto Wittgenstein, Epicuro e Platone si alternano nella sapiente recitazione del cast, dove la scoperta della materialità dell’anima (come affermava il buon Epicuro definendola ben composta anch’essa di “atomi” che alla morte si disgregano per poi tornare insieme secondo princìpi meccanici) porta alla possibilità di agire direttamente sulle nevrosi, i ricordi tristi e tutte quelle tare, come le profonde insicurezze, che determinano in malo modo le persone.
Scopriamo così che l’inventore di tale scoperta è anche un musicista frustrato che non trova senso finale alla sua composizione più bella, la quale s’intreccia con la disgregazione del suo rapporto d’amore con la moglie che alla spiaggia troverà un nuovo amore, sull’autobus farà il viaggio in compagnia di un prete che si ritrova senza fede dopo la scoperta famigerata ma che ancora comprende la necessità del sogno e della speranza per la vita, termini imprescindibili per l’essere umano.
Alcune scene sono riprese frontali di edifici, tutti rappresentati con molte porte, a indicare tanti alveari, caselle, in cui l’essere umano si muove in modo assai labirintico.
Il rimedio dell’endo-spiritualità è soggetto a un controllo stretto del governo, ed ecco che medici clandestini operano di nascosto, apparentemente causando la recisione del legame che unisce l’anima al corpo, quello che per Renato Cartesio era costituito dalla ghiandola pineale, qui invece chiamato appunto «la corda d’argento».
A un certo punto, l’anima alterata si stacca volontariamente dal corpo, una condizione che sembra prendere esponenzialmente sempre più persone fino all’apocalisse finale in cui le anime abbandonano i corpi definitivamente, non si sa se prese da qualche anima diabolica o semplicemente un recupero di redini da parte della natura, che una volta ancora punisce la pesante “hybris” (tracotanza, arroganza, in greco antico, ciò che gli dei puniscono severamente negli essei che si credono pari a loro) umana.
Alla fine, in tutto questo furore ad affermare la totale mancanza di senso della vita, l’assurdità di credere a uno scopo e a una “logica” che presieda alla natura, ecco come gli esseri umani dimenticano ancora una volta l’importanza della libertà e del dare senso essi stessi a un mondo che ne è privo. Solo con l’amore e l’esser vicini gli uni con gli altri si possono superare insicurezze, lutti e i dolori che la vita dispensa a profusione.
L’essere incasellati nella logica scientifica che vorrebbe curare alla radice il problema mentale, cioè l’emozione, asportandola (un paziente evita di farsi togliere una leggera tendenza al suicidio, proprio perché è li da anni e l’ha aiutato a mantenersi vivo dando da bere a una piantina assetata) si rivela deleteria, portando alla dissociazione mentale di tutta l’umanità.
Fatalmente tale processo è l’espressione del fallimento del suo creatore, che non riesce ad accettare di non concludere degnamente la sua musica, arrivando a picchiare duramente i pugni sul pianoforte durante la registrazione, scaricando rabbia e frustrazione esistenziale. Sarà il prete senza dio a dare l’interpretazione più tremenda: alla fine, quei pugni, che egli ama ascoltare proprio perché la musica senza conclusione alla fine era circolata, è la rabbia di un’umanità che vorrebbe uno scopo, una conclusione, una riposta finale. Ma fa troppo male, troppa paura ammettere che essa alla fine è l’amore.
Il cortometraggio procede spedito, realizzato con mezzi ridottissimi, puntando tutto su regia, montaggio e luci, con qualche sporadico ma sapientemente dosato effetto speciale digitale, fino alla rivelazione da parte della moglie del creatore del lavaggio endo-spirituale di aver conosciuto un ragazzo, solo e disperato. Non ci è dato sapere se si siano innamorati, se abbiano fatto l’amore o che altro. Solo che ha conosciuto qualcuno, stabilito una relazione. Il rapporto è la fine/inizio di tutto.

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