Tirreno

«La mia bici dalle ruote grasse è pronta, lo zaino ha tutto il necessario per parare forature, piogge e fame»

di Pierluigi Pedretti

Il mare!  Finalmente, superato il passo, vedo laggiù il Tirreno.  Fin da piccolo vi ho trascorso le vacanze, conosco la costa cosentina in ogni anfratto. Ricordo luoghi immacolati e unacqua trasparente, mentre oggi cementificazione ed erosione hanno reso quasi irriconoscibile le sue spiagge.

Per certi aspetti il fascino del mare calabro continua, però, a permanere. Arrivando, ad esempio, da nord, seguendo la statale 18, la litoranea tirrenica, il colpo docchio è suggestivo: le montagne cadono praticamente a picco sullacqua.

    La Calabria ha ottocento chilometri di coste, per cui sembra normale pensare che il calabrese sia uomo di mare. Nulla di meno vero. Egli è uomo di montagna, da quando nellalto medioevo le scorrerie arabe lo costrinsero a risalire verso linterno, ricongiungendosi cogli eredi dei montanari bruzi.

L’ impaludamento delle coste e il conseguente pericolo della malaria hanno fatto il resto. C’è voluto solo il primo Novecento per vedere ritornare, grazie alla costruzione della ferrovia, i calabresi sulla costa. Inizia in quel momento il fenomeno dei paesi “ doppi” – l’originale in montagna, il doppione in pianura e lungo le coste – che si affermerà definitivamente dopo la seconda guerra mondiale quando i paesi di collina e di montagna iniziarono a spopolarsi.

   Oggi io, abitante delle aree interne, ho scelto linizio della primavera per la prima pedalata annuale verso la costa. Eccomi così pronto, sperando in una splendida giornata di sole, purtroppo mi devo accontentare di sbirciare lazzurro che fa capolino tra minacciosi nembi. Fra le possibili strade che partono da Cosenza dirigendosi verso la costa, imboccherò quella che arriva ad Amantea attraverso il valico di Potame.

La mia bici dalle ruote grasse è pronta, lo zaino ha tutto il necessario per parare forature, piogge e fame. Parto verso le otto del mattino, laria è fresca, ma non la temo, so che lascesa mi riscalderà.

La strada in salita che mi permetterà di superare la Catena Costiera è lunga oltre venti chilometri, quindi imposto una pedalata costante ma non troppo veloce. Di solito, quando preparo le escursioni in bici, so che mi fermerò frequentemente, perché con la scusa di chiedere informazioni ho modo di scambiare qualche parola con le persone.

Dopo una decina di chilometri raggiungo Carolei, ma sia qui che nel successivo paese di Domanico intravedo pochi passanti, a questo punto decido di proseguire verso il passo che si trova ancora distante, alla quota di mille metri di altitudine.

La strada si inoltra nel fitto bosco, la salita mi affatica, mi distraggo grazie al persistente e forte ticchettìo del picchio, il cui becco batte possente sulla corteccia degli alberi. La mia regione è impressionante: per quasi un’ora sulla provinciale non transita nemmeno un’auto.

Infine, giungo a Potame. Mi fermo per un caffè nellunico bar di quella che doveva diventare una zona turistica di montagna, a pochi chilometri dal mare, e che invece si è fermata a metà sviluppo, come tutta la Calabria.

Le villette del minuscolo borgo che scimmiotta i villaggi alpini sono nel silenzio, entro nel locale e, invece della solita vecchina, trovo una signora quarantenne con bambino, che mi dice che la macchina del caffè non funziona. Sospetto che il cartello vendesi allingresso significhi che lanziana che lo gestiva non ci sia più e che gli eredi non vogliano o non possano continuarne la gestione. Non voglio indagare, saluto e me ne vado, non prima di aver fotografato una locandina che ricorda i fasti di unelezione di una Miss Potame anni ‘ 60.

   Mi copro per bene per proteggermi dallaria frizzante e dalle nuvole basse. Scendo veloce per una decina di chilometri fino al paese di Lago, da dove svolto subito verso San Pietro in Amantea, poiché la minaccia di pioggia è forte. Attraverso la deserta Terrati. A San Pietro poi giungo dopo aver superato una frana provocata da un enorme masso – ora in mezzo alla strada – che ha lasciato unimpressionante scia di detriti nella sua caduta dalla parete rocciosa. Nel paesino una coppia di anziani mi dicono sconsolati che il barista è andato a pranzo. A questo punto, tiro dallo zaino un panino e mi rifocillo, ogni tanto scambiando con loro qualche parola.

I due mi confermano che il paese ha ormai poche decine di anime e che si ripopola solo ad agosto quando rientrano i sempre più scarsi emigranti. Cade qualche goccia, grossa come unoliva, mi congedo in fretta perché sono ormai a pochi chilometri dalla meta e non voglio bagnarmi. Percorro una stradina che mi conduce verso un acrocoro a picco sulla scogliera di Coreca. Nonostante le nuvole, lo sguardo spazia lontano verso lorizzonte marino e lungo la costa. Che spettacolo la Calabria. In basso vedo Amantea, il mio obiettivo. 

   Un gabbiano mi accompagna, volteggiando sul dirupo marino alla mia sinistra, fino alle prime case di campagna che sovrastano come nidi la cittadina fondata dagli arabi. Sono ormai stanco, ho fame, per cui decido di inoltrarmi nel centro storico, praticamente abbandonato e che farebbe invece la gioia dei turisti nordeuropei per la sua bellezza. Mi fermo davanti al Caffè Sicoli e guardo in basso la sottostante new town. Solo uno straordinario gelato può riscattare quella brutta visione, il successivo caffè, poi, mi riconcilia definitivamente (?) con la mia terra.

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